Il corto circuito della nostra democrazia costituisce la conseguenza di una "tempesta perfetta", vale a dire di una crisi politica, economica e istituzionale che troppo semplicisticamente siamo soliti imputare alla Merkel o ai satrapi di Bruxelles. Ci sono responsabilità collettive a cui per lungo tempo ci siamo sotratti e di cui oggi l'Europa ci chiede di pagare il conto. Senza quelle responsabilità, oggi avremmo la giusta autorevolezza per non farci dettare l'agenda dai partners europei e per rammentare alla Germania il vecchio monito di Thomas Mann secondo cui "il vero orizzonte della storia non è quello di una Europa tedesca ma di una Germania europea".
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La fine del "porcellum" decretata dalla Corte Costituzionale ha confermato la delicatezza dell'attuale momento storico nel quale si sta realizzando uno strano intreccio tra crisi economica, crisi politica e crisi istituzionale. Stiamo assistendo ad una "tempesta perfetta" che sta mettendo a dura prova la tenuta del sistema produttivo e della società civile, entrambi attanagliati dal terrore di un impoverimento di massa che, troppo sbrigativamente, viene imputato solo alla "troyka" (Ue, FMI, Bce). In realtà, malgrado le responsabilità dell'Europa nel perseguire stolidamente politiche che alimentano la già grave recessione in corso, la situazione del nostro paese affonda le radici in cause ben più remote. Esistono, infatti, peculiarità tutte italiane che l'Europa ha solo contribuito a disvelare e che, per decenni, l'intero corpo sociale ha sempre finto di ignorare. La democrazia italiana è profondamente malata perchè, da tempo immemorabile, nel nostro paese è venuto meno il "principio di responsabilità". In Italia, ci sono, infatti, sacche di impunità che attraversano in modo orizzontale l'intero spettro sociale. Si tratta di una patologia sociale che non poteva risparmiare la politica che, di contro, ha fatto da “enzima” ad ogni genere di malcostume. La crisi dei partiti nasce dall'arroganza di un ceto politico che non vuole più rispondere al cittadino del proprio operato. Lo stesso "porcellum" rappresenta il grande capolavoro con cui, con proterva improntitudine, la "nomenclatura" ha preteso per anni di sottrarsi all'obbligo di dover rendere conto al cittadino al quale, attraverso la soppressione delle preferenze, è stata inflitta una versione caricaturale di democrazia. Occorre ammettere che fino a quando la società civile ha goduto di un relativo benessere, la pretesa irresponsabilità del ceto politico è passata pressocchè inosservata. La crisi economica ha costituito il vero detonatore che ha indotto l'opinione pubblica ad avvedersi delle aberranti modalità di esercizio del potere da parte di una classe politica sempre più avulsa dalla società civile. Da tempo i partiti si sono trasformati in strutture asfittiche e autoreferenziali, fameliche di potere e di danaro, del tutto incapaci di interpretare le pulsioni di un corpo sociale sempre più inquieto e rabbioso. La crisi di rappresentanza dei partiti ha finito per intaccare le istituzioni che, in una democrazia, si nutrono della linfa vitale della politica a cui spetta il compito di selezionare uomini e competenze. Il deficit di autorevolezza che ha investito tutti gli organi dello Stato nasce da questa grave crisi della politica che ha esteso alle istituzioni la cultura dell'irresponsabilità. Questo è il motivo per cui il discredito ha travolto non solo il Parlamento, ma anche il governo, la magistratura e, per ultimo, la presidenza della Repubblica che sembrava godere di un prestigio inattaccabile. La verità è che, oggi, nel nostro paese, nessuno risponde più a nessuno delle proprie azioni e, soprattutto, omissioni. Stiamo assistendo, con desolante impotenza, ad un drammatico corto circuito della nostra democrazia che costituisce la conseguenza di questa crisi politica, economica e istituzionale che troppo semplicisticamente siamo soliti imputare alla Merkel o ai satrapi di Bruxelles. Ci sono responsabilità collettive a cui per lungo tempo abbiamo preferito sottrarci e di cui oggi l'Europa ci obbliga a pagare il conto. Senza quelle responsabilità, oggi avremmo la giusta autorevolezza per non farci dettare l'agenda dai partners europei e per rammentare alla Germania il vecchio monito di Thomas Mann secondo cui "il vero orizzonte della storia non è quello di una Europa tedesca ma di una Germania europea". Ad alzare la voce senza essere credibili, si corre solo il rischio di apparire ridicoli. Risparmiamoci altre figuracce, per favore!