Il 27 ottobre 1949, all’aeroporto di Orly, Marcel Cerdan, gloria del pugilato francese, è in attesa di imbarcarsi sul volo F-BAZN, che, dopo due scali tecnici e diciassette ore di transvolata, dovrà condurlo il mattino seguente a New York. Lo aspetta il suo grande amore, Edith Piaf. Ma, anche il suo acerrimo avversario, Jack La Motta. Sul medesimo aereo sta per imbarcarsi la famosa violinista parigina Ginette Neveu, che dovrà esibirsi in una serie di concerti sul suolo americano. Complice lo stradivari dell’artista, fra Cerdan e la Neveu nasce un’intesa spontanea..
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Il 27 ottobre 1949, all’aeroporto di Orly, Marcel Cerdan, gloria del pugilato francese, è in attesa di imbarcarsi sul volo F-BAZN, che, dopo due scali tecnici e diciassette ore di transvolata, dovrà condurlo il mattino seguente a New York. Lo aspetta il suo grande amore, Edith Piaf. Ma, anche il suo acerrimo avversario, Jack La Motta. Sul medesimo aereo sta per imbarcarsi la famosa violinista parigina Ginette Neveu, che dovrà esibirsi in una serie di concerti sul suolo americano. Complice lo stradivari dell’artista, fra Cerdan e la Neveu nasce un’intesa spontanea, che permette ai due di riconoscere nei rispettivi sguardi lo stesso gusto per la sfida che ha illuminato fin lì i loro destini. Purtroppo, sono destini già segnati. In prossimità del primo scalo tecnico, l’aereo Lockeed Constellation, gioiello di Howard Hughes ed orgoglio di Air France, si andrà a schiantare nei pressi delle isole Azzorre, non dando scampo a nessuno fra passeggeri e personale di bordo.
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Il pugile continuava ad accarezzare con estrema cautela il collo d’acero del violino. Mentre osservavano la buffa scena, Ginette, e suo fratello Jean, non potevano fare a meno di manifestare una stupita meraviglia.
“Signor Cerdan, - disse Ginette Neveu - sembrate fatti l’uno per l’altro, mi creda. Il mio stradivari in mano a lei fa proprio una gran bell’effetto!”
La proprietaria del prezioso violino, Ginette Neveu, sorrideva divertita. Anche suo fratello, Jean Neveu, osservava compiaciuto.
Marcel Cerdan, ex campione del mondo dei pesi medi, Ginette Neveu, l’enfant prodige del violino, in quel momento nel pieno di una folgorante carriera, e suo fratello Jean, eccellente pianista, si erano da pochi minuti conosciuti all’aeroporto di Orly. Tutti e tre erano in attesa di salire sul Lockeed Costellation, l’aereo che, dopo diciassette ore di volo, li avrebbe condotti a New York.
Cerdam ed i fratelli Neveu. Un bel trio, niente da dire.
Beh, Cerdan non suonava, certo. O, perlomeno, non in quel senso. Perché lui, Marcel Cerdan, “il bombardiere di Casablanca”, a suo modo, eccome, se suonava.
Se ne era accorto molto bene Anthony Florian Zaleski, il terribile picchiatore d’origine polacca conosciuto col nome di Tony Zale. Il 21 settembre dell’anno prima, al Roosevelt Stadium di Jersey City, Zale, l’uomo d’acciaio dell’Indiana, vincitore di Rocky Graziano, era stato costretto ad abbandonato il match all’undicesimo round e si era visto strappare il titolo mondiale dallo scatenato franco-algerino. Anche Jack La Motta, “Il Toro del Bronx”, che lo stava aspettando a New York per un match di rivincita dal sapore epico, ne era perfettamente consapevole.
Aveva dovuto imparare presto a difendersi, Marcel Cerdan.
