Nell’agosto del 1960, a Reno, in Nevada, Clarke Gable e Marilyn Monroe stanno completando le riprese del film “The Misfits”, scritto dal marito dell’attrice Arthur Miller e diretto da John Houston, che si rivelerà la loro ultima interpretazione. Alla fine di una giornata di riprese nella canicola del deserto i due divi si concedono una pausa, mentre intorno a loro aleggia un particolare stato di grazia.
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Racconto presente nell’e-book “La fuga ed altri racconti per l’estate”, edito da Ilmiolibro e scaricabile gratuitamente all’indirizzo : miolibro.kataweb.it/ebook-gratis-in-formato-epub/
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Nell’agosto del 1960, a Reno, in Nevada, Clarke Gable e Marilyn Monroe stanno completando le riprese del film “The Misfits”, scritto dal marito dell’attrice Arthur Miller e diretto da John Houston, che si rivelerà la loro ultima interpretazione.
Alla fine di una giornata di riprese nella canicola del deserto i due divi si concedono una pausa, mentre intorno a loro aleggia un particolare stato di grazia.
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“Vedi Marilyn, un figlio, forse solo un figlio potrà rappresentare un nuovo inizio.” Marylin Monroe ascoltava in silenzio, mentre con le mani tormentava un amuleto di legno raffigurante un cavallo selvatico, regalo di suo marito Arthur.
“Da quando sono tornato dalla guerra, questo pensiero occupa tutte le mie giornate. Non c’è, non ci potrà mai essere nessuna altra donna; nessun film e nessun premio Oscar potranno riempire il vuoto che porto dentro; solo un figlio, forse, potrà rappresentare un nuovo inizio.”
Clarke Gable levò lo sguardo da Marilyn, ed i suoi occhi si persero verso l’orizzonte rosso fuoco di quel pomeriggio di inizio settembre. Le riprese del film “The Misfist” per quel giorno erano terminate, ed i due attori avevano trovato conforto al caldo torrido del Nevada sotto la veranda del ranch.
“Io.., io credo di poterti capire.” Marilyn Monroe non riuscì a dire che queste poche parole. Sentir pronunciare la parola figlio, aveva velato il suo animo di un improvviso turbamento, che adesso trapelava, evidente, dallo sguardo.
“Sono le storie: tutto quello che portiamo con noi è custodito la dentro. E le storie, improvvisamente, manifestano un’urgenza: quella di essere raccontate. E’ una forza che non si riesce a controllare e che non puoi spiegare.”
Clarke ora era in piedi. Sorseggiava il suo drink, mentre Marilyn non riusciva ad impedire alle sue mani di stringere nervosamente l’amuleto di legno.
I due, dopo le incomprensioni dei giorni precedenti dovute ai continui ritardi sul set dell’attrice, per la prima volta dall’inizio delle riprese erano entrati in contatto. E, come a volte accade fra gli umani, l’insofferenza reciproca dei primi tempi si era trasformata in un sentire condiviso, quasi che un invisibile cerchio di empatia avesse deciso di avvolgere i due attori.
“Non chiedermi perché ti sto raccontando tutto ciò. Non ho la risposta. Sento però il bisogno che tu possa ascoltare per qualche minuto una storia: una storia che sente la necessità urgente di essere raccontata.”
Marilyn volse lo sguardo verso l’uomo e, per la prima volta, un sorriso sciolse l’espressione pensierosa del suo viso. Fu in quel preciso momento che Clarke Gable sentì di poter iniziare il racconto.
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Otto, in quei giorni era davvero insopportabile. Carole, nell’ultima telefonata mi aveva descritto il puntiglio e lo zelo con cui l’uomo si industriava a risolvere tutti i piccoli e grandi problemi legati ai continui spostamenti, su e giù per l’Indiana. Carole non vedeva l’ora di tornare a casa. Io, di riabbracciarla.
Mi mancava tutto di lei: le sue labbra, il suo corpo, la sua voce. Vivevo il tormento che mi procurava la sua assenza fisica con un disagio sempre maggiore.
Io e Carole, dopo esserci sposati, avevamo trasformato il ranch di Encino in una tenuta molto accogliente e calorosa, ricavandone il nostro rifugio ideale. Ogni fine settimana, andavamo a caccia oppure pescavamo nel vicino club, affacciato sul lago artificiale Balboa.
Otto Winkler, era il mio press-agent da molti anni, ormai. Non era stato facile convincere Carole a farsi accompagnare da lui in quel viaggio. Si, carisma e personalità non le facevano certo difetto.
