La propensione a credere che tutti i primari di ospedale siano raccomandati, che tutti i docenti universitari abbiano vinto concorsi truccati, che tutta la magistratura sia politicizzata, ha finito per creare nel cittadino una sorta di assuefazione al degrado che si traduce in una neghittosa indifferenza davanti alle turpitudini perpetrate dal singolo: “tanto, si sapeva!”. E' questo il vero dramma del nostro paese, questa complice rassegnazione del cittadino che non é più in grado di indignarsi davanti alla corruzione che dilaga nel paese e che dimentica che la responsabilità degli illeciti va imputata al singolo e non alle categorie a cui essi appartengono.
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Gli scandali giudiziari che, in questi giorni, impazzano in ogni periferia contribuiscono a far crollare le certezze di un popolo che sembra avere smarrito i propri riferimenti più tradizionali. Professioni prestigiose come quella del magistrato, del commercialista, dell'avvocato, del medico, del docente universitario, subiscono sempre più spesso l'onta di inchieste giudiziarie che rischiano di alimentare una caratteristica, tipicamente italiana, che si può riassumere in questo assioma: tutti colpevoli, tutti assolti. La propensione a credere che tutti i primari di ospedale siano raccomandati, che tutti i docenti universitari abbiano vinto concorsi truccati, che tutta la magistratura sia politicizzata, ha finito per creare nel cittadino una sorta di assuefazione al degrado che si traduce in una neghittosa indifferenza davanti alle turpitudini perpetrate dal singolo: “tanto, si sapeva!”. E' questo il vero dramma del nostro paese, questa complice rassegnazione del cittadino che non é più in grado di indignarsi davanti alla corruzione che emerge dalle inchieste. Dopo tangentopoli, la nostra società si é via via adagiata su una etica collettiva che ha concepito il malaffare come un elemento costitutivo, quindi ineliminabile, della quotidianità. Lo sblocco delle grandi opere, di cui si discute in questi giorni, risulta paradigmatico. Al pensiero, nobile, che lo sblocco delle opere pubbliche possa servire a ridare fiato alla nostra economia, fa da sfondo un altro pensiero, decisamente meno nobile: quello delle tangenti che, “naturaliter”, accompagneranno tutti gli appalti, nessuno escluso. L'abito mentale resta il medesimo: senza tangenti, risulta impossibile aggiudicarsi un appalto, senza l'appoggio di un politico risulta perfino inutile partecipare ad una gara. Potrà mai migliorare un paese incapace di capire che la responsabilità di un illecito é sempre personale e che, per tale ragione, non può essere banalmente e stolidamente generalizzata? Se al senso comune sfugge una simile ovvietà, vorrà dire che esiste un malessere più profondo che ci impedisce di capire ciò che siamo diventati o, ancor peggio, ciò che siamo sempre stati. Con un minimo di onestà intellettuale, dovremmo, ad esempio, ammettere che i modelli culturali celebrati negli ultimi trent'anni rappresentano il vero humus da cui trae origine l’atonia morale del paese. La corruzione emersa negli ultimi scandali giudiziari costituisce il distillato di questa operazione culturale che preesiste nella società e che, per osmosi, viene poi trasfusa nella politica. Il cittadino italiano seguita a coltivare una vacua nozione della legalità che può essere piegata ad una logica privatistica del tutto sprezzante dell’interesse generale. D’altro canto, risulta innegabile che, storicamente, lo spirito pubblico di ogni italiano é sempre stato circoscritto alla famiglia e agli amici. Chi é fuori da questo perimetro relazionale, chi, cioé, non é familiare o amico, di fatto non esiste. L’alunno che, tra i banchi di scuola, fa copiare un compagno, si preoccupa di conservare il legame amicale senza pensare a quello istituzionale con l’insegnante che, di contro, può essere gabbato senza mercé. Un giorno quei due alunni non avranno alcuna remora a farsi beffa dello Stato per cui non disdegneranno le raccomandazioni, violeranno impunemente il codice della strada, froderanno il fisco e, magari, entreranno in politica senza mai avere avuto né cultura né passione. L’abisso etico in cui é precipitato il nostro paese affonda le radici in questi comportamenti così diffusi da costituire per ciascuno un alibi: come sempre, tutti colpevoli, tutti assolti. In realtà non é così, perché un lestofante resta un lestofante, e una persona onesta resta una persona onesta anche se prova, talora, il rimorso di esserlo, come accade ai tanti alunni che studiano seriamente e come accade ai tanti professionisti, magistrati e docenti che non smetteranno mai di credere in un paese che impari ad apprezzarli senza farli sentire responsabili delle nefandezze dei loro colleghi.
Editoriale apparso su La Provincia del 1 Luglio 2019