Il fermento nell'universo scolastico induce a fare paralleli con il '68 ma è sbagliato accomunare due generazioni che risultano essere antropologicamente diverse. Gli adulti dovrebbero fare ammenda per aver sottovalutato i nostri giovani i quali chiedono solo di essere ascoltati. Non chiedono altro.
Per la prima volta nella storia si sta assistendo in questi giorni ad un movimento che vede affiancati, in un solo colpo, professori, genitori e alunni. Questo è il vero capolavoro del progetto di riforma varato dal governo Berlusconi e dal “ministro ombra” Gelmini alla quale è stato chiesto di dare esecuzione all’unico, vero progetto sottostante, cioè quello di tagliare la spesa del ministero a cui è preposta. Questo è il motivo per cui è stato azzerato ogni tentativo di dibattito, sia nell’universo scolastico che in parlamento: non c’era alcun tema da dibattere, salvo il perentorio invito del ministro dell’Economia Tremonti a tagliare drasticamente la spesa per il personale, ritenuta incongrua e fuori da ogni logica finanziaria. Le immagini di questi giorni inducono facilmente a fare paralleli con il ’68 ma si tratta di una forzatura di cui è bene evidenziarne i profili per evitare equivoci e strumentalizzazioni. Innanzitutto, la rivolta è partita dalle scuole elementari che restano le più colpite a causa del ritorno al cosiddetto maestro unico: di contro, nel ’68, le scuole primarie restarono completamente estranee ad ogni tipo di contestazione. Secondo motivo, la protesta è circoscritta al nostro paese perché nasce come risposta alle misure finanziarie del governo italiano. Terzo motivo: l’ingrediente ideologico. Su questo motivo converrà soffermarsi per cogliere la peculiarità della contestazione in corso che non ha precedenti. Va subito detto che i nostri ragazzi appartengono ad una generazione completamente deideologizzata. Sono cresciuti con la televisione commerciale, Internet ed il cellulare e ciò li ha resi del tutto diversi dalle generazioni precedenti. Il mondo degli adulti e, soprattutto, il mondo della politica, li ha sempre sottovalutati perché si pensava che la loro natura impolitica fosse sinonimo di superficialità e qualunquismo. Era questo il ritratto che ci veniva offerto dalla televisione che rappresentava l’universo giovanile come un mondo fatuo costituito da oche starnazzanti o ragazzi sacripanti e senza cervello. Abbiamo sbagliato e dovremmo scusarci per averli creduti estinti. I nostri ragazzi non sono figli delle ideologie come, al contrario, lo siamo noi adulti. Il vero problema, infatti, sono i retaggi culturali di cui noi non riusciamo a liberarci quando usiamo giudicarli. Basta leggere i giornali di questi giorni per vedere rappresentata la nostra inadeguatezza e, talora, la nostra miseria morale nel trinciare giudizi sprezzanti, velenosi, pieni di prevenzione, quella sì, ideologica. C’è già chi intravede nella protesta i germi del terrorismo, i prodromi della lotta armata. Dei giovani che protestano si dice che dovrebbero andare a lavorare, oppure che non hanno voglia di studiare o, peggio, che sono drogati o facinorosi, come ha sibilato il nostro premier che si picca di essere un grande comunicatore. Per una volta, noi adulti dovremmo accettare di stare zitti. Stia zitta la politica, innanzitutto, che si ricorda dei giovani solo quando non si è al governo. Taccia la sinistra che, malata di operaismo, ha sempre ignorato le frustrazioni dei professori, da sempre umiliati e sottopagati. Taccia la destra che, da sempre, ha in uggia la scuola pubblica e ogni fremito di ribellione sociale che disturba la quiete di una borghesia piccola piccola che non tollera fastidi. La scuola italiana vive un profondo disagio da decenni ma nessuno ha mai avuto l’umiltà di ascoltare i protagonisti di quell’universo: le famiglie, gli studenti, i professori. E’ indubbio che alla scuola italiana occorra una grande riforma ma occorre capire che la riforma della scuola è la madre di tutte le riforme perché interessa ogni cittadino e il futuro di questo malandato paese. I nostri ragazzi ci chiedono di essere ascoltati, non ci chiedono altro. Ci piace il loro candore, il candore di chi crede nel libero pensiero e nella democrazia, senza altri aggettivi. Come ha scritto Philip Roth, “Tutto quello che ho per difendermi è l’alfabeto, è quanto mi hanno dato al posto del fucile”. Siamo stati noi adulti a dare loro l’alfabeto, ora i nostri ragazzi ci stanno solo chiedendo di poterlo usare.