Prima, da bambino, in Algeria, a Sid bel Abbes, sede della legione Straniera; poi, a Casablanca, in Marocco, dove da ragazzo si era trasferito con la famiglia. E, infine, a Parigi, da affermato professionista. Tanti gli avversari incontrati e sconfitti nella capitale: all’Elysee Montmartre, al Palazzo dello sport in rue Granelle, al Parco dei Principi, ed al Roland Garros, aperto al pugilato durante i mesi estivi.
“Signorina Neveu, - disse Cerdan - questo strumento ha qualcosa di speciale. Il legno pregiato, la leggerezza… Sono convinto che la sua sensibilità, unita al suo talento, sappia estrarre un suono magico da questo violino.”
Ginette Neveu continuava ad osservare divertita il pugile franco-algerino. Nel frattempo, l’aeroporto di Orly era in preda ad una evidente eccitazione. Decine di persone, dopo aver riconosciuto il campione, cercavano di avvicinarlo per ottenere autografi o solamente per stringere le mani a colui che doveva difendere la grandeur francese sul suolo americano.
“Grazie, signor Cerdan. - disse la Neveu - Anche lei, con i guantoni, riesce ad esprimere una certa grazia, sa? Ho avuto modo di assistere ad alcuni spezzoni cinematografici che la riprendevano in azione su quello strano quadrato con le corde. Ecco, devo ammettere di averne ricavato un’impressione affatto diversa da quella che mi ero immaginata rispetto al suo sport.”
Un improvviso sorriso illuminò il volto del pugile. Stretto nel suo elegante cappotto di tweed grigio, Marcel Cerdan, con in mano il prezioso violino, assomigliava a un bambino intrappolato nel corpo di un gigante: un bambino a cui era stato temporaneamente affidato un giocattolo antico, conservato con cura da generazioni in un luogo sicuro.
“Signorina Neveu, - disse Cerdan - nell’attesa dell’imbarco, potremmo prendere qualcosa di caldo tutti insieme, non crede? Del thè bollente, per esempio.”
Ginette e Jean Nuveu accettarono di buon grado l’invito del pugile.
Reduce dall’esibizione alla Salle Pleyel della settimana precedente, da titolo presago di “Concerto d’Addio”, con sonate di Bach, Haendel, Szymanovsky, Ravel e Josef Suk, e dal clamoroso successo di Baden Baden del 25 settembre, quando, con l’Allemande Orchestra diretta da Hans Rosbaud aveva interpretato il famoso concerto per violino di Beethoven in re maggiore, la Neveu si apprestava ad intraprendere una nuova tournee in suolo americano. Una serie di concerti l’attendevano nelle più importanti città.
Il terzetto si diresse nel piccolo bar prospiciente la biglietteria dell’aeroporto. Jo Longman, il fidato ed inseparabile manager di Cerdan, era rimasto vigile vicino al bar, cercando di evitare che fan, giornalisti dell’Equipe e di France-Soir, o, semplici curiosi, potessero avvicinarsi al tavolino dove i tre si erano seduti come vecchi amici ritrovatisi dopo anni.
“Signorina Neveu, - disse il pugile - non sono un esperto di musica classica, ma ho avuto la fortuna di ascoltare alla radio alcune sue registrazioni. Io ed Edith siamo suoi grandi estimatori, ci tenevo lo sapesse.”
Edith Piaf, la celebre cantante parigina, era il folle amore di Marcel Cerdan. I due si erano conosciuti l’anno prima in un cabaret alla moda, il Club des Cinq, a Montmartre: da quel momento, la loro relazione era sulla bocca di tutti in Francia. Edith e Marcel, il gigante e l’usignolo.
“Oh, signor Cerdan! - esclamò la violinista - Edith, Edith Piaf! Quanto mi sarebbe piaciuto assistere ad un suo spettacolo! Pensare, che due anni fa, solo per pochi giorni mancai l’appuntamento. In quei primi di novembre, dopo essermi esibita a Boston mi trovavo a New York, e mi ricordo molto bene le locandine ancora esposte che annunciavano la serata del precedente 30 ottobre, in quel teatro di Broadway, il Playhouse Theater. E, le foto dei quotidiani, che ritraevano la signora Piaf con Marlene Dietrich. In quei giorni mi stavo esercitando per le due esibizioni al Carnegie Hall di Manhattan del 13 e del 14 novembre: concerto per violino del divino Brahms. Che disdetta, aver mancato l’occasione di ammirare dal vivo Edith Piaf!”
