Per i 5 Stelle il contratto di governo con la Lega aveva la finalità di infliggere il colpo di grazia al “patto del Nazareno” che avrebbe consentito a Berlusconi una sopravvivenza politica di cui Matteo Renzi sarebbe stato il garante. Beffardamente, l'approdo finale di questo governo sarà l'avvento di una destra ancora più forte che ha solo rovesciato al proprio interno i rapporti di forza tra la componente liberista di Forza Italia e quella populista della Lega. La domanda, quindi, da porre a Luigi Di Maio risulta semplice, elementare e, perfino, banale: cui prodest, cioè, a chi giova realmente il contratto di governo con la Lega?
------------------------
Dopo aver salvato il ministro Salvini dal processo sul caso Diciotti, risulta facile prevedere che le fibrillazioni interne al movimento 5 Stelle finiranno per rendere sempre più serrato il confronto sia sulla leadership di Luigi Di Maio che sull'alleanza con la Lega. Malgrado non sia possibile prevedere la durata dell'attuale esecutivo, ci troviamo davanti ad un percorso che sembra condurre ineluttabilmente il paese verso una chiara egemonia della destra. Il movimento 5 Stelle farebbe bene a riflettere sull'esito finale di un'alleanza che ha regalato a Matteo Salvini una popolarità largamente superiore alle attese e ai reali meriti. Parimenti, anche il partito Democratico farebbe bene a porsi qualche interrogativo sulle ragioni che hanno condotto il paese a questo scenario gattopardesco, del tutto singolare, nel quale la destra sembra essere risorta inopinatamente dalle sue stesse ceneri. Sarebbe utile rammentare che, per i 5 Stelle, il contratto di governo con la Lega aveva la finalità di infliggere il colpo di grazia al “patto del Nazareno” che avrebbe consentito a Berlusconi una sopravvivenza politica di cui Matteo Renzi sarebbe stato il garante. Beffardamente, l'approdo finale di questo governo sarà l'avvento di una destra ancora più forte che ha solo rovesciato al proprio interno i rapporti di forza tra la componente liberista di Forza Italia e quella populista della Lega. La domanda, quindi, da porre a Luigi Di Maio risulta semplice, elementare e, perfino, banale: cui prodest, cioè, a chi giova realmente il contratto di governo con la Lega? I fatti degli ultimi mesi dimostrano, in modo inequivocabile, che, dopo aver “cannibalizzato” Forza Italia, Matteo Salvini si accinge ad annettersi anche una parte crescente del movimento 5 Stelle. Alla fine di questa esperienza di governo, risulta ragionevole credere che Di Maio ne uscirà con le ossa rotte e con la responsabilità di avere garantito a Silvio Berlusconi un potere di interdizione che si annuncia comunque determinante. La grave responsabilità di Luigi Di Maio, pertanto, é quella di aver impresso alla politica italiana una traiettoria da cui non sortirà alcun cambiamento. Consegnandosi alla Lega, in pochi mesi il movimento 5 Stelle ha visto erodere una parte rilevante del suo capitale sociale. Piaccia o no, Di Maio sarà costretto a prendere atto che il “governo del cambiamento” ha solo cambiato i connotati del suo movimento che appare sempre più succube di un alleato il quale, dopo avere fatto irruzione nelle periferie, oggi vanta anche il sostegno di quella piccola borghesia che imputa alla sinistra la responsabilità di un'accoglienza indiscriminata e priva di regole. La lezione che tutti dovrebbero trarre da questo scenario verte sulla mirabolante capacità della destra italiana di ricompattarsi malgrado al suo interno convivano anime e culture del tutto antitetiche e, perfino, incompatibili. A pochi giorni dalle primarie, anche il partito Democratico dovrebbe avvertire la necessità di riflettere su questo limite della sinistra che ha contribuito non poco ad alimentare il caos di questi ultimi mesi. Dopo il tracollo elettorale del 4 marzo, con la mutria del re offeso Matteo Renzi ha commesso lo stesso errore di Di Maio troncando sul nascere ogni ipotesi di interlocuzione tra Pd e 5 Stelle e imponendo una linea che non ha giovato né al suo partito né al paese. Le primarie, pertanto, dovranno essere l'occasione per restituire al Pd un potere di iniziativa ad ampio spettro, senza pregiudiziali e senza preclusioni di sorta, partendo dal presupposto che c'é una parte rilevante della nazione che continua a credere nell'Europa e nei valori della democrazia liberale. Bisogna chiamare a raccolta questa parte del paese con un progetto politico che abbia nuovi interpreti, seri e credibili. Lo sappiamo, non sarà facile, perchè, come diceva Longanesi, “non sono le idee che mi spaventano, ma le facce che rappresentano queste idee”.
Editoriale apparso su La Provincia del 25.02.2019