La brillante riflessione di un docente di Teologia sul rapporto tra destra italiana e voto cattolico. Si tratta del testo integrale apparso su La Provincia di giovedì 23 aprile nelle pagine delle "Lettere al Direttore".
Egregio Direttore, è con crescente interesse che seguo sul suo giornale la pagina dedicata alle opinioni. Mi ha colpito in particolare un articolo apparso il 22 aprile dedicato al rapporto tra il Pdl e la Democrazia Cristiana. Senza entrare nel merito dei tanti punti toccati nell’articolo, che per essere adeguatamente commentati meriterebbero una disamina più articolata ed estesa di quanto qui è possibile fare, vorrei semplicemente riprendere il tema che si riferisce all’influenza del Vaticano sulle vicende della nazione italiana. Per certi versi tale influenza è ovvia e quasi necessaria: il Vaticano è infatti uno stato indipendente e sovrano che però si trova in Italia e intrattiene con il nostro paese, a motivo di questa sua singolarissima condizione, non solo rapporti diplomatici ma nello stesso tempo anche relazioni “intense e particolari” improntate ad amicizia e familiarità. In questo quadro assai positivo e per certi aspetti “esemplare”si apre uno spazio di libertà e, nello stesso tempo, di interazione dialettica in cui emerge la soggettività della Chiesa con la sua missione pastorale e il suo magistero, il cui senso è quello di richiamare il valore che hanno per la vita non solo privata ma anche e soprattutto pubblica alcuni fondamentali principi etici. Solo così è possibile, per la Chiesa, garantire e promuovere la dignità della persona e il bene comune della società e, pertanto, realizzare l’auspicata vera e propria cooperazione tra Stato e Chiesa. In questo senso, hanno un fondamento le affermazioni che ritroviamo nell’articolo quando si scrive che “il Vaticano ha sempre considerato l’Italia una sua propaggine” o per converso che “i partiti, dopo la caduta del fascismo, hanno costantemente inseguito la legittimazione delle alte gerarchie ecclesiastiche”. Tutto ciò si inscrive pienamente nella logica che guida e sostanzia la storia dei rapporti fra Stato e Chiesa, una storia faticosamente aperta, da un lato, alla ricerca della corretta applicazione concreta del principio della distinzione tra quel che è di Cesare e quel che è di Dio e, dall’altro lato, alla salvaguardia del delicato principio della libertà religiosa. Ora, il merito di questo articolo non è solo di averci ricordato, sia pure in brevi passaggi e rapide annotazioni, tutto ciò, ma credo sia, soprattutto, quello di avere messo in luce un meccanismo spesso ignorato nei dibattiti pubblici e taciuto persino da tanta parte della stampa nazionale, e cioè il sospetto che le istanze dottrinali del magistero ecclesiastico, soprattutto in campo etico, siano sostenute dalla destra italiana non per il valore morale che esse rappresentano ma per il vantaggio, tutto politico, che ne deriverebbe sul piano del consenso da parte delle gerarchie ecclesiastiche. Berlusconi, in definitiva, sembra avere intuito che, a differenza del passato, la “questione cattolica” non propone più un modello di relazioni con le forze politiche lineare e coerente. Con la fine del comunismo, della Prima Repubblica e della Democrazia Cristiana, infatti, la Chiesa si è fatta trasversale e trasversalmente sostiene non più un partito, ma una serie di provvedimenti. Bastino gli esempi della fecondazione assistita e, quello più recente, del testamento biologico. Che tutto questo si possa leggere su un giornale che di provinciale sembra avere davvero solo il nome, caro Direttore, non può che farle onore.