Il centro della fede cristiana è il mistero di un Dio che è Amore il quale, divenendo uomo in Gesù di Nazareth, rivela che anche l’essere umano è fatto interamente di amore. Il Natale come un momento alto per riflettere sul destino dell'uomo.
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Il Natale è un EVENTO: l’ Amore, essenza stessa di Dio, che ha preso forma umana in Gesù Cristo.
Il centro della fede cristiana è dunque il mistero di un Dio che è Amore e che, facendosi umanità in carne e ossa in Gesù di Nazareth, ci rivela che anche l’essere umano è fatto interamente di amore, per amare e creare in libera pienezza, ad immagine del Padre, che è l’Amore Creatore per eccellenza.
L’Amore divino scende infatti con potenza inaudita in tutte le dimensioni, fisiche, psichiche, e spirituali dell’ uomo, portandole a perfetta realizzazione, in un processo di radicale trans-figurazione.
Dunque l’ Amore è possibile: noi siamo in grado di praticarlo perché creati ad immagine di Dio e quindi chiamati a viverlo, a far entrare in questo modo la luce di Dio nel mondo.
Oggi tuttavia siamo in un epoca di travaglio, sia sul piano individuale (potremmo riconoscere in questa lotta interiore la Jihad islamica, intesa come sforzo-lotta interiore, e l’Armagheddon biblica), che sul piano collettivo, con il trionfo di uno degli ospiti più inquietanti, il nichilismo.
Proprio in questa grande fase evolutiva, in cui l’umanità sta tentando di ridisegnare con immensa fatica la propria identità e di comprendere ad un nuovo livello di consapevolezza il mistero della propria presenza sul pianeta terra, stiamo vivendo un momento di caos totale.
Per di più stiamo assistendo impotenti al reale e progressivo scollamento in atto tra le significative trasformazioni della nostra stessa essenza umana e la persistente rappresentazione pubblica che domina in questo mondo.
La politica prima fra tutte, insieme alla stragrande maggioranza della cultura dominante, dà una rappresentazione sempre più irreale, parziale, ed insoddisfacente dell’attuale fase storica che stiamo vivendo.
La nostra anima perciò sta attraversando un travaglio spaventoso senza che ci sia una cultura, e tanto meno una politica, che la aiuti a comprenderlo e a viverlo in modo positivo.
E mentre stiamo attraversando un rivolgimento di portata antropologica senza uguali, ci distraiamo con le beghe tra Fini e Berlusconi, e dedichiamo decine di pagine al confronto tra Saviano e Maroni…
Questo scollamento lacerante tra anima e mondo, tra dolore (più o meno conscio) e cultura dell’intrattenimento sempre più “leggero”, potrebbe giungere ad un punto di collasso, una soglia che renderà impossibile un ulteriore passo verso l’alienazione da sé e dal travaglio in corso.
Il punto è che non c’è bisogno di aspettare la fine “materiale” di questo mondo. Ognuno di noi può già da ora tentare di vivere a partire dalla sua fine, e cioè dalla negazione di tutti gli schemi, gli inganni e le mistificazioni su cui è costruito: il Regno di Dio, le Beatitudini sono realizzabili nell’adesso, già in questa realtà.
Ma poi in definitiva l’annuncio cristiano non è proprio questo?: “Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete a questa bella notizia” (Marco 1,15).
La persona che aderisce al Cristo vive già da ora come Uomo-Nuovo, a partire dalla fine della storia: noi dovremmo, proprio adesso che la storia stessa ci mostra i segni della fine di un ciclo, riscoprire la potenza dell’azione messianica, e cioè dell’azione appunto di chi sa fare della fine un luogo di ricominciamento.
E nel nostro essere viaggiatori pigri, viaggiatori distratti, assorti in piccoli pensieri e dimentichi dei grandi orizzonti, il Natale ci rivolge un appello e ci ricorda che è TEMPO DI TRANS-FIGURAZIONE E DI PREGHIERA.
Ma cosa significa pregare? Già un padre della Chiesa come Basilio di Cesarea l’aveva capito bene: “La preghiera non consiste in formule; congloba tutta la vita”. E per essere ancora più chiaro, il vescovo di Cesarea aggiunge anche l’elenco di alcuni gesti molto quotidiani in cui è possibile tradurre questa pratica costante: prendere cibo, indossare la tunica, accendere il fuoco, addormentarsi dopo aver contemplato lo splendore del cielo notturno trapunto di stelle. Solo così, conclude, “pregherai senza stancarti, se la tua preghiera non si accontenta di formule e se, al contrario, ti terrai unito a Dio lungo tutta la tua esistenza, in modo da fare della tua vita una preghiera incessante”.
Questo vuole dire Cristo con la parabola sulla vedova e il giudice disonesto (Lc 18, 1-8: il racconto parabolico inizia con un versetto redazionale nel quale si dice che Gesù «disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi»); il problema è che dopo averla raccontata, Gesù è preso quasi da un moto di sconforto. E domanda: “Ma il figlio dell’uomo, quando verrà, troverà fede sulla Terra?”(Lc 18, 8).
Non si tratta, soltanto, di chiedersi se ci saranno donne e uomini giusti, religiosi, pieni di convinzioni morali e di buona volontà.
Il cuore di questa domanda è un altro: il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà persone abbandonate realmente alla vita, in “perfetta letizia”? Troverà persone che sanno stare nel presente? Fare di ogni loro atto, come dice Basilio, un canto di amore ininterrotto alla vita?
Eppure siamo “lontani” perché combattiamo con una mente che “mente”, una mente in continua fuga, distratta, incessantemente distratta.
E anche la scienza ce lo dice, adesso. L’Università di Harvard ha pubblicato sull’ultimo numero di Science una ricerca che ha coinvolto 2.250 volontari, sul “mind wandering”, tracciando la mappa delle divagazioni della mente: la metà del tempo in cui siamo svegli la trascorriamo pensando ad altro rispetto all’attività in cui, apparentemente, siamo concentrati.
La divagazione, secondo gli scienziati, è il modo operativo dominante del cervello e si instaura in automatico quando proprio non siamo costretti a impegnarci. “A differenza degli altri animali, l’uomo trascorre gran parte del tempo pensando a cosa non sta accadendo attorno a lui, contemplando eventi che sono avvenuti nel passato, che potrebbero avvenire nel futuro o che semplicemente non avverranno mai”. Per la precisione, da distratti trascorriamo il 46,9 per cento delle nostre giornate, qualsiasi cosa facciamo: mentre lavoriamo, mentre conversiamo, mentre guardiamo la televisione… Una mente che divaga, dice la ricerca, è una mente triste. C’è soltanto un’attività, osservano i due scienziati, che consente di vivere pienamente il presente: la preghiera unita alla meditazione. “Sarà questo il motivo – concludono – per cui molte filosofie e religioni insegnano che la felicità consiste nel vivere il presente, addestrando i praticanti a concentrarsi, a restare qui e ora e a resistere alle distrazioni”.
Esattamente come ci aveva detto Gesù con la sua parabola della vedova e del giudice, il Natale ci interpella e ci chiede di essere viaggiatori tenaci, generosi e capaci, di non perdere l’orientamento, in contatto amorevole e orante con il nostro insostituibile “Compagno di viaggio”.
S. Natale 2010
Elisabetta Melli