L'azzeramento dei tassi e il rendimento, pressocché nullo, dei più importanti titoli europei, determinano una propensione sempre più diffusa verso quella “preferenza per la liquidità” che, specialmente nel nostro paese, per svariate ragioni, si traduce in un attaccamento morboso all'uso del contante. L'Ue e i governi nazionali devono prendere atto che per ridare fiato all'economia occorre ridurre la pressione fiscale che grava su famiglie e imprese. La leva fiscale, pertanto, potrebbe propiziare nel sistema economico quei benefici che le politiche monetarie non sono più in grado di produrre.
---------------------
L'imminente recessione che, secondo gli analisti, sta per abbattersi sull'Europa, conduce all'amara constatazione che le politiche espansive volute da Mario Draghi hanno sortito benefici da cui, inutile nasconderlo, una larga parte della popolazione europea è rimasta totalmente esclusa. Occorre ammettere che i grandi profitti conseguiti da pochi soggetti non si sono tradotti in alcun vantaggio redistributivo per i più deboli i quali possono oggi ben dire che, per loro, la recessione non è mai finita. Un approccio keynesiano nella comprensione di quanto è accaduto potrebbe aiutare a capire le ragioni per cui, aver inoculato nel sistema economico dosi massicce di liquidità, non è servito a scongiurare il ritorno di una recessione che rischia di mettere in ginocchio le economie più fragili dell'Eurozona, Italia in testa. Negli anni Trenta, Keynes descrisse in modo magistrale quella che lui ebbe a definire “trappola della liquidità” che rappresenta la situazione in cui l'iniezione di moneta non riesce più a stimolare la domanda globale. In pratica, il basso costo del denaro, determinato da una politica monetaria espansiva, non è in grado di rilanciare l'economia reale a causa del comportamento delle famiglie e delle imprese le quali, attanagliate dalla paura di consumare e di investire, preferiscono custodire e “tesoreggiare” il proprio risparmio (c.d. “teoria della preferenza per la liquidità”). Da qui, la battuta, divenuta memorabile, di lord Keynes secondo cui “l'acqua c'è, ma il cavallo non beve”: cioè, malgrado la convenienza del costo del denaro, i soggetti economici preferiscono starsene quieti con la giusta cautela di chi vuol vederci più chiaro. La situazione, oggi, riproduce esattamente quanto descritto, quasi un secolo fa, dal grande economista inglese il quale non avrebbe mai immaginato che, un giorno, in Europa, i tassi di interesse sarebbero stati pari a zero o, addirittura, negativi. Malgrado in questi sette anni la Bce abbia usato il “bazooka” (il c.d. Quantitative easing) per immettere nel sistema oltre 2,3 trilioni di euro, ci troviamo, ancora una volta, davanti al rischio di una nuova recessione. Questo scenario spaventa terribilmente il cittadino il quale sa di non poter più contare sull'ombrello protettivo del sistema bancario che non può garantire ai suoi risparmi i benefici di una volta. L'azzeramento dei tassi e il rendimento, pressocché nullo, dei più importanti titoli europei, rappresentano una delle cause per cui, negli ultimi tempi, si assiste ad una propensione sempre più diffusa verso quella “preferenza per la liquidità” che, specialmente nel nostro paese, per svariate ragioni, si traduce in un attaccamento morboso all'uso del contante. Risulta chiaro, pertanto, che la leva monetaria non è in grado, da sola, né di rilanciare l'economia, né di ridare fiducia al cittadino le cui ansie crescenti, ancora oggi, non sembrano trovare alcuna risposta. L'Unione europea e i governi nazionali dovrebbero prendere atto che l'unico modo per ridare fiato all'economia è di allentare la pressione fiscale che grava su famiglie e imprese. La leva fiscale, pertanto, potrebbe propiziare nel sistema economico quei benefici che le politiche monetarie non sono più in grado di produrre. E qui si torna, ancora una volta, agli insegnamenti di John Maynard Keynes il quale, bacchettando i liberisti, suoi predecessori, argomentò che, per rilanciare gli investimenti, non basta ridurre il costo del denaro: infatti, ogni imprenditore tornerà ad investire solo se avrà aspettative di profitto, cioè, solo se esiste una domanda di mercato che, nelle fasi di recessione, lo Stato avrà il compito di stimolare. Se vogliamo, pertanto, scongiurare il rischio di una nuova recessione, non dobbiamo fare altro che restituire al settore pubblico quel ruolo strategico, già avuto in passato, che si concreta in un programma di investimenti pubblici e in una possente riduzione della pressione tributaria. In caso contrario, sarà inutile illudersi sul futuro dell'Europa perché il populismo continuerà a rappresentarla come la vera causa dell'impoverimento sociale e del declino dell'Occidente. Non senza qualche ragione.
Editoriale apparso su La Provincia di lunedì 7 ottobre 2019