Sai Marilyn, lei era stata la regina incontrastata delle commedie comiche degli anni trenta. In quegli anni di ottimismo da New Deal, la sua verve artistica aveva caratterizzato quel genere, che aveva un pò stancato il pubblico con il suo romanticismo aristocratico.
Marilyn Monroe ascoltava rapita. Clarke non poteva smettere di vestire i panni di attore nemmeno fuori dal set, e di questo lei, come d’altronde ogni artista, era perfettamente consapevole. Ma nella calura di quel pomeriggio di fine estate, una particolare luce illuminava lo sguardo che aveva fatto sognare migliaia di donne in tutto il mondo.
Clarke, finito il drink riprese il racconto.
Carole e sua madre Besse erano rimaste impressionate dalle immagini e dalle notizie sulla guerra che stava sconvolgendo in quegli anni il vecchio continente. D’impeto, avevano deciso di aiutare le popolazioni devastate dal conflitto. Il suo spirito generoso ed anticonformista anche questa volta si era imposto, ed io non avevo potuto che arrendermi: l’unica resistenza che ero riuscito a vincere, era stata convincerla a farsi accompagnare da Otto nel suo viaggio promozionale nell’Indiana.
In quei giorni di gennaio, ho immaginato infinite volte le sconfinate distese di mais che, da Fort Wayne a South Bend, fino a raggiungere Indianapolis, facevano da sfondo agli spostamenti di Carole e Besse.
Poi, quella giornata di Mercoledi 14 gennaio. Carole, eccitatissima, mi parlava dell’ultima conferenza del pomeriggio, prima del rientro. Quello, è stato il nostro ultimo contatto. Mia moglie, come al solito, quel pomeriggio esortò i presenti ad acquistare obbligazioni da guerra. Sai, “Buy War Bonds”e “Buy a Liberty Bond”, erano gli slogan che stavano facendo il giro degli Stati Uniti, e molti di noi gente di spettacolo, prestavamo con entusiasmo la nostra immagine per finanziare l’intervento americano.
Clarke Gable si versò una altro drink. La storia che stava raccontando, sembrava quasi sul punto di acquistare vita propria, e la voce ed il corpo di Clarke fungevano da perfetti medium.
D’ improvviso, dalle labbra dell’attore uscirono parole che pareva stessero aspettando da molto tempo il momento opportuno per essere pronunciate.
L’amore è un ospite imprevedibile ed inatteso Marilyn. Quando arriva, le curve dell’esistenza prendono delle traiettorie imponderabili, che si affrontano a bordo di un ottovolante spesso fuori controllo. Nulla è più come prima, e niente sarà più lo stesso, dopo.
Marilyn Monroe ora era in piedi. Il caldo continuava a non dare tregua, e, nonostante il sole si avviasse al tramonto, la temperatura continuava ad essere molto elevata.
Clarke Gable finì l’ennesimo drink, e, questa volta Marilyn, di buon grado, ne accettò uno a sua volta. Un flusso di energia positiva si stava stabilizzando fra i due attori, consentendo alle parole di Clarke di evocare la sua stagione del cuore; era come se fosse lo stesso cuore dell’attore a parlare, permettendo ai ricordi di appoggiarsi, docili, sulle sue labbra.
E, come in tutte le stagioni vi è un inizio. Quella del folle amore fra Clarke Gable e Carole Lombard ha una data precisa: 25 gennaio 1936.
Clarke si risedette. Lo sguardo di Marilyn, eloquente, lo indusse a riprendere il racconto.
Mi ricordo tutto di quella sera, niente potrà mai cancellare l’emozione di quei momenti.
Quella sera del 25 gennaio 1936, l’enorme sala del Mayfair Ball di Hollywood era pronta ad accogliere il fior fiore dello star system dell’epoca. Carole, nell’occasione, si era superata; il party era stato organizzato alla perfezione. Nemmeno Elsa Maxwell, che di quel diletto ne aveva ricavato una professione, avrebbe potuto far di meglio.
Le donne erano rigorosamente vestire di bianco. A noi uomini era imposta la cravatta dello stesso colore. Il white party non ammetteva deroghe.
Uno dopo l’altro erano arrivati tutti: David Niven con l’inseparabile Merle Oberon, Gloria Swanson, Harold Lloyd e Bing Crosby. Poi fu la volta di Johnny Wessmuller e Buster Keaton. Barbara Stanwyck e Dolores del Rio giunsero in leggero ritardo.
Anch’ io arrivai in ritardo. Tutta colpa della mia Duesenberg model JN decappottabile nuova fiammante, e della mia mania per le macchine. Avevo girato a lungo per trovare un posteggio adeguato; infine, lo avevo trovato proprio davanti all’entrata del Mayfair. Finalmente, feci il mio ingresso nella hall. Ero accompagnato da una giovane cantante conosciuta da poco, Eadie Adams. In nostra compagnia c’erano anche Marion Davies e William Randolph Hearst, a quei tempi il più influente magnate dell’editoria.
