La ricorrenza dei 150 anni di Unità nazionale è stata oggetto di un grande dibattito che, in tutto l'arco dell'anno, ha coinvolto il nostro paese in tutte le sue componenti. Quale giudizio dare alle vicende risorgimentali, evitando sia un’esaltazione acritica che un revisionismo denigratorio? Per far questo è utile ricordare sinteticamente quali ne sono state le diverse interpretazioni.
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Nei primi decenni unitari si è costruito un “mito” del Risorgimento, facendo sparire i contrasti tra i protagonisti, gli errori e i fallimenti, per esaltare la conclusione moderata e monarchica e per alimentare un patriottismo con forti connotazioni militaristiche e nazionalistiche. I giovani subirono questo tipo di educazione patriottica che verrà ampiamente sfruttata dai nazionalisti favorevoli alla prima guerra mondiale e poi dal fascismo. Ma già all’inizio del Novecento iniziano le riletture critiche che introducono il concetto di Risorgimento come “conquista regia”, evidenziando la debolezza di uno Stato privo di un vero riconoscimento popolare. Il giovane liberale Piero Gobetti, che morirà in esilio in Francia per i postumi delle percosse subite dagli squadristi fascisti, parla di una “rivoluzione fallita”non solo per l’incapacità del movimento patriottico di coinvolgere le masse popolari, ma anche di formare una borghesia moderna, il che spiegherebbe anche il fenomeno del fascismo. Invece Benedetto Croce vede nel processo risorgimentale un tappa fondamentale per l’inserimento dell’Italia nel processo del liberalismo europeo. Gli storici fascisti presentarono la “rivoluzione fascista” come il compimento del Risorgimento. Antonio Gramsci, rinchiuso nelle carceri fasciste, scrisse nei suoi Quaderni del carcere delle riflessioni sul Risorgimento che alimentarono un ampio dibattito nel secondo dopoguerra. Anche Gramsci parla di una “rivoluzione passiva” guidata dai moderati, senza il coinvolgimento dei contadini, ma analizza anche le responsabilità dei democratici italiani che, a differenza dei giacobini della rivoluzione francese, non seppero proporre una “rivoluzione agraria” che rompendo i latifondi e dando le terre ai contadini avrebbe portato ad coinvolgimento della popolazione ed un diverso sviluppo democratico del nostro Stato. La tesi della “rivoluzione agraria” fu poi contestata dallo storico liberale Rosario Romeo, il quale sosteneva che essa avrebbe impedito lo sviluppo dell’economia capitalista e quindi poi l’avvio dell’industrializzazione. Questa tesi fu poi criticata da altri storici osservando che in diversi paesi europei nel secondo Ottocento l’industrializzazione non avvenne mediante l’accumulo di capitali nell’agricoltura, ma attraverso capitali esteri e bancari e l’intervento dello Stato. Negli ultimi decenni gli storici hanno evitato di proporre spiegazioni globali del Risorgimento, hanno invece cercato di approfondire più a fondo la conoscenza delle diverse componenti sociali e politiche del movimento patriottico, come Franco Della Peruta, altri hanno esaminato i problemi sociali ed economici dei vari Stati preunitari per capire meglio le dinamiche profonde del movimento risorgimentale. Alcuni hanno scritto pagine molto interessanti sul ruolo degli intellettuali e della cultura nella formazione di un “sentimento nazionale”. Recenti studi, come quelli di Banti, hanno evidenziato che il Risorgimento non fu un movimento elitario, al contrario vennero coinvolte migliaia di persone in quella parte della società alfabetizzata in grado di comprendere quanto stava avvenendo. Esistono poi interpretazioni revisioniste, più giornalistiche e politiche che storiche, che valutano negativamente il Risorgimento e il processo di unificazione nazionale, auspicando una sua dissoluzione per ricostituire entità statali a carattere regionale.
Senza nascondere difetti ed errori dei protagonisti del Risorgimento, dobbiamo ricordare che essi furono in buona parte dei giovani coraggiosi disposti a sopportare carcere,esilio e morte in nome della libertà e della giustizia, rifiutando sistemi politici assolutistici e reazionari, per riscattare una “patria sì bella e perduta”, come si canta nel Nabucco di Verdi. Il Risorgimento fu il primo tentativo di modernizzare e laicizzare il nostro Paese, inserendolo nel contesto dello sviluppo liberale dell’Europa. E le aspirazioni più profonde del Risorgimento durante la seconda guerra mondiale ispirarono anche il movimento partigiano, non a caso spesso definito il “secondo Risorgimento”. E forse il successo in quest’anno in tutta Italia delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia è segno che il Risorgimento fa parte in modo profondo della nostra identità nazionale e del nostro Stato democratico.