Il pugile americano Harry Greb ebbe molto soprannomi, “Gatto selvaggio” fu uno di questi. La sua indomita combattività, unita a intelligenza e astuzia, ne fecero uno dei pesi medi più forti e rispettati della storia del pugilato. Gene Tunney, il famoso peso massimo che subì la sua unica sconfitta in carriera proprio da Greb, a distanza di più di mezzo secolo ricorda sfide ed episodi che caratterizzarono la breve vita terrena del suo fiero rivale.
-------------------
Greemwich, Connecticut, 2 novembre 1978.
Gene, “Il Gatto selvaggio di Pittsburgh”, eccome, se lo ricordava.
Dalla finestra dell’ospedale, l’anziano pugile osservava la neve cadere copiosa nel giardino. Era una di quelle bufere che potevano colpire la città nei mesi invernali, e la sensazione che provocava tutta quella distesa di bianco che, in anticipo sul calendario, sommergeva il panorama, era qualcosa di unico.
Mark, anziano giornalista di boxe e amico di lunga data di Gene, fin dai tempi in cui loro due, fieri e giovani virgulti yankees si erano arruolati nei marines, sedeva accanto al compagno di tante avventure.
“Quindi, Gene, quella volta con Harry Greb fu peggio che a Yale?”, chiese sornione Mark.
Il volto dell’ex campione fu illuminato da un improvviso sorriso.
“Ah ah ah, Yale…”, rispose Gene, non riuscendo a trattenere una sonora risata.
“Beh, sì”, continuò l’ex pugile, “in effetti le lezioni con davanti tutta quella gente furono come dei round, Mark, e anche se c’erano sempre i miei amici Bernard e Thornton, seduti in prima fila, la cosa non mi facilitò, anzi. Però Harry Greb..”.
Gene Tunney, il pugile letterato, a fine carriera si era cimentato in una serie di lezioni su Shakespeare, all’università di Yale. Bernard Show e Thornton Wilder, suoi amici fraterni, avevano insistito fino a convincerlo, e Gene, per alcuni giorni, parlò agli studenti dell’università, e fu un successo che andò al di là delle più rosee previsioni.
I due vecchi amici intanto sorseggiavano i loro thè con lo stesso piacere di quando, in gioventù, avevano sorseggiato innumerevoli bicchieri di whiskey.
“Certo, il corso su Shakespeare, a Yale, fu un bell’impegno”, affermò Gene tradendo un certo tono di condiscendenza, “niente, però, in confronto a quel tipo di Pittsburgh.
Te lo ripeto, Mark”, proseguì, “quel tizio, Greb, era un autentico demonio. Quanti anni sono passati? Vediamo, si, cinquantasei, giusto? Cinquantasei anni da quella sera di New York non sono pochi, amico, ma quell’incontro è un incubo che periodicamente torna a farmi visita”.
Il 23 maggio 1922, a New York, il peso medio Harry Greb sconfisse ai punti in quindici riprese il peso massimo Gene Tunney, conquistando il titolo dei mediomassimi. Fu quella l’unica sconfitta patita da Tunney nei suoi settantasei combattimenti ufficiali. Fu un match durissimo e non si ricorda altra occasione nella quale “il marine”, come era chiamato Tunney per via della militanza in quel corpo nel corso della prima guerra mondiale, venne messo a così dura prova. Senza considerare che Greb, un peso medio naturale, era notevolmente inferiore oltre che di peso, anche di altezza, rispetto al pugile nativo di New York. Il futuro campione del mondo dei pesi massimi dovette passare anche alcuni giorni in ospedale per via di alcune costole incrinate.
Mentre la nevicata fuori stagione non accennava a placarsi, i due anziani, entrambi ricoverati al Greenwich Hospital, per i postumi di una brutta broncopolmonite Mark, per l’aggravarsi di disturbi di circolazione Gene, osservarono scorrere sul televisore della sala comune le immagini della puntata di “Dallas”, la soap opera in onda sulla CBS dalla passata primavera.
“Gene”, disse Mark, “cosa ricordi di lui, di Greb? “
L’ex campione, coprendosi con il plaid fin quasi al collo e schiarendosi in modo energico la voce, si rivolse all’amico con un sorriso vagamente enigmatico.
“Era un tipo particolare quel Greb, una forza della natura come raramente ne nascono”, disse Tunney aggrottando le sopracciglia in un’espressione di concentrazione che testimoniava lo sforzo nel ricordare episodi lontani nel tempo.
“Ne ho sentito raccontare più su di lui, che su qualsiasi altro pugile”, disse Gene.
“Come quella volta”, continuò l’ex marine, “poco prima delle festività di Natale. Mi sembra si trattasse del 1914, oppure era l’anno dopo, non ricordo bene. Beh, quella volta sembra che quel demonio di Greb avesse combattuto per un paio di riprese con un braccio rotto. Un braccio rotto, capisci? Cose da non credere, Mark”.
