Siamo un popolo immaturo, come dimostra il proliferare di fenomeni aberranti come l’abusivismo edilizio, la raccomandazione, la tangente, l’evasione fiscale, tuttora vissuti con un senso di assoluta normalità.
Riflessione a margine del libro di Marco Belpoliti dal titolo “Senza vergogna”, edito da Guanda. La tesi dell’autore è che gli italiani hanno vissuto un vero e proprio mutamento antropologico, come si può desumere dalla nostra incapacità di vergognarci davanti ad ogni anomalia, abuso o illegalità. Partendo da questo assunto, che condividiamo, la nostra riflessione muove dalla constatazione che siamo sempre stati un popolo refrattario alle regole che rispettiamo più per necessità che per convinzione. Da un po’ di tempo iniziamo a detestare sempre più l’Europa proprio perché ci impone il rispetto inderogabile delle regole. L’Europa ha la grave colpa di mettere a nudo ciò che siamo: un popolo di individualisti, spesso talentuosi, che non ha mai saputo diventare una nazione. I nostri conti pubblici sono alla sbando da decenni ma nessuno ormai ci faceva più caso. Provate a leggere un quotidiano o una rivista di trent’anni fa, i temi sono gli stessi di oggi: il Mezzogiorno, la disoccupazione, la mafia, l’ordine pubblico, il calcio, la censura e il controllo della Rai da parte dei partiti di governo. Siamo un paese fermo, immobile. L’unica novità, il federalismo, è solo apparente perché, già prima dell’avvento delle Regioni (1970), il tema del decentramento era stato oggetto di accesi dibattiti. C’era e c’è sempre stata, fin dall’epoca dell’Assemblea Costituente, la chiara consapevolezza dei limiti del centralismo che, è doveroso ricordare, rappresentò una scelta obbligata, un lascito ineluttabile dell’Italia post-Risorgimentale e fascista. Quell’Italia, tuttavia, serbava in sé una grande capacità di ripulsa morale che talora poteva risultare perfino esplosiva. Oggi, di contro, la società civile appare senza nerbo, condannata a vivere una sorta di narcosi collettiva che le ha sottratto ogni energia. Questo deliquio del tessuto sociale ha finito per rendere più visibile l’atavica renitenza del cittadino italiano a rispettare le regole dello Stato. Occorre ammettere che è venuto meno il riconoscimento di un quadro condiviso di regole morali che in passato ha supplito alla istintiva ostilità del cittadino nei confronti delle leggi. Siamo diventati un popolo che ha smarrito le proprie coordinate etiche senza avere mai avuto un reale senso delle istituzioni e delle regole statuali. Sorge il dubbio che la secolarizzazione abbia spazzato via le uniche norme ritenute valide dal cittadino che non erano quelle dello Stato ma erano quelle imposte dalla morale cattolica. L’attuale degrado morale potrebbe anche essere letto come l’esaurimento di un passaggio storico, fondamentale nella storia del nostro paese, che si fondava su un patto tra Stato e Chiesa Cattolica: al primo, spettava il compito di alfabetizzare e formare il popolo sul piano culturale, al secondo il compito di educarlo sul piano morale. In quest’ottica, la scuola pubblica e il catechismo nelle parrocchie rappresentavano i luoghi deputati alla crescita civile e morale di ogni italiano. Potrà apparire strano ma in questo quadro il Diritto, lo ius, diventava (partenogenesi dei fini) una sorta di optional per ogni cittadino che, fin da bambino, sapeva recitare a memoria tutte le preghiere ma ignorava completamente i dettami della Costituzione. La verità è che siamo rimasti un popolo immaturo, come dimostra il proliferare di fenomeni aberranti come l’abusivismo edilizio, la raccomandazione, la tangente, l’evasione fiscale, che vengono tuttora vissuti con indifferenza e con un senso di assoluta normalità. Questo è il vero motivo per cui l’Europa inizia a piacerci sempre meno, perché siamo rimasti acerbi sul piano civile e non proviamo alcuna vergogna delle infinite illegalità che costellano la nostra quotidianità. Un paese “senza vergogna” è un paese che ha smarrito la propria anima e la propria identità. Viviamo con il terrore di tornare ad essere un paese povero ma non ci siamo accorti che, poveri, lo siamo diventati già da un pezzo.