Carole, da consumata organizzatrice di party e ricevimenti, fra i più frequentati ed originali del jet set hollywoodiano, mi si avvicinò per gli onori di casa. Non era la prima volta che ci vedevamo. Anni prima, avevamo frequentato lo stesso set nel film “No man of her own”. A quel tempo, Carole era sposata con l’attore William Powell, da cui si separerà anni dopo, mentre io, beh, diciamo che non mi risparmiavo occasionali conoscenze femminili.
Ma quella sera, la particolare luce che illuminava il suo sguardo, il breve ma intenso brivido che mi percorse a contatto con la sua pelle, mi procurarono sensazioni mai provate.
Marilyn aveva riposto l’amuleto sulle ginocchia. Ora era il suo sguardo a perdersi nell’orizzonte dalle sfumature cangianti del crepuscolo. Le palpitazioni, la sensazione di inevitabilità che pervade, l’emozione euforica che assale nel momento in cui due energie complementari si incrociano, sono i regali che il cuore confeziona per la nascita di un amore. Lei, Marilyn Monroe, queste sensazioni le conosceva bene.
Clarke si alzò. I ricordi stavano risvegliando emozioni che da molto, troppo tempo languivano in fondo al suo cuore.
Fu l’inizio della mia stagione, Marilyn. Tutti abbiamo diritto alla nostra stagione del cuore: quella sera iniziò la nostra, mia e di Carole.
Furono anni di amore folle. Ogni momento libero fuori dal set era per noi. Potevamo passare giorni senza uscire nel mio bungalow sulla Hollywood Boulevard. Oppure, passavamo settimane intere al “Georgian Hotel” di Santa Monica, dove spendevamo patrimoni in mance per garantirci riservatezza e anonimato.
Quando poi la nostra abilità mimetica non fu più sufficiente, e la nostra relazione divenne di dominio pubblico, decidemmo di sposarci. Organizzammo tutto in fretta ed in gran segreto. Quella mattina di marzo, a Kingman, in Arizona, solo pochi amici parteciparono alla cerimonia. Carole era più bella che mai. Io ero pazzo di lei.
Avevo trovato il mio punto di equilibrio, Marilyn. Carole era travolgente. La sua volontà non conosceva ostacoli. La sua energia vitale mi aveva completamente contagiato.
Clarke Gable si alzò e fece alcuni passi fuori dal ranch, in direzione del deserto. Raccolse un sasso e lo lanciò lontano, quasi a sciogliere l’insostenibile tensione che si stava impadronendo del suo corpo. Dopo alcuni minuti, che sembravano poter raccogliere tutto il tempo esistente nell’universo, Gable tornò a sedersi sotto la veranda del ranch. Una luce di ritrovata pacificazione si era posata sul suo sguardo.
“Quello che rimane, Marilyn. Per anni mi sono tormentato chiedendomi cosa resta dell’amore, di tutto quell’amore. Non ho mai trovato una risposta. La notte però, quando il dolore del ricordo diventava insopportabile, sentivo una mano invisibile sfiorarmi leggermente il viso. Era una sensazione, la sensazione di un momento.”
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Il 16 gennaio 1942, il DC-3 della Transcontinental and Western-Airlines che sta riportando a casa Carole Lombard, si schianta contro il Monte Potosi, a cinquantuno chilometri da Las Vegas. Carole, sua madre Besse, Otto Winckler, gli altri passeggeri e l’equipaggio periscono nello schianto. Clarke Gable, sconvolto dal dolore, affitta un aereo partecipando di persona alla ricerca dei corpi. Dopo due giorni di ricerche ritrova i resti della sua amata.
Gable, per non impazzire dal dolore si arruola nell’esercito. Al suo ritorno riprende ad interpretare film, ma non è più la stessa persona. Si sposerà due volte, cercando inutilmente di ritrovare la sua Carole nei tratti di altre donne. Poco prima delle riprese del film “Misfist” apprende che la sua attuale moglie sta per donargli un figlio. Non riuscirà mai a vederlo. Appena terminate le riprese del film morirà per un infarto fulminante, il 20 novembre 1960.
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“Forse solo un figlio, Marilyn, solo un figlio potrà rappresentare un nuovo inizio.”
Marilyn Monroe ora è in piedi. L’amuleto di legno è rimasto sulla sedia insieme al drink. L’attrice si avvicina piano a Clarke Gable che sta fissando un orizzonte perduto nell’oscurità, e con la mano, lievemente, gli accarezza il viso.