Le paure dell'Occidente si stanno traducendo nell'adozione di misure penali sempre più stringenti. Ritorna imperioso il monito dell'economista Marshall: "Se un ricco signore illumina soltanto la propria via, gli altri che vivono al buio si recheranno a curiosare". Il buio dei paesi poveri e la luce del ricco Occidente.
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E qui non c’entra la Fao o il recente vertice dei paese ricchi. Da un po’ di tempo usiamo trattare i poveri come molesti tafani che turbano la nostra quiete: basta scacciarli. Ci piace il capitalismo ma ci sfugge sempre che è un sistema che ha una poderosa capacità di creare ricchezza ma una congenita incapacità nel ripartirla. Scusate se è poco. Negli ultimi tempi si sta allargando la forbice sociale, cioè, i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Si sta avverando la nefasta profezia di Marx che aveva preconizzato la proletarizzazione del ceto medio. Chi l’avrebbe mai detto? Non abbiamo più certezze e ci spaventa il pensiero di tornare poveri. In Occidente le masse sono sempre più inquiete. La politica usa il codice penale per blandirle e rassicurarle ma è solo un atto di cortesia. Torna imperioso l’esempio di Marshall: “Se un ricco signore illumina la propria via lasciando al buio tutte le altre, tutti si recheranno a curiosare”. Clandestini, accattoni e prostitute sono facce diverse della stessa medaglia, quella della povertà. Sono i poveri che bussano alle porte dell’Occidente che, come il ricco signore, dovrà decidere se illuminare le altre vie o vivere armato per respingere i curiosi. Dobbiamo ammettere di avere sbagliato. Abbiamo creduto per decenni al dogma del pil e della crescita infinita e, senza farci tanti problemi, abbiamo asservito la parte povera del pianeta che adesso ci presenta il conto. I poveri non si accontentano più dei resti dei nostri pasti. Ora ci chiedono di sedersi alla nostra tavola e la cosa ci inorridisce perché non c’è posto. Etica e religione discutono del diritto dei poveri ad essere nostri commensali ma l’economia ha già chiaro il responso. Aveva ragione Moravia nel ritenere che la povertà rappresentava un dramma che non ci avrebbe risparmiato perché “se in un cortile ci possono stare venti persone e ne entrano cento, inevitabilmente saranno calpestate le aiuole”. La colpa dei poveri è quella che stanno calpestando le nostre aiuole che noi abbiamo amorevolmente coltivato gettando le erbacce nei loro territori. Ammettiamolo: l’Occidente ha sempre adottato una logica di dominio verso i paesi poveri. Abbiamo finto di aiutarli stanziando denari che i loro governi usavano per acquistare le nostre armi. Solo ora abbiamo capito che per proteggere le nostre aiuole dovevamo esportare il nostro sapere, non vender loro i nostri cascami. Bisognava illuminare le loro vie e invece ci siamo illusi di poterli escludere dalle nostre: in questo modo ci siamo condannati all’inquietudine di saperli alle nostre porte. A cosa serve la ricchezza senza la tranquillità di poterla godere? Questo è l’interrogativo, ormai ineludibile, a cui siamo costretti a rispondere. Quando all’inizio del novecento sbarcarono in America intere navi cariche d’italiani, gli americani ci accolsero senza distinzioni. Valorizzarono gli italiani onesti e misero in prigione quelli disonesti giudicandoci con le loro stesse leggi, senza farne altre solo per noi. Poi ci aiutarono a diventare ricchi per consentirci di restare a casa nostra ed evitare che, arrivando in troppi, potessimo “calpestare le loro aiuole”. Anche in questo consiste la grandezza del popolo americano. Non ci piace che il nostro paese sia tacciato di razzismo e riteniamo profondamente ingiusta una simile accusa. Risulta, tuttavia, necessario che la politica ritrovi al più presto le proprie ragioni vincendo la tentazione, sempre incombente, di usare le inquietudini del cittadino senza guarirle. Il codice penale va usato per punire i manigoldi, non i poveri. Così hanno fatto gli americani al cospetto dei quali noi davvero riveliamo di essere gli unici, veri poveri.