Il 16 dicembre 1915, durante un combattimento contro Kid Graves, Greb si ruppe un braccio dopo pochi secondi dall’inizio del match continuando a combattere con il braccio buono come se nulla fosse fino all’inizio della terza ripresa, quando, nonostante volesse assolutamente continuare l’incontro, venne fermato dall’arbitro.
“Oppure suoi incontri contro Willie “Ko” Brennan.” proseguì Gene, con il volto illuminato da un improvviso lampo.
“Mark”, proseguì, “te lo ricordi “Ko” Brennan, l’irlandese di Buffalo? Quel nomignolo, “Ko”, non gli era stato affibbiato a caso, per la malora! Brennan era un ottimo peso mediomassimo che combattè spesso anche nella categoria superiore, me lo ricordo, me lo ricordo eccome. Eppure Greb vinse, nonostante peso ed altezza inferiori.”
“So che è morto tre anni fa, il vecchio Willie Brennan”, disse Mark, “Tutto vero comunque, Gene, ricordo che un paio di vecchi colleghi mi hanno parlato di quei tre incontri. Greb era un peso medio, ma pareva possedere una forza mostruosa”.
“Era l’energia, Mark!” Il volto di Tunney aveva assunto un’espressione seria. Le parole dell’ex campione ora echeggiavano nella sala con in sottofondo quelle dei protagonisti di “Dallas”. I due anziani erano rimasti soli, mentre tutti gli altri ospiti dell’ospedale avevano fatto ritorno nelle rispettive camere, in attesa della cena.
“Quell’uomo”, disse Tunney, “ne disponeva più di qualsiasi altro pugile che io abbia incontrato, questa è la verità! Era capace di tirare fuori tesori di energia selvaggia da non si sa bene dove, credimi. Te lo dice uno che lo conosceva molto bene.”
Tunney e Greb si incontrarono altre quattro volte dopo il primo match vinto dal pugile di Pittsburgh. Nei due incontri ufficiali, Tunney, dall’alto della sua classe, riuscì a vincere, seppur con molta fatica; mentre, nelle altre due contese non ufficiali, i due pugili riportarono una vittoria ciascuno. Dopo quegli incontri combattuti al limite delle forze, Tunney risultò sempre molto provato, come mai gli sarebbe capitato in seguito, nemmeno nei suoi celebrati duelli contro Jack Dempsey.
“D’altra parte, Mark, ti ricordi come veniva chiamato nell’ambiente, Greb?, continuò Gene, “Il Gatto selvaggio. Sì, il Gatto selvaggio di Pittsburgh. Lui partiva all’attacco come una furia, colpiva e colpiva mulinando quelle braccia in modo forsennato, con una velocità e una rabbia che non parevano di questo mondo.”
Mark Finney annuì, continuando a seguire con attenzione il filo dei ricordi dell’amico.
“Beh”, disse Jane, “poi li ricordi anche tu, quegli anni, Mark: il Volstead Act, il proibizionismo e tutto il resto. A Greb piaceva un sacco bere, forse, per dimenticare le sue disgrazie. La morte della figlia lo aveva sprofondato nel baratro, e l’alcool era diventato il suo modo per scacciare quel tremendo ricordo.”
Dopo la morte della figlia di appena due anni, avvenuta nel 1920, Greb cominciò ad ubriacarsi in modo inconsiderato. Si allenava poco, e pareva che alla vigilia degli incontri facesse il giro dei pub fino all’alba, non risparmiandosi dosi massicce di alcolici.
“Le ho sentite quelle storie su di lui, Gene”, disse Mark, “si diceva che in alcuni incontri fosse salito sul ring mezzo sbronzo, e in più era guercio da un occhio, ricordi? Diavolo di un uomo!”.
Il 29 agosto del 1921, Greb subì il distacco della retina dell’occhio destro in un match contro il mediomassimo Kid Norfolk, pseudonimo di William Ward, a causa di una ditata del suo avversario, e l’anno successivo, il 10 novembre del 1922, dopo l’incontro contro Bob Roper, Greb perse completamente la vista dal quell’occhio. Gliene venne applicato uno di vetro, ma, nonostante la menomazione, “il Gatto selvaggio” continuò imperterrito a salire sul ring e spesso contro avversari di stazza superiore, che pesavano anche dieci o venti chilogrammi più del “Mulino umano”, altro suo soprannome.
“Ho sentito tante storie su di lui” , riprese Mark, “ehi, Gene, ricordi quella volta del tentativo di rapina? Pare che avesse conciato per le feste i malcapitati senza l’aiuto di nessuno, solo con la forza dei suoi pugni.”
