La contrapposizione tra destra e sinistra sta sfibrando il nostrro paese. La politica italiana è gravemente malata di ideologia. Servirebbe una Grande Riforma ma nessuno degli attori politici possiede una cultura autenticamente riformista. Le polemiche sulla giustizia rappresentano un esempio eloquente della deriva italiana.
Dopo Tangentopoli la politica italiana sembra essere entrata in un tunnel senza fine. Il paese avrebbe urgente bisogno di una serie di riforme strutturali ma la perdurante rissosità del clima politico costituisce un ostacolo che finisce per vanificare qualunque intervento riformatore. Nella passata legislatura il ministro Bersani aveva promosso una serie di misure su cui sarebbe stato lecito attendersi l’appoggio dell’opposizione. Così non è stato ed ora assistiamo ad uno stillicidio di reciproche ritorsioni mentre il paese sembra incagliarsi nelle secche di una crisi economica che ha toccato l’anima del paese, sempre più scettico e sfiduciato. Un esempio paradigmatico del grave clima di contrapposizione esistente nel mondo politico è costituito dal dibattito sulla giustizia. Lo sfascio della macchina giudiziaria è sotto gli occhi di tutti. Ciò malgrado, i nostri politici seguitano a baloccarsi in infinite polemiche che affondano le radici in un passato che viene spesso utilizzato per regolare conti rimasti in sospeso. Questo è il grande limite della politica italiana: la mancanza di ricambio della classe politica che proviene in massima parte da un passato di cui ognuno ha conservato non solo cultura e abiti mentali ma anche rancori, mai davvero sopiti. Servirebbe al paese una Grande Riforma ma è inutile illudersi perché all’intero ceto politico, senza distinzioni di sorta, manca una cultura autenticamente riformista. Oggi tutti millantano di essere riformisti ma i fatti dicono che la politica italiana continua ad essere gravemente malata di ideologia. Si favoleggia da anni della presunta morte delle ideologie ma nel nostro paese ne sopravvivono pesanti incrostazioni dure a morire. La sinistra è culturalmente incapace di mettere mani nella pubblica amministrazione: koinè di ogni sinistra è credere che uno Stato, senza un forte apparato burocratico, è uno Stato monco ed incapace di essere vicino al cittadino. Solo ogni tanto a sinistra fa capolino qualche refolo di cultura federalista che porta ad ammettere il fallimento dell’impianto centralista dello Stato italiano, troppo distante dal cittadino per poterne assecondare istanze e aspettative. Di contro, a destra manca la credibilità per un’efficace azione riformatrice della burocrazia statale perché permane un vizio ideologico esattamente antitetico: un antistatalismo ambiguo e bifronte che conferisce alla destra italiana la peculiarità di essere liberista e statalista insieme a seconda delle circostanze (Alitalia docet) dovendo conciliare la vocazione liberista di Lega e Forza Italia con quella statalista di An. Prevale, in ogni caso, una cultura di larvata ostilità verso il settore pubblico che finisce per inficiare ab origine la credibilità di qualunque ipotesi di riforma. Specialmente nell’ambito della sanità e della scuola, a destra prevale il pregiudizio (ideologico) che “privato è bello”, che il settore privato sia sempre più efficiente del settore pubblico, cronicamente afflitto da sprechi e irresponsabilità dei centri decisionali. Come sempre, la verità sta in mezzo. E’ innegabile che nel settore pubblico ci siano sacche parassitarie da debellare ma risulta decisamente illegittimo l’approccio manicheo della destra italiana per cui il settore pubblico è in re ipsa sinonimo di inefficienza. Come si vede, destra e sinistra stentano ad affrancarsi dai rispettivi retaggi ideologici che li conduce a perpetuare una contrapposizione che sta sfibrando il paese. Poiché, come dicevamo, è inutile illudersi sulla possibilità di una vera, grande riforma di sistema, per evitare che la situazione si incancrenisca sarebbe opportuno che le parti si accordassero almeno su alcuni temi minimi sui quali c’è l’unanime appoggio dell’opinione pubblica: ad esempio, la riduzione del numero dei parlamentari, la riduzione degli stipendi dei parlamentari italiani, dei nostri parlamentari europei e dei consiglieri regionali, la differenziazione delle funzioni del Senato, la sospensione del varo di nuove Provincie, l’abolizione del canone Rai. Si tratta solo di alcuni esempi sui quali le forze politiche potrebbero realizzare in modo bipartisan anche solo delle riforme parziali che, nella palude politica del nostro paese, sarebbero percepite comunque come un segnale di cambiamento. In attesa delle grandi riforme, oggi il cittadino si accontenterebbe anche solo di questo piccolo “beau geste”. A volte basta davvero poco per ridare fiducia ad un popolo.