Matteo Salvini ha chiamato a raccolta tutto quel pezzo di società italiana che, avvertendo una profonda inquietudine per il proprio futuro, tende a provare una grande nostalgia per il passato. L'ostilità contro l'Ue, la voglia di tornare alla lira, la paura per gli immigrati, il ricorso incontrollato al debito pubblico, la battaglia contro le unioni civili e, come si é visto a Verona, perfino contro il divorzio e l'aborto, rappresentano il segnale, forte ed inequivocabile, di una politica che usa il sovranismo per occultare la sua vocazione retriva e profondamente reazionaria.
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Dopo il decreto-sicurezza e la legge sulla legittima difesa, all'interno del Movimento 5 Stelle sono in tanti a chiedersi il senso di un'alleanza con un partner che, poco alla volta, sta imprimendo all'azione di governo una traiettoria politica che condurrà il paese ad un cambiamento del tutto difforme da quello agognato dal movimento. La manifestazione di Verona rappresenta la prova inconfutabile che, sul piano dei diritti civili, Lega e 5 Stelle restano due forze incompatibili. Più volte abbiamo sostenuto che il limite più grave dei 5 Stelle fosse costituito dalla sua identità, troppo labile per guidare un paese pieno di contraddizioni al quale servirebbe un governo in grado di tenere la barra ferma sugli obiettivi da perseguire: questo governo, inutile nasconderlo, non ha i requisiti per indicare un percorso chiaro e, soprattutto, univoco. Dopo l'avvento di questo esecutivo non sappiamo quanti elettori dei 5 Stelle avrebbero immaginato di trovarsi alla mercé di un alleato che, dopo il 4 marzo, vantava poco più della metà dei voti del movimento. L'euforia di un ingresso trionfale nel Palazzo, unita ad una inebriante ebbrezza del potere, si é trasformata in una crescente subalternità alla Lega che ha finito per regalare a Matteo Salvini una leadership che oggi appare inattaccabile. Uno degli errori più macroscopici di Luigi Di Maio é stato quello di aver scommesso su un “governo del cambiamento” con un alleato che, culturalmente é incline a guardare al futuro con grande circospezione e, talora, perfino con larvata ostilità. In questi nove mesi di governo, Matteo Salvini ha chiamato a raccolta tutto quel pezzo di società italiana che, avvertendo una profonda inquietudine per il proprio futuro, tende a provare una grande nostalgia per il passato. L'ostilità contro l'Ue, la voglia di tornare alla lira, la paura per gli immigrati, il ricorso incontrollato al debito pubblico, la battaglia contro le unioni civili e, come si é visto a Verona, perfino contro il divorzio e l'aborto, rappresentano il segnale, forte ed inequivocabile, di una politica che usa il sovranismo per occultare la sua vocazione retriva e profondamente reazionaria. Questa parte del paese non costituisce un’eccezione in Europa. Infatti, c'è una parte del Vecchio Continente che vede nell'immigrazione di massa e nella globalizzazione la causa del proprio impoverimento. Per questo motivo, si sente defraudata dalla politica a cui, non senza ragioni, viene imputata la responsabilità di una costruzione europea che non ha fatto nulla per proteggere i cittadini dalle insidie del mercato globale. Questa spiccata sfiducia nei confronti della politica rappresenta l'humus che ha favorito l'esplosione delle forze populiste di cui é stata finora sottovalutata la grande capacità di svuotare la democrazia dei suo valori costitutivi. La singolare caratteristica del populismo, infatti, é di usare le elezioni non per celebrare la democrazia ma per delegittimarla. In questo senso, la glorificazione del popolo serve a giustificare il graduale svilimento di quel valore che la cultura occidentale ha posto come fondamento di ogni società: l'uguaglianza, quella che la Costituzione repubblicana esalta nell'art. 3 con un monito perentorio (“senza distinzioni di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali”). La partita che si sta giocando in tutto l'Occidente determinerà il futuro e le sorti di interi popoli e di intere nazioni, noi inclusi. A Salvini va riconosciuto il merito di aver capito l'importanza di questo passaggio storico che, di contro, sembra sfuggire alle componenti più progressiste del paese. Infatti, mentre la Lega vive senza complessi la sua politica “binaria” (con i pentastellati nel governo nazionale e con Forza Italia nei governi locali), 5 Stelle e Partito democratico non si rassegnano a capire che c'é la necessità di liberare il paese da tutte quelle ansie su cui Salvini continua a costruire le sue fortune. Se c'é un'Italia che, per paura, vuole erigere muri, c'é un'altra Italia che, con fiducia, vuole costruire ponti. Lo ha detto papa Francesco, un vero gigante in questo tragico universo di nani.
Editoriale apparso su La Provincia del 1 aprile 2019