Gli ultimi sondaggi confermano che, per Matteo Salvini, questo governo é stato davvero un affare. Prima del 4 marzo nessuno avrebbe mai osato immaginare che, nel giro di pochi mesi, la Lega sarebbe diventato il primo partito del paese e che sarebbe riuscito a fare breccia perfino nel Mezzogiorno. Bisogna dare atto a Salvini di avere realizzato quel capolavoro tattico da cui trae origine l'attuale corto circuito della politica italiana che, in modo singolare, penalizza tutti i partiti, esclusa la Lega. Di Maio dovrebbe, ormai, aver capito che l'unico a cui conviene questo governo é Matteo Salvini il quale, dopo aver raso al suolo Forza Italia, ha iniziato ad annettersi quote crescenti dell'elettorato pentastellato.
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Gli ultimi sondaggi confermano che, per Matteo Salvini, questo governo é stato davvero un affare. Prima del 4 marzo nessuno avrebbe mai osato immaginare che, nel giro di pochi mesi, la Lega sarebbe diventato il primo partito del paese e che sarebbe riuscito a fare breccia perfino nel Mezzogiorno. Bisogna dare atto a Salvini di avere realizzato quel capolavoro tattico da cui trae origine l'attuale corto circuito della politica italiana che, in modo singolare, penalizza tutti i partiti, esclusa la Lega. Di Maio dovrebbe, ormai, aver capito che l'unico a cui conviene questo governo é Matteo Salvini il quale, dopo aver raso al suolo Forza Italia, ha iniziato ad annettersi quote crescenti dell'elettorato pentastellato. Le ragioni di questa inopinata transumanza sono di natura identitaria. In Italia esiste storicamente un elettorato conservatore, abitato da forti pulsioni nazionaliste, che ha sempre osteggiato la costruzione europea. Il fatto, poi, che la sinistra ne abbia fervidamente caldeggiato il percorso, ha rappresentato per queste frange una ragione ulteriore per diffidare dell'Unione. Questo fattore, di chiara matrice “lepenista”, ha consentito a Salvini di salvare il suo partito dalle secche di un localismo che lo avrebbe fatalmente condannato ad un'assoluta irrilevanza nelle zone lontane dalla “padania”. La sinistra ha colpevolmente sottovalutato questa metamorfosi della destra italiana la quale, dopo il declino di Berlusconi, sembrava aver smarrito tutti i suoi riferimenti. Matteo Renzi ha cercato di intercettare quella parte di elettorato orfana del Cavaliere senza, tuttavia, fiutare quel fiume carsico, fatto di rabbia e di paura, che stava attraversando la nostra società. In questo senso, il Pd renziano ha rivelato la sconsolante incapacità della sinistra italiana di interpretare il disagio crescente di un paese che, sotto i colpi della recessione e dell'austerità imposta da Bruxelles, aveva smesso di nutrire fiducia nella politica. A causa di questa sinistra salottiera e radical-chic, vicina alla borghesia metropolitana e lontana dalle periferie, sono nati i primi vagiti di quell'antipolitica di cui Beppe Grillo, con grande sagacia, ha saputo cogliere i primi segnali. Alla vigilia del Congresso, oggi sarebbe giusto ricordare che le piazze gremite dei famigerati “vaffa-day” furono protervamente liquidate dall'intero Giglio Magico con quella spocchia, tipica del renzismo, di cui oggi il Pd paga le conseguenze. Tuttavia, sarebbe riduttivo attribuire solo a Matteo Renzi le cause dell'attuale corto circuito della politica italiana che, come si diceva, non ha risparmiato neppure i pentastellati. Tutto ciò non é casuale a va ricondotto alla vera differenza esistente tra Lega e 5 Stelle. Vediamola. Matteo Salvini non ha alcuna difficoltà a collocare il proprio partito in uno spazio politico determinato e dai contorni ben definiti. Gli elettori leghisti si proclamano fieramente di destra, la loro matrice comune é rappresentata da valori che il lessico politico suole tradizionalmente definire di destra. Nella topografia politica italiana, la Lega vanta, dunque, una propria capacità distintiva. Di contro, ancora oggi Luigi Di Maio continua orgogliosamente a sostenere che il movimento 5 Stelle “non é né di destra, né di sinistra” attribuendo questa peculiarità al declino di queste due categorie che, suo dire, apparterrebbero al passato. In realtà, con un minimo di onestà intellettuale, Di Maio dovrebbe ammettere che la perdita di consensi dei 5 Stelle é determinata proprio da questo ambiguo eclettismo che ha finito per rendere sempre più evanescente l'identità di un movimento che oggi risulta paralizzato dalle sue infinite contraddizioni. La flessione dei 5 Stelle, pertanto, era scontata e facilmente prevedibile perchè un coacervo di promesse inconciliabili può essere utilizzato con profitto nelle piazze ma risulta intraducibile in un'efficace e coerente azione di governo. Per queste ragioni, l'alleanza con Di Maio, per Matteo Salvini, é stato davvero un grande affare.
Editoriale apparso su La Provincia del 26.11.2018