Durante un tentativo di rapina subito nella sua auto da cinque balordi, Greb si comportò come se fosse sul ring. Quando sul posto arrivò la polizia, trovò tracce di sangue dappertutto, ma non era quello del pugile. Chiamato alla stazione di polizia per identificare uno dei rapitori, Greb trovò la moglie del malcapitato in lacrime e con in braccio un bambino. Preso da compassione, rinunciò a sporgere denuncia e pagò la cauzione del malvivente.
“Certo, Mark, mi ricordo bene”, aggiunse Gene, “ma nessuna potrà mai superare la storia capitata quella volta al “Texas Guinan’s Club” di New York. Se non me l’avesse raccontata una sera di tanti anni fa lo stesso poliziotto che era di pattuglia quella notte, non ci avrei mai creduto; anche se, col gattone, non si poteva mai essere sicuri di nulla. Greb e Mickey Walker, che spasso, quella volta!”
Il 2 luglio 1925, al Polo Grounds di New York, davanti a cinquantamila spettatori, Herry Greb e Edward Partick “Mickey” Walker si sfidarono per la corona dei pesi welter detenuta da quest’ultimo. Walker era una specie di bulldog rabbioso, un autentico fighter, e quel match fu ricordato come uno dei più violenti della storia del pugilato. L’arbitro, Eddie Purdy, dichiarò vincitore Greb ai punti, nonostante l’altezza e la stazza di Walker fossero nettamente superiori.
Ma il match vero, fra di loro, si sarebbe in realtà disputato poche ore dopo, quando i due pugili si ritrovarono casualmente in un locale di New York.
“Mi ricordo di aver letto qualcosa, a proposito”, disse Mark, “sì, successe un bel putiferio fuori da quel locale, vero, Gene?”
“Ah ah ah…ci puoi giurare, amico! “, rispose Gene, non riuscendo a trattenere una risata seguita da un attacco di colpi di tosse.
“Ehi, Gene, tutto a posto?, chiese Mark preoccupato.
“Sì, amico, questa maledetta tosse è un tormento”, rispose Gene.
“Allora”, continuò, “pare che alla fine di quel terribile incontro che entrambi pensavano di aver vinto, i due si incrociarono casualmente in quel night club sulla West 54th Street, il “Texas Guinan’s 300 Club”. Sembra che i due se la siano spassata per tutta la sera chiacchierando amabilmente con Mary “Texas”. Te la ricordi Mary, Mark?”
Mary “Texas” Guinan, cantante e attrice, era considerata una delle regine della notte nella New York di quegli anni. Con il suo “hello suckers!” Mary apriva ogni sera il suo spettacolo salutando con uno sberleffo oltraggioso il perbenismo imperante dell’epoca. La Guinan ebbe molti problemi con la giustizia anche a causa della sua pericolosa amicizia con il gangster Owney “the Killer” Madden.
“Oh Gene, e chi se la dimentica la bionda!”, disse Mark, “Charlie Chaplin, Rodolfo Valentino, Babe Ruth e..Mary Guinan! Che anni…”
“Insomma, per farla breve”, continuò Gene, “i due amiconi, dopo aver alzato troppo il gomito, incominciarono a scambiarsi opinioni differenti sul match appena disputato, e decisero di concedersi una rivincita fuori dal locale, e lì, Greb, con un terribile montante, mise ko Mickey, e solo allora considerò definitivamente concluso l’incontro. Pat Casey, il poliziotto di pattuglia che mi raccontò poi l’accaduto, vide tutta la scena e riuscì a convincere i due pugili a far ritorno a casa promettendo loro di non denunciare l’accaduto.”
“Ah ah, incorreggibile, quel Greb”, disse Mark.
Intanto la nevicata sembrava essere diminuita di intensità, e una particolare quiete avvolgeva la stanza, interrotta solamente dal motivo che accompagnava i titoli di coda di “Dallas” che, in lontananza, scorrevano sul televisore.
“Quella forza della natura avrebbe messo in difficoltà anche il diavolo in persona, sul ring”, disse all’improvviso Gene con voce rotta dalla commozione, “è stato un vero peccato che sia finita così in anticipo la sua corsa terrena
Harry Greb spirò a soli trentasei anni il 22 ottobre 1926, ad Atlantic City, a seguito di complicazioni seguite a un’operazione per rimuovere un frammento di un osso dal naso, conseguenza di un incidente automobilistico avvenuto a Pittsburgh, un paio di settimane prima.
Al suo funerale, Gene Tunney fu fra coloro che trasportarono la bara di Greb.
*
Vista l’ora, i due anziani pazienti del Greenwich Hospital decisero che era arrivato il momento di far ritorno nelle rispettive stanze.
In silenzio, a passi lenti, uscirono dalla sala comune e si incamminarono lungo il corridoio.
“D’altra parte, Mark”, disse all’improvviso Gene voltandosi verso l’amico “conosci qualcuno a cui piacerebbe vedere invecchiare un gatto selvaggio?”