Ci sono personaggi che sono fissi nella nostra memoria e che sentiamo sempre vivi, per cui ci sembra strano che siano già passati quaranta anni da quell’8 luglio 1978 in cui Sandro Pertini divenne il Presidente della Repubblica. Non erano giorni felici per il nostro Paese, gli anni Settanta si stavano concludendo in un clima d’incertezza e di fragilità politica e di crisi economica, l’inflazione oscillava tra il 17 e il 19%, il prodotto interno diminuiva, la corruzione politica stava sempre più degenerando.
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Ci sono personaggi che sono fissi nella nostra memoria e che sentiamo sempre vivi, per cui ci sembra strano che siano già passati quaranta anni da quell’8 luglio 1978 in cui Sandro Pertini divenne il Presidente della Repubblica. Non erano giorni felici per il nostro Paese, gli anni Settanta si stavano concludendo in un clima d’incertezza e di fragilità politica e di crisi economica, l’inflazione oscillava tra il 17 e il 19%, il prodotto interno diminuiva, la corruzione politica stava sempre più degenerando. Il terrorismo di destra, con la complicità di elementi dei servizi segreti, perseguiva la “strategia della tensione”: mediante attentati dinamitardi (le bombe in Piazza Fontana a Milano, in Piazza della Loggia a Brescia, alla stazione di Bologna con oltre 80 morti) diffondere il panico nel paese per favorire una svolta autoritaria, com’era avvenuto in Grecia dove l’esercito aveva preso il potere. Alcune frange dell’estremismo di sinistra (Brigate Rosse, Prima linea) iniziarono a praticare la lotta armata sognando un’impossibile rivoluzione. Per salvare la democrazia il Presidente della Democrazia Cristiana aveva accettato la proposta del segretario del Partito comunista di un “compromesso storico” tra i due partiti e il 16 marzo 1978 si doveva presentare in Parlamento il primo governo di “solidarietà nazionale”. Nello stesso giorno un commando delle Brigate Rosse sequestrò Moro uccidendo tutta la scorta. Seguirono 55 giorni di indagini e trame varie, il 9 maggio Moro fu ucciso e il suo cadavere abbandonato in un’auto in via Caetani, vicino alle sedi della DC e del PCI. La tragica fine di Moro segnò anche la conclusione del suo progetto politico. Il clima d’incertezza si aggravò quando il Presidente della repubblica Giovanni Leone si dovette dimettere perché indirettamente coinvolto nello scandalo della Lockheed, l’impresa americana accusata di aver corrotto uomini politici perché scegliessero l’acquisto dei suoi aerei militari, gli Hercules C 130. Il ministro della difesa italiana, il socialdemocratico Tanassi, era sotto processo e nel marzo del 1979 sarà condannato a due anni e quattro mesi di carcere e alla decadenza del mandato parlamentare. In Parlamento le forze politiche non trovavano un accordo su di un candidato, così finirono per eleggere (con 832 voti su 995 votanti) il vecchio partigiano socialista, già Presidente della Camera dei deputati dal1968 al 1976, da tutti rispettato per la sua autonomia e forte moralità. Già nel suo discorso d’insediamento si mise in luce la sua personalità, ricordando il nesso inscindibile tra libertà e giustizia sociale, i patrioti con cui aveva condiviso la prigionia e la lotta antifascista, e auspicando che “ si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, si colmino i granai”. In un momento di crisi per il Paese Pertini divenne un punto fermo di riferimento per la difesa delle istituzioni democratiche. Nel suo settennato divenne popolare per la sua capacità di un rapporto schietto e diretto con gli italiani, sia nei momenti tragici (come il funerale per l'assassinio dell’operaio Guido Rossa ucciso dalle BR) come in quelli felici (tutti ricordano la sua esultanza in tribuna allo stadio Bernabéu di Madrid nel 1982 quando l’Italia vinse il