Esiste una parte rilevante del paese che, spaventata dalla povertà incombente, avverte l'irrefrenabile desiderio di tornare ad avere una speranza, anche a costo di sognare. Questo é ciò che é mancato alla politica, cioè, la capacità di ridare una speranza a quella parte di società civile che si è vista progressivamente relegata ai margini di un mercato regolato dalle “bronzee”, spietate leggi dell'economia. Se è vero, quindi, che Salvini e Di Maio non possono essere la soluzione dei nostri mali, sicuramente ne rappresentano una spia, un segnale che la politica ha sottovalutato facendo colpevolmente germogliare il seme populista.
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In occasione della fiducia che Camera e Senato hanno tributato al governo, da più parti é stata sollevata l'anomalia di un premier che, in aperto contrasto con la Costituzione, si annuncia come mero esecutore della volontà dei due leader che lo hanno designato, cioè, Salvini e Di Maio. Avremo, pertanto, un premier eterodiretto che dovrà rispondere dei suoi atti non già al Parlamento ma ai due veri protagonisti di questa indecifrabile fase politica di cui, allo stato, nessuno è in grado di prevedere né la durata né gli esiti finali. Occorre, tuttavia, ammettere che un premier “commissariato” e in ostaggio di chi lo ha scelto non rappresenta, certamente, una novità visto che, anche in passato (si pensi al governo Forlani voluto da Craxi e De Mita) abbiamo assistito alla nascita di governi sui quali le segreterie dei partiti avevano potere di vita e di morte. In cosa consiste, quindi, la vera anomalia di Giuseppe Conte? La vera peculiarità del nuovo premier consiste nella sua totale impossibilità a dirsi espressione di qualcosa che lo rappresenta. Giuseppe Conte si limiterà, infatti, a dare attuazione ad un contratto stipulato da terzi, non potrà metterci nulla di suo, dovrà prestare molta attenzione quando vorrà esprimere un suo personale pensiero. Il “contratto”, questa è la vera anomalia che differenzia Conte dagli altri premier del passato a cui abbiamo fatto riferimento. La designazione del prof. Conte va inscritta in un preciso statuto di cui egli é custode, senza alcuna possibilità di deroga. Non ci sono precedenti nella storia del nostro paese di un governo con un premier palesemente depotenziato nelle sue funzioni. Sarebbe utile rammentare che il prof. Conte dovrebbe “dirigere la politica generale del governo”, dovrebbe “mantenere l'unità di indirizzo politico”, dovrebbe “promuovere e coordinare l'attività dei ministri”: questo recita l'art. 95 della nostra Costituzione che disegna il profilo di un premier che la dottrina usa tradizionalmente definire “primus inter pares”. Il contratto ha, di fatto, obliterato e annullato il dettato costituzionale perchè tutte queste attribuzioni sono state confiscate da un accordo che ha già tracciato “ab origine” gli esigui margini di manovra dell'azione di governo di un premier che, come già detto, deve solo limitarsi a dare attuazione alle previsioni contrattuali dei soggetti terzi che lo hanno designato. Non solo. Come abbiamo già rilevato in altre occasioni, il prof. Conte non può fingere di dimenticare che l'azione di governo si compone di innumerevoli decisioni che hanno per oggetto temi che nessun contratto é in grado di disciplinare “ex ante”. Infatti, al di là degli impegni programmatici ritenuti prioritari, che coincidono abitualmente con quelli di maggiore impatto mediatico, un esecutivo che voglia rappresentare il “cambiamento” dovrebbe avere una forte coesione interna anche nelle problematiche che, in modo estemporaneo, un esecutivo è chiamato a gestire. In realtà, tutti sappiamo che questo governo non é in grado di garantire una soluzione condivisa su tanti temi che, non a caso, gli estensori del contratto hanno cercato scrupolosamente di eludere. Pertanto, il celebratissimo contratto, che dovrebbe costituire la grande novità, finisce per rappresentare il vero limite di un governo e di un premier di cui chiunque é in grado di percepire l'intima fragilità. Tuttavia, malgrado questo, in una parte rilevante del paese si avverte il desiderio di “lasciar fare” e di assecondare il percorso tracciato dai due giovani “dioscuri” della politica italiana che, rispetto ai loro predecessori, dimostrano una grande abilità nell'interpretare lo stato d'animo dei cittadini che, spaventati dalla povertà incombente, avvertono l'irrefrenabile desiderio di tornare ad avere una speranza, anche a costo di sognare. Questo é ciò che é mancato alla politica, cioè, la capacità di ridare una speranza a quella parte di società che si è vista progressivamente relegata ai margini di un mercato regolato dalle “bronzee”, spietate leggi dell'economia. Se è vero, quindi, che Salvini e Di Maio non possono essere la soluzione dei nostri mali, sicuramente ne rappresentano una spia, un segnale che la politica ha sottovalutato facendo colpevolmente germogliare il seme populista.
Editoriale apparso su La Provincia sdell'11 giugno 2018.