L'Assemblea Costituente eletta dagli italiani il 2 giugno 1946 disegnò un impianto costituzionale che gli studiosi ebbero a definire "Stato regionale". Oggi quell'impianto appare insufficiente a soddisfare le pressanti richieste di autonomia locale.
L’idea di istituire le Regioni risale al periodo immediatamente successivo all’Unità D’Italia, quando vennero presentati i primi progetti di impronta regionalista. Per prima (a partire dal 1945) quando vennero istituite alcune Regioni in aree territoriali in cui necessitava prevedere forme speciali di autonomia per evitare che prevalessero istanze separatiste (come in Sicilia), o per la presenza di comunità di culture diverse anche per lingua e tradizioni. Queste Regioni a Statuto Speciale( Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia) sono rette da un proprio Statuto adottato con Legge Costituzionale che, per certi versi, deroga alle norme costituzionali che regolano le altre Regioni. Accanto alle Regioni a Statuto Speciale, la Costituzione repubblicana, con un secolo di ritardo rispetto alla prime proposte, ha previsto e regolato anche le Regioni a Statuto Ordinario, con confini territoriali che ricalcavano le antiche Regioni romane, e che hanno iniziato a funzionare soltanto dal 1970, anno in cui vennero eletti i primi Consigli regionali. Alle Regioni veniva chiesto di fare meglio dello Stato centrale: hanno fatto complessivamente peggio. Le Regioni che avrebbero dovuto ascoltare e soddisfare esigenze diverse, nelle diverse parti dello Stato, hanno finito per fare l’una quello che faceva l’altra. Venti Regioni diverse, con venti legislatori diversi, significava ammettere le differenziazioni e, di conseguenza, governarle nel modo dovuto e non continuare a richiedere (a quel punto necessario) l’intervento dello Stato centrale per correggere gli errori dell’azione politica e amministrativa regionale che si è mostrata sempre piena di contraddizioni. A partire dalla seconda metà degli anni ‘90 del secolo scorso, si è affermato un indirizzo favorevole a incrementare ulteriormente il grado di autonomia degli enti territoriali in generale, e in particolare delle Regioni, denominato federalismo e che ha condotto alla modificazione del testo costituzionale. Infatti, con due successive leggi costituzionali, la n.1/1999 e, soprattutto, la n. 3/2001, è stato modificato profondamente l’assetto del sistema delle autonomie territoriali e dei rapporti tra queste e lo Stato. Per quanto concerne le Regioni, con queste norme, si è modificata sia la forma di governo regionale, sia le funzioni attribuite alle stesse. La spinta federalista, propria di alcune forze politiche, in primis la Lega Nord, ha visto la prima vera modifica in senso federale dello Stato nella “Riforma del Titolo V della Costituzione” avvenuta con legge costituzionale n. 3 del 2001 voluta dal centrosinistra con l’allora coalizione dell’ Ulivo. Si deve al centrosinistra (nonostante l’asfissiante continua campagna federalista leghista) la modifica di alcuni importanti articoli della Costituzione che hanno modificato, in senso federale, la rotta dello nostro Stato. In particolar modo richiamerei l’attenzione del lettore sulla nuova formulazione dell’art. 114 della Cost. che ha confermato l’immodificabilità della Repubblica (come affermato nell’art. 5 Cost.: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; ecc. ecc.), ma, per la prima volta, permette di considerare lo Stato non immodificabile nella sua forma, ma semplicemente un elemento della Repubblica costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato stesso, posti tutti sul medesimo piano, ma distinti per le funzioni ad essi attribuite. Ma l’articolo della Costituzione, che più di ogni altro segna un passaggio epocale nella storia della Repubblica italiana, è il 119 nel momento in cui Prevede:”I comuni, le Province,le Città Metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa. Hanno risorse autonome; stabiliscono e applicano tributi ed entrate proprie, in armonia con la Costituzione ecc.”. Tutto questo, tradotto in termini più comprensibili a tutti, si chiama “federalismo fiscale”. Il centrosinistra ha approvato, in parte, quello che la Lega Nord (con i suoi alleati di Governo) ha cercato di fare, fallendo, successivamente in modo più radicale con la c.d. Devolution bocciata da referendum popolare. L’Italia sta passando gradualmente da Stato regionale a Stato federale con competenze generali, su quasi tutte le materie, attribuite alle Regioni e competenze su specifiche materia attribuite allo Stato, ribaltando le cose rispetto al passato dove era lo Stato centrale ad avere competenze generali su quasi tutte le materie, e le Regioni competenze specifiche in alcune materie. Ovviamente è un processo in evoluzione verso una forma di Stato federale assolutamente ancora lontana dalla sua attuazione. Molto più vicina è invece l’attuazione del c.d. federalismo fiscale che ha visto in Parlamento l’approvazione della Legge Delega che consente al Governo di approvare il Decreto Legislativo che dovrà portare all’attuazione del federalismo in senso fiscale. Quali conseguenze possono avere per il Sud le future trasformazioni in senso federale dello Stato? Su spalle poco robuste si porranno pesi enormi: la scuola, la sanità, che rappresentano circa i due terzi del Welfare State, saranno di competenza delle Regioni. Quelle più gracili saranno in grado di sopportare un tale peso? Di certo il rischio di maggiore politicizzazione, maggiori costi, più corruzione e minore efficacia d’azione è concreto. Ma di certo è una sfida che ormai deve essere accettata e portata sino in fondo e, senza lasciare la paternità esclusiva di questo processo alla Lega Nord, bisognerebbe incidere molto su un decentramento differenziato e progressivo nei passaggi di competenza, qualificando il personale e creando gli uffici con competenze in grado di sostenere le nuove funzioni anche grazie allo Stato che prepari e incentivi. Progressività, differenziazione e sperimentazione potrebbero portare ad un passaggio meno rischioso e non traumatico, riducendo i rischi di “Autocentralizzazione “ del Fronte delle Regioni. Le Regioni dovranno “responsabilizzarsi” sul piano gestionale per reperire le risorse necessarie al soddisfacimento dei bisogni dei propri cittadini: importante passo avanti che assume un notevole significato politico operativo e, inoltre, dovranno assumersi l’onere della tassazione in conseguenza della accresciuta autonomia impositiva. Tutto questo comporta una spinta verso una maggiore efficienza ed efficacia dell’attività amministrativa e, quindi, più attenzione nella scelta e formazione del personale, modernizzazione della gestione e rigorosa formulazione dei bilanci. Fattore senza ombra di dubbio positivo del processo federale in corso è la possibilità data alle amministrazioni locali di inserirsi nelle logiche dello sviluppo. Economia territoriale, occupazione, liberalizzazione del mercato dei servizi, creazione di imprese ecc. Le Regioni devono stare molto attente nella gestione e individuazione di strumenti e strategie finanziarie in grado di far fronte alle nuove responsabilità arrivando anche a “gestire in modo attivo il debito” ricorrendo a strumenti finanziari reperibili sul mercato e, comunque, a forme alternative di finanziamento. Infine mi preme sottolineare una importantissima previsione contenuta nell’art. 119 Cost. riformato: “La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante”. E’ sulla costituzione del fondo perequativo che si gioca molto per garantire “lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio di diritti della persona”.