Marcel Cerdan notò il sincero rammarico nello sguardo dell’artista. Il pugile, da subito colpito dal tono profondo della voce della Neveu, rivolse alla donna il suo intenso sorriso da eterno fanciullo.
“Sa, signorina Neveu, - continuò Cerdan - Edith mi sta aspettando a New York. Ha insistito tanto perché la raggiungessi prima di quando era stato previsto. Vede, in quella città il prossimo 2 dicembre mi attende una grande sfida, la più importante della mia carriera: la riconquista della corona iridata. Lo devo a tutti quelli che hanno creduto in me, ma, soprattutto, lo devo a me stesso.”
Il pugile rivolse uno sguardo d’intesa a Jo Longman.
Il manager aveva dovuto fare salti mortali per annullare il viaggio in nave originariamente previsto ed ottenere le carte d’imbarco sul volo F-BAZN di Air France. Alla fine, ci era riuscito, facendo cambiare il programma di viaggio a due ciclisti italiani, Nando Teruzzi e Saverio Rigoni, ed ottenendo i loro biglietti aerei.
Intanto, tre thè bollenti accompagnati da croissant appena sfornati erano stati serviti al tavolo.
Ginette Neveu, osservando compiaciuta i croissant, rivolse uno sguardo intenso al suo occasionale compagno di viaggio.
“Le sfide, Signor Cerdan! Le sfide. Ci sono persone nate per seguire un destino già segnato, mi creda. E, si deve convivere con questa missione. Ecco, lo stradivari che, come vedo, non smette di ammirare, rappresenta la mia. Era un qualcosa di cui avevo presentimento fin da bambina, ma il cui senso profondo mi si sta chiarendo solamente ora, a questa età.”
Il pugile, sorseggiando il suo thè, non smetteva di osservare la violinista. Jean Neveu, che con la sua presenza discreta da sempre accompagnava la celebre sorella, si era intanto alzato dal tavolo ed ora confabulava con Jo Longman.
“La sfida è il nostro destino, signor Cerdan. - continuò Ginette Neveu - Mi permetta di usare il plurale, visto che lei stesso ha pronunciato questa parola. E, ne sono convinta, sa. Ho notato il suo sguardo in quei brevi filmati cinematografici: anche lei è guidato da quella forza misteriosa che ci spinge verso traguardi sempre più ambiziosi.”
Cerdan, con sempre accanto lo stradivari, aveva riposto il suo thè. Ora, guardava i croissant ancora caldi, ma non osava prendere l’iniziativa. Marcel e Ginette, incrociarono lo sguardo e scoppiarono in una sonora risata. Dopo pochi secondi, stavano assaporando una delle delicatessen della cuisine française.
“Quello che ha detto sul valore della sfida, mi ha molto colpito, signorina Neveu.”
Ora, il pugile, rivolgendosi alla donna, aveva ripreso un’espressione seria e concentrata.
“Si,lei ha perfettamente ragione. Anch’io mi sono sempre sentito trascinato da una forza misteriosa di cui non riuscivo ad afferrare il senso. Lo scorso giugno, quando persi la corona iridata, finalmente compresi: la sfida di Marcel Cerdan al mondo, è la sfida di Marcel Cerdan a se stesso. E, da quella sera, convivo con un pensiero fisso: riprendermi la corona, ad ogni costo.”
Il 16 giugno, al Brigg Stadium di Detroit, Marcel Cerdan era stato battuto da Jack La Motta al termine di un incontro burrascoso.
