Non ha senso continuare ad irrorare il sistema economico di liquidità, come intende fare Draghi, se poi i governi non riducono la pressione fiscale. Non è un caso che, come si legge nel Rapporto del Censis, siamo ancora il paese “dello zero virgola” che fa fatica a crescere e a svoltare. Ecco perché continuiamo a restare al palo e, soprattutto, ecco perché la nostra economia, che si compone di una infinità di piccole imprese, continua ad avere vitale bisogno dell’evasione fiscale per produrre reddito e, talora, per sopravvivere, con l'ipocrita avallo della politica e la tacita benevolenza dei cittadini.
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La manovra espansiva promossa dalla Bce ha finora prodotto risultati largamente inferiori alle attese. Questo è il dato che accomuna il 49° Rapporto del Censis e il terzo Rapporto Bes (Benessere equo e sostenibile) dell’Istat che hanno tracciato l’identikit di un “Paese in letargo” che stenta ad uscire dalle secche di una crisi che appare senza fine. Da entrambi i rapporti è emersa chiaramente la cautela e la scarsa propensione al rischio dei risparmiatori italiani nonché lo stallo in cui versano, tuttora, il Mezzogiorno e le nuove generazioni alle quali il presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha mestamente annunciato che la pensione, per loro, resterà per sempre una chimera. Questo è il quadro che emerge dopo quasi un decennio di austerità che non solo ha accentuato le disuguaglianze sociali ma ha colpevolmente ignorato le profonde trasformazioni del mercato. Nel giro di vent'anni, infatti, il tradizionale modello fordista è stato spazzato via da un capitalismo molecolare che la politica stenta a comprendere e governare: l’universo della fabbrica è stato soppiantato da una rete di micro-soggetti chiamati a misurarsi col mercato senza beneficiare delle tutele godute, per decenni, dalla grande industria. Pur rappresentando, storicamente, il nerbo della nostra economia, oggi la piccola impresa è proiettata a produrre più servizi che beni. Si ponga mente a questo dato che può apparire sorprendente: secondo Eurostat, (l’istituto di statistica dell’Eu), l’Italia vanta il più alto numero di imprese nonché il più alto numero di piccole imprese. Tuttavia, in questo medesimo comparto, siamo soltanto al quarto posto come numero di occupati (dietro Germania, Regno Unito e Francia e prima della Spagna). Riflettere su questi dati può aiutare a capire il parziale fallimento della manovra espansiva della Bce (il c.d. “quantitative easing”) che nasce da una vecchia illusione, di ispirazione monetarista, secondo cui, per rilanciare gli investimenti, sarebbe sufficiente ridurre i tassi di interesse. Non è così, evidentemente, come già decenni or sono ammonì Keynes di cui è rimasta celebre la battuta “l’acqua c’è ma il cavallo non beve”: cioè, per far ripartire l’economia, non basta ridurre il costo del denaro. Serve altro. Serve che dal mercato provenga una robusta domanda di beni e servizi, servono i consumi delle famiglie senza le quali gli imprenditori non saranno mai disposti ad investire. Oggi, quella domanda non c’è ancora, ed è destinata a non esserci fino a quando ai governi nazionali sarà preclusa la possibilità di adottare una politica fiscale in grado di ridare fiato ai consumi. Non ha senso, pertanto, irrorare il sistema economico di liquidità, come intende fare Draghi, se poi i governi non riducono la pressione fiscale. Non è un caso che, come si legge nel Rapporto del Censis, siamo ancora il paese “dello zero virgola” che fa fatica a crescere e a svoltare. Ecco perché continuiamo a restare al palo e, soprattutto, ecco perché la nostra economia, composta, come si è detto, di una infinità di piccole imprese, continua ad avere vitale bisogno dell’evasione fiscale per produrre reddito e, talora, per sopravvivere, con l'ipocrita avallo della politica e la tacita benevolenza di tutti i cittadini.