Da una magistrale lezione di Marcello Lippi tenuta all'Università e-campus di Novedrate ad una riflessione sulla nostra identità di impenitenti individualisti. Siamo un popolo di campioni abituati a bearsi della propria bravura ma non sappiamo assurgere al rango di veri fuoriclasse che sanno porsi al servizio degli altri.
Lo scorso febbraio si è tenuto a Novedrate un convegno di studi organizzato dall’Università e- Campus sul tema “Diritto e Management nello Sport”. Tra i relatori (tutti, invero, di ottimo livello) c’era anche il C.T. della Nazionale, Marcello Lippi, il cui intervento ha scaldato i cuori della platea come solo un uomo di sport sa fare. Lippi ha più volte sottolineato che le grandi vittorie hanno bisogno di due ingredienti: la programmazione e, soprattutto, lo spirito di gruppo. Il nostro C.T. ha più volte ribadito l’importanza che un gruppo sia animato da unità di intenti e da grande coesione interna. “Tutti sono importanti e nessuno è indispensabile”, come soleva dire paron Rocco di cui ne ha evocato, senza dirlo, alcune teorie come quella riguardante la differenza esistente tra un campione ed un fuoriclasse: mentre il primo suole bearsi della sua bravura, il secondo si pone al servizio del gruppo. In pratica, il campione è inguaribilmente malato di solipsismo ed è un protervo individualista che non sa mai essere umile; di contro, il fuoriclasse sa sempre rispettare il gruppo perché è consapevole che, grazie agli altri, la sua classe può uscirne esaltata. Da vero uomo di sport, Lippi ha professato valori che sembrano non appartenere più al mondo reale. Con eloquio familiare e a tratti affabulatorio, il nostro C.T. ha più volte ribadito che l’individualismo è sempre causa di guasti che possono rivelarsi irreversibili. Poiché spesso il calcio rappresenta la metafora dell’Italia, torna spontaneo dilatare questi temi ponendo mente alla nostra quotidianità. Il nostro paese è, storicamente, un paese di individualisti a cui ha sempre fatto difetto lo spirito comunitario della “civitas”. Per guarire da questa patologia collettiva servirebbero regole, norme, spirito di appartenenza. Ma per noi italiani queste cose sembrano surreali. Infatti chi persegue un fine personale a danno degli altri non indigna più nessuno, questo perché simili devianze si sono diffuse e radicate al punto da essersi trasformate tacitamente in norma. Potremmo fare vari esempi: la raccomandazione, il clientelismo, l’evasione fiscale. Si tratta di fenomeni degenerativi che si sono talmente insinuati nel profondo del nostro “ethos” da non suscitare più alcuna disapprovazione sociale. In questo modo diventa inevitabile la lenta decomposizione del tessuto sociale ed il conseguente trionfo dell’individualismo proprio come nella Favola delle Api di Mandeville dove “i vizi privati di ogni genere sono di pubblico beneficio”. Ammettiamolo: siamo degli individualisti impenitenti che se ne fregano bellamente del diritto, delle regole, perfino della morale cattolica e della Costituzione. Ci appelliamo al rispetto delle regole solo quando ci aggrada perché, se violarle ci giova, non esitiamo a farlo. Ci diciamo cattolici e bravi cittadini democratici senza aver mai letto un passo della Bibbia o un solo articolo della Costituzione. In tutta onestà, ogni tanto ci assale il dubbio se siamo davvero un popolo democratico come proclamiamo di essere. Crediamo erroneamente che la democrazia consista “sic et simpliciter” nel tenere libere elezioni. In realtà questa è una visione minimalista perché, come diceva Bobbio, prima di essere una procedura e un sistema politico, la democrazia è un sistema di valori, un modo di vivere, una visione del mondo. Si è democratici nell’animo, nell’intelletto, nella cultura. Solo la somma di tanti cittadini che hanno il senso della democrazia può dare senso alle istituzioni e farle respirare democraticamente. L’insegnamento di Lippi dovrebbe pertanto indurci a riflettere sulla nostra identità. Abbiamo tanti campioni ma pochi, veri fuoriclasse. Dobbiamo insegnare alle nuove generazioni a fare il salto di qualità che non è riuscito a noi adulti perché solo così tanti giocatori formano una vera squadra e tanti cittadini possono formare una vera nazione.