La fotografia della casta politica è lì da vedere, con i suoi vizi e le sue miserie che tutti conosciamo. Di contro, sappiamo ben poco di quella seconda casta che, come un gigantesco “panopticon”, è in grado di condizionare la politica e di presidiare saldamente i santuari del potere. Si tratta di una immane sovrastruttura che si compone di leader veri, sempre defilati, silenziosi, lontani da quei riflettori che, invece, lusingano i finti leader della politica, resi innocui dal loro frivolo narcisismo. Per questa ragione non dovremmo prendere troppo sul serio il teatrino della politica italiana: perché si compone di attori e pataccari. I registi sono altrove.
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Si narra che una delle battute più in voga negli ambienti accademici sia quella di ritenere l’Italia “un paese tecnicamente fallito” capace di restare a galla solo grazie alle salvifiche virtù dell’economia sommersa. Si tratta, ovviamente, di una esagerazione non priva, tuttavia, di qualche fondamento visto che esistono delle “verità nascoste” che sarebbe utile disvelare al fine di consentire al cittadino di capire, per esempio, per quale arcano motivo, dopo decenni di tagli e con una pressione fiscale sempre più vessatoria, ancora oggi il paese non sia in grado di uscire dalle secche di una crisi senza fine. La verità è che l'impalcatura centralista dello Stato favorisce l'esistenza di una serie infinita di rivoli di cui, non solo i cittadini, ma perfino i parlamentari, stentano a individuarne l' “estuario”, cioè i destinatari finali. Nel nostro paese il bilancio dello Stato continua ad essere una sorta di nebulosa la cui opacità collide con l'obbligo di una democrazia di informare il cittadino sulle modalità di impiego delle entrate che derivano, in massima parte, dai tributi. Eppure ci sarebbe tanto da raccontare sui “misteri” di alcune poste del bilancio pubblico che i nostri politici fingono di non vedere. Sarebbe, per esempio, interessante fare chiarezza sul rischio assunto dallo Stato italiano nei confronti di alcune grandi banche (Morgan Stanley, Deutsche Bank, Ubs, Hsbc e altre) da cui è sortita una perdita di 23,5 miliardi di euro, dal 2011 al 2016, che, stando alle previsioni (vedi, “La voragine”, di Luca Piana) potrebbe ripetersi nei prossimi cinque anni. Le cause di queste perdite colossali derivano dall'acquisto di una quantità imprecisata di derivati, da parte del nostro Stato, che rende il paese pericolosamente vulnerabile. Credete che il cittadino ne sappia qualcosa? Potrà sembrare incredibile ma di questi contratti si ignorano le condizioni, la durata e, in taluni casi, perfino le controparti. La sensazione è che il vero problema del nostro paese non siano i vincoli di bilancio imposti dall'Ue, come spesso si favoleggia: i parametri di Maastricht e il fiscal compact, da soli, non possono giustificare alcune macroscopiche anomalie che rischiano di mettere in ginocchio la nostra democrazia. Nei conti pubblici del paese esistono buchi neri sui quali il nostro ceto politico non è in grado di dare risposte. Ad esempio, non tutti sanno che nel nostro paese lavora solo il 38,4% della popolazione, pari a 23 milioni e 215 mila persone. Si tratta di un dato a dir poco terrificante: vogliamo, davvero, credere che poco più di un terzo del paese possa farsi carico della restante parte senza che, alla lunga, questo squilibrio possa risultare letale? Servirebbe, pertanto, una grande operazione-verità che la politica dovrebbe avere il coraggio di promuovere. Di contro, gran parte del ceto politico appare silente e complice di camarille, interessi e potentati le cui articolazioni nel tessuto civile risultano, spesso, invisibili, inafferrabili. Come ha scritto recentemente Marcello Veneziani, all'interno della nostra classe dirigente esiste una casta occulta non meno potente della casta politica. Tutti, ormai, conosciamo la sconsolante inverecondia del nostro ceto politico: le inchieste di questi anni anni ne hanno portato alla luce gli infiniti privilegi. Quelle medesime inchieste hanno portato a un duplice risultato: da una parte, ha fatto alzare il vento dell’antipolitica; dall’altra, ha incoraggiato l’ingresso nell’agone politico di una falange di minuscoli scherani ingolositi dalla prospettiva di acquisire visibilità, tessere relazioni e carpire prebende. La fotografia della casta politica, pertanto, è lì da vedere, con i suoi vizi e le sue miserie. Di contro, sappiamo ben poco di quella seconda casta che, come un gigantesco “panopticon”, è in grado di condizionare la politica e di presidiare saldamente i santuari del potere. Si tratta di una immane sovrastruttura che si compone di leader veri, sempre defilati, silenziosi, lontani da quei riflettori che, invece, lusingano i finti leader della politica, resi innocui dal loro frivolo narcisismo. Per questa ragione non dovremmo prendere troppo sul serio il teatrino della politica italiana: perché si compone di attori e pataccari. I registi sono altrove.