C'è un dato che certifica il fallimento della scuola italiana: molti giovani non sono in grado di argomentare una propria opinione personale e, a parte la sconsolante povertà lessicale, spesso sono perfino incapaci di comprendere un testo. Malgrado l'evidenza di questa deriva, la scuola italiana evita di interrogarsi sui mali strutturali che le impediscono di stare al passo dei cambiamenti che hanno modificato l'ethos di un'intera nazione. Davanti alla sfida, prima della Tv commerciale e poi della Rete, la scuola italiana é rimasta ferma, immobile, come se la cosa non la riguardasse. La lezione frontale sintetizza perfettamente l'archeologia del nostro sistema formativo.
-------------------
Alla fine di ogni anno scolastico si ritorna a parlare del declino della scuola italiana e della necessità di dare al paese un sistema educativo efficiente e competitivo. I dati che certificano il fallimento della nostra scuola sarebbero molteplici, a cominciare dalla pochezza culturale di una classe politica che si compone in larga prevalenza di esponenti che, spesso, non vantano alcuna competenza nelle materie approvate nelle assemblee legislative. Eppure, quando si parla della modestia dei nostri politici, nessuno ha il coraggio di citare la scuola come una delle cause del degrado culturale di un mondo che, malgrado tutto, dovrebbe costituire un esempio per i cittadini. Partiamo da una verità tanto scomoda quanto inconfutabile: molti giovani non sono in grado di argomentare una propria opinione personale e, a parte la sconsolante povertà lessicale, spesso sono perfino incapaci di comprendere un testo. Malgrado l'evidenza di questa deriva, la scuola italiana evita di interrogarsi sui mali strutturali che le impediscono di stare al passo dei cambiamenti che hanno modificato l'ethos di un'intera nazione. Davanti alla sfida, prima della Tv commerciale e poi della Rete, la scuola italiana é rimasta ferma, immobile, come se la cosa non la riguardasse. Ancora oggi l'insegnamento si fonda sulla lezione frontale del professore che vede l'alunno costretto a studiare a casa, per poi ripetere in classe, quell'arido grumo di nozioni completamente avulso dal mondo reale. In questo senso, la scuola italiana rappresenta un vero e proprio modello di archeologia che, a causa di un crescente burocratismo, ha inflitto ai docenti l'ossessione di una valutazione che prescinde dalla personalità dei ragazzi, irrimediabilmente ridotta ad una banale media aritmetica. La verità é che alla scuola italiana servirebbe una rivoluzione copernicana che prenda atto dell'inadeguatezza di un sistema sempre uguale a se stesso e incapace di misurarsi con la “mutazione antropologica” delle nuove generazioni. La didattica digitale, introdotta negli ultimi anni, rappresenta una novità che non é in grado, da sola, di favorire la nascita di un nuovo sistema formativo in grado di privilegiare il confronto, la riflessione critica, lo sviluppo della personalità degli alunni. Le “tecnoclassi”, che si compongono di tablet e di Lim, suggellano il definitivo primato dell'immagine, veloce e suadente, che rischia di diventare l'unico nutrimento di questa generazione di nativi digitali di cui la scuola dovrebbe capire le crescenti psicopatologie quotidiane, piccole e grandi, spesso alimentate dalle difficoltà della famiglia di seguire i propri figli durante il percorso scolastico. L'uso compulsivo del cellulare e la bulimia dei giovani per la Rete rappresentano il sintomo di un malessere che la scuola tende a sottovalutare o a coprire semplicisticamente sotto la coltre di inutili, oziose geremiadi. Di contro, una scuola che punti ad essere moderna e competitiva non dovrebbe rassegnarsi a perdere il confronto con le nuove tecnologie di cui tutti conosciamo, fin troppo bene, la capacità di plasmare la dimensione cognitiva dei nostri ragazzi. Attraverso lo smartphone, ad esempio, é possibile condividere foto, musica, video: la “condivisione”, pertanto, é il vero statuto che regola l'universo del web. Tutto ciò potrebbe sembrare positivo, ma non lo é, perché il potere uniformante della Rete si pone in antitesi con le “leggi bronzee” del Sapere che si fondano sulla pluralità, sulla diversità, sul dissenso, sulla ricerca della confutazione e non già della condivisione. La scuola dovrebbe studiare i suoi nemici per poterli battere ma non lo ha mai fatto perchè non si é mai davvero preoccupata di formare un cittadino incline al confronto, curioso, tollerante e famelico di cultura. Per queste ragioni siamo diventati poco sociali, sempre meno socievoli e sempre più “social”. Bella consolazione!
Editorale apparso su La Provincia del 10 giugno 2019