Campionato mondiale di calcio). A lui si perdonavano anche certi atti esuberanti perché espressione del suo carattere impetuoso, ma sempre sincero. La vita di Sandro Pertini fu coraggiosa e avventurosa, partecipò alla prima guerra mondiale meritando una medaglia d’argento (che il fascismo non volle consegnargli). Aderì al Partito socialista, condannato per il suo antifascismo nel 1925, espatriò clandestinamente con il fondatore del PSI Filippo Turati in Corsica. Rientrato in Italia fu arrestato nel 1929 e condannato a 11 anni di reclusione e a tre anni di domicilio coatto, scontando la pena in carcere e parte al confino a Ponza e Ventotene. In prigionia le sue condizioni di salute si aggravarono, la madre nel 1933 chiese la grazia, ma Pertini la rifiutò: “Pianosa, 23 febbraio 1933. A Sua eccellenza il presidente del tribunale speciale. La comunicazione, che mia madre ha presentato domanda di grazia a mio favore, mi umilia profondamente. Non mi associo, quindi, a simile domanda, perché sento che macchierei la mia fede politica, che più d’ogni cosa, della mia stessa vita, mi preme. Il recluso politico, Sandro Pertini”. E alla madre, che amava profondamente e a cui inviava lettere bellissime, in quell’occasione scrisse” Dimmi mamma, perché hai voluto offendere la mia fede? … Perché mamma, perché? Qui nella mia cella di nascosto, ho pianto lacrime di amarezza e di vergogna – quale smarrimento ti ha sorpresa, perché tu abbia potuto compiere un simile atto di debolezza? E mi sento umiliato al pensiero che tu, sia pure per un solo istante, abbia potuto supporre che io potessi abiurare la mia fede politica pur di riacquistare la libertà … la libertà, questo bene prezioso tanto caro agli uomini, diventa un sudicio straccio da gettar via, acquistato al prezzo di questo tradimento, che si è osato proporre a me…”. In un’altra lettera alla madre (Pianosa, 4 agosto 1935) scrive: … ma il giudizio altrui non deve preoccuparci, quando abbiamo l’approvazione della nostra coscienza. E la mia coscienza, quella che tu e il babbo mi donaste, mi dice che giusto è il mio modo di sentire. E questo mi deve bastare”.Nel 1941 ottiene il permesso di rivedere la madre e viene trasferito momentaneamente a Savona, Pertini ricorda con emozione l’incontro: ”… essa apparve all’improvviso: piccola, vestita di nero, bianchi i capelli e il volto. L’abbracciai. Piangeva e tra le lacrime andava ripetendo il mio nome … ma il mio cuore mi faceva male, pareva spezzarsi. Com’era invecchiata … vidi mia madre allontanarsi curva. Rientrai nella mia cella, mi misi a letto senza toccare cibo, Non feci che pensare a mia madre”. Pertini nell’agosto del 1943 torna in libertà, come membro della giunta militare antifascista partecipa alla difesa di Roma. Catturato dai nazisti nell’ottobre del 1943 e condannato a morte, riesce fuggire dal carcere di Regina Coeli con Saragat. Riprende la lotta e partecipa alla liberazione di Firenze, poi lascia Roma liberata e attraverso la Francia e le Alpi rientra in clandestinità nella Resistenza del nord Italia. Fa parte del Comitato insurrezionale di Milano, è lui a proclamare alla radio lo sciopero generale e il 26 aprile tiene un affollato comizio nella Piazza del Duomo. L’8 giugno 1946 sposa Carla Voltolina, staffetta partigiana conosciuta a Milano. Dopo la liberazione continuò la sua vita politica mantenendosi su una propria linea autonoma all’interno del Partito socialista. Dopo la sua elezione a Presidente della repubblica non andò a risiedere al Quirinale, ma rimase a vivere con la sua Carla nella loro mansarda di 35 metri quadrati a Roma. In tempi in cui tutto si fa liquido, e molti vivono adeguandosi al presente senza valori e certezze, ci è utile ricordare un uomo come Pertini che seppe per tutta la vita mantenere fede ai propri valori di giustizia e libertà.