Si sussurrò che nei giorni che precedettero il match, Marcel avesse rifiutato le generose offerte degli scagnozzi del gangster Frankie Garbo. “Mr.Big”, come veniva chiamato il boss, era disposto a ricoprirlo di dollari pur di vederlo scivolare sul ring. L’italo-americano, che, insieme a Frank “Binkie” Palermo, Eddie Coco e James Plumeri componeva la celebre organizzazione chiamata, “The Combination” dal nome altamente evocativo, aveva scommesso da tempo sul “paisà” del Bronx Jack La Motta. Ma, non era affatto sicuro dell’esito della sfida, vista la fama che accompagnava il boxeur francese.
Quella sera, ci si mise di mezzo anche la cattiva sorte: uno strappo alla spalla destra rimediato alla prima ripresa impedì a Cerdan di combattere e difendersi in modo normale. “Il bombardiere di Casablanca” riuscì eroicamente a resistere, difendendosi per nove riprese con un solo braccio. Nonostante avesse intimato ai suoi secondi di non gettare la spugna, al termine del nono round venne fermato da Joe Collman, il medico di servizio.
Ginette Neveu, intanto, aveva finito di bere il suo thè e di mangiare i croissant.
D’improvviso, un fugace velo di tristezza le attraversò il volto. La giovane donna si voltò cercando il rassicurante sguardo del fratello. Jean Neveu, accompagnato da Longman, si avvicinò al tavolo. Da pochi minuti si era aperto il cancelletto che avrebbe permesso ai trentotto passeggeri di imbarcarsi sull’aereo dell’Air France. Il pugile e la violinista si guardarono, e convennero che era arrivato il momento di salutarsi.
Marcel Cerdan, da perfetto gentiluomo, baciò la mano della violista. Ginette Neveu si limitò a sfiorare con una carezza la spalla destra del pugile.
“Mi raccomando, signor Cerdan, - disse la Neveu - porti i miei saluti alla signora Piaf. E, soprattutto, vinca la sua sfida!”
“Grazie, signorina Neveu. – replicò Cerdan - Farò del mio meglio, glielo prometto. Anche lei, continui a deliziare il mondo col suo violino. Il dono che le è stato concesso è qualcosa di prezioso e raro.”
Mentre i quattro si incamminavano per raggiungere gli altri passeggeri, Cerdan, che si stava intrattenendo con alcuni fans, si accorse di avere ancora con se lo stradivari. Lo aveva riposto accanto alla sedia, poi, con un gesto automatico, lo aveva ripreso, ed ora lo stava portando con se verso l’uscita.
“Signorina, signorina Neveu! Lo stradivari, il suo violino!”
Ginette Neveu era già molto avanti. Aveva superato il cancelletto e stava già attraversando la pista di atterraggio. Cerdan vide la donna voltarsi, poi, sciogliersi in un lungo sorriso.
Che bel sorriso, pensò il pugile, mentre, aiutato da Jo Longman, cercava di guadagnare l’uscita facendosi largo fra i tifosi.
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Dopo meno di sette ore di volo, durante la fase di discesa verso lo scalo tecnico di Santa Maria, il Lockheed Constellation di Air France andò a schiantarsi contro il Picco Redondo, un monte dell’Arcipelago delle Azzorre. Risultò fatale un improvviso malfunzionamento del radiogoniometro, che, unito ad un eccesso di sicurezza del comandante Jean de La Noue, provocò un’errata percezione d’avvistamento.
Per tutti i passeggeri e per il personale di bordo non ci fu scampo.
Alcune ore dopo, Edith Piaf, sconvolta dal dolore, annunciò al pubblico del Versailles di New York, locale dove aveva in programma una serata, che quella sera avrebbe cantato per Marcel, per lui soltanto. Intonò “l’Hymne à l’amour”, ma non riuscì a terminarlo, crollando a terra svenuta.
L’entusiasmante corsa di Marcel Cerdan e Ginette Neveu verso nuove sfide, si interruppe sul volo F-BAZN di Air France. Il destino, quella notte, aveva deciso diversamente.