Sessanta anni fa, nel 1956, accaddero eventi che segnarono profondamente lo sviluppo della storia mondiale e del nostro paese. Nel febbraio Kruscev, il segretario del Partito comunista sovietico, denunciò i crimini di Stalin durante il XX Congresso del Pcus. Quello che i sovietici avrebbero voluto che restasse una rapporto segreto, si diffuse in tutto il mondo provocando grandi lacerazioni all'interno dell'universo comunista. La sinistra italiana conobