La riforma della prescrizione rappresenta un tema delicato sul quale un paese civile dovrebbe aprire un confronto con il dovuto equilibrio sul presupposto che, se è giusto non esporre il cittadino ad un processo senza fine, parimenti non si può fingere di ignorare l'importanza di alcuni dati, palesemente incongrui. Si tratta di dati ufficiali, forniti dalla Direzione generale di Statistica e analisi organizzativa del Ministero della Giustizia, da cui si evince, ad esempio, che nel 2017 ci sono state 125.659 sentenze di prescrizione (pari al 12% di tutti i procedimenti di quell'anno), cifra in crescita rispetto ai 111.140 del 2016 (l’anno peggiore è stato il 2009 con 155.642 processi interrotti dalla prescrizione).
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Piercamillo Davigo è un magistrato che non le manda a dire. Le sue posizioni, talora non condivisibili, hanno il merito di essere sempre chiare ed inequivocabili. Si tratta di un personaggio certamente scomodo per la perentorietà di talune esternazioni che non sempre trovano il favore del mondo politico. Occorre, tuttavia, ammettere che i giudizi su Davigo sono, spesso, inficiati, da un pre-giudizio che ha per oggetto la sua esperienza di magistrato nel pool Mani Pulite che, ancora oggi, a distanza di anni, continua astiosamente a dividere il paese (come si è visto anche in occasione dell'uscita del film su Bettino Craxi, Hammamet). In verità, piaccia o no, risulta difficile dissentire da Davigo quando sostiene che la corruzione dilagante nel paese trae origine da un grave deficit di effettività della giustizia penale. A giorni si tornerà a parlare di questa data: 17 febbraio 1992, arresto di Mario Chiesa, inizio di Tangentopoli. Sembra ieri eppure sono trascorsi 28 anni. Chi credeva in una resurrezione morale del paese è rimasto deluso perché chiunque è in grado di constatare che, rispetto a quella stagione, la mappa corruttiva del paese è diventata ancor più pervasiva e interstiziale. Da tutte le vicende giudiziarie di questi anni emerge, infatti, un universo multiforme e molecolare di “parvenu” che tende a usare come sensali alcuni vecchi professionisti, spietati marpioni del malaffare (faccendieri, esponenti politici o funzionari della p.a.). Rispetto al passato, si tratta di una corruzione più complessa perché abitata da personaggi minori, irrilevanti e, come tali, insospettabili. La sensazione è che, dietro la guerra ventennale di Berlusconi contro la magistratura, si sia nascosto un pezzo del paese che ha coltivato disinvoltamente i propri affari nella certezza di un'assoluta impunità. Dietro lo schermo del Cavaliere, il sistema dei partiti ha simulato una bonifica etica che, in realtà, non c'è mai stata. Ancora oggi, il fenomeno corruttivo vede, infatti, i partiti come indispensabile crocevia per accedere al grande business. I lavori pubblici restano un importante polmone finanziario per i partiti i quali, per questa ragione, non hanno mai rinunciato a collocare i propri uomini nelle Asl, nelle società partecipate, nei giornali, nei consigli di amministrazione di enti e banche. Su questi temi, Piercamillo Davigo non esita a inchiodare l'intera classe politica alle proprie gravi inadempienze. C'è un filo rosso che lega le vicende giudiziarie a cui siamo soliti assistere quotidianamente: l’indifferenza dei partiti davanti ad una patologia sistemica che imporrebbe una serie di riforme divenute, ormai, indifferibili che non possono limitarsi all'istituto della prescrizione nei confronti del quale manca tuttora un giusto approccio metodologico. La riforma della prescrizione, infatti, rappresenta un tema delicato sul quale un paese civile dovrebbe aprire un confronto con il dovuto equilibrio sul presupposto che, se è giusto non esporre il cittadino ad un processo senza fine, parimenti non si può fingere di ignorare l'importanza di alcuni dati, palesemente incongrui. Si tratta di dati ufficiali, forniti dalla Direzione generale di Statistica e analisi organizzativa del Ministero della Giustizia, da cui si evince, ad esempio, che nel 2017 ci sono state 125.659 sentenze di prescrizione (pari al 12% di tutti i procedimenti di quell'anno), cifra in crescita rispetto ai 111.140 del 2016 (l’anno peggiore è stato il 2009 con 155.642 processi interrotti dalla prescrizione). La maggioranza dei processi si interrompe a inchiesta ampiamente conclusa, cioè, nella fase d’attesa che intercorre tra la chiusura delle indagini preliminari e la fissazione delle udienze: lo ha confermato il primo presidente della Cassazione, Giovanni Mammone, in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2020. Ecco le cifre. Sui 125.659 totali del 2017, 64.904 si sono interrotti davanti al Gip (Giudice delle indagini preliminari) o davanti al Gup (Giudice dell’udienza preliminare) a riprova che gran parte delle prescrizioni avviene prima del rinvio a giudizio. Invece, 27.436 processi sono stati prescritti davanti al tribunale ordinario, circa 2.500 davanti al giudice di Pace. Oltre il primo grado di giudizio, invece, è arrivata la prescrizione per 28.185 processi in Corte di appello e 670 in Cassazione. Una classe politica seria dovrebbe riflettere su queste cifre ritenendo prioritaria e impellente la necessità di potenziare i ranghi di una magistratura che, per esplicare appieno le proprie funzioni, ha urgente bisogno di una riforma, sì, ma soprattutto di risorse, cioè, di denari. In caso contrario, ogni dibattito sulla giustizia risulterà inevitabilmente ozioso perché, inutile nasconderlo, “senza soldi, non si canta messa”.