Una riflessione sulle misure riguardanti la schedatura dei bambini rom. Nella storia il tema delle sicurezza è stato spesso utilizzato per alimentare le paure dei cittadini al fine di varare leggi liberticide e autoritarie. Democrazia e politiche securitarie non sono compatibili.
--------------------
La decisione del ministro Maroni di compiere la schedatura dei bambini rom, prelevando le loro impronte digitali, ha scatenato sulla stampa una bagarre tanto prevedibile quanto comprensibile. Anche Famiglia Cristiana è scesa in campo per bollare come “indecenti” queste misure che per taluni riecheggiano addirittura il censimento etnico compiuto dal fascismo con le leggi razziali che, coincidenza, furono varate nell’estate del 1938. Non è nostra intenzione disquisire del contenuto normativo di tale provvedimento. Quello che ci interessa è capire i motivi per i quali le moderne democrazie hanno scelto di mutuare dai totalitarismi quelle tecniche di controllo sociale che finiscono per svilirla e deprivarla della propria specificità. Rammentiamo infatti che, prima dell’Italia, anche i governi inglesi e francesi hanno adottato un approccio di tipo repressivo al problema della sicurezza. Oggi il cittadino è impaurito e si sente in stato d’assedio: in questo modo, inizia col ripudiare l’idea dell’integrazione del “diverso” per poi invocare maggiore severità nelle leggi dello Stato. Alterità e diversità finiscono per diventare sinonimi di insidia. La democrazia dovrebbe, di contro, costituire la base ordinamentale delle cosiddette “società aperte” ma la storia dimostra che essa, per conservarsi, è sovente disposta ad utilizzare le inquietudini del cittadino per controllarlo ed acquietarlo. Proprio come i totalitarismi. Non dobbiamo dimenticare, ad esempio, che per decenni le democrazie occidentali si sono rette sulla stampella dell’anticomunismo in nome del quale sono state compiute e tollerate nefandezze di ogni tipo. In Italia, ad esempio, lo Stato ha ignobilmente abbandonato tre intere regioni alla criminalità organizzata. Meglio i mafiosi che i comunisti: era questo il pensiero recondito di una parte consistente del nostro establishment economico-finanziario che non ha mai disdegnato di flirtare con la mafia per ragioni di profitto (pecunia non olet). Per non parlare delle infinite turpitudini perpetrate dai servizi segreti le cui trame occulte si sono per anni intrecciate con quelle del terrorismo e dello stragismo. Alimentare la paura del cittadino, indurlo a domandare maggiore sicurezza e poi varare leggi di polizia: si tratta di un vecchio trucco che ha sempre funzionato. Gli Stati Uniti ne sanno qualcosa. Pur di esorcizzare il pericolo rosso gli Stati Uniti non hanno esitato, per decenni, ad appoggiare governi dispotici e sanguinari (Argentina, Cile, Bolivia, Nicaragua, Guatemala, Uruguay). Le democrazie, pertanto, hanno sapientemente usato la paura del comunismo per spaventare i cittadini e indurli ad accettare infinite aberrazioni che finivano per rappresentare comunque il male minore stante la natura ferocemente illiberale dei regimi comunisti. Creare un nemico, coltivarlo come elemento di tensione al fine di giustificare il volto improvvisamente bieco dello Stato che realizza, così, lo scopo di ridare tranquillità ai propri cittadini. Tutto ciò nasce, se vogliamo, dai limiti della democrazia che rappresenta un sistema complesso i cui processi decisionali sono caratterizzati dalla cronica lentezza delle procedure. Sarebbe tuttavia riduttivo sostenere che i limiti della democrazia siano soltanto di natura tecnica. C’è altro. Come dice Ralph Darhendorf, alle democrazie risulta sempre complicato “far quadrare il cerchio”, cioè, coniugare benessere economico, coesione sociale e libertà politica. Sono questi motivi per i quali le democrazie, quando sono in difficoltà, finiscono per rattrappirsi al punto da abdicare alla loro natura di sistemi aperti. Ieri il comunismo, oggi l’Islam e i rom. Dobbiamo stare attenti ad alimentare le paure del cittadino, perché, alla lunga, potrebbe essere letale per la democrazia. L’unica, vera emergenza di questo paese è la mancanza di certezza del diritto che si riverbera sul piano della certezza della pena. Ma questo lo dobbiamo al nostro ceto politico, di destra e di sinistra, la cui continua rissosità sta pericolosamente sfibrando il paese il quale ha soltanto bisogno di serenità, non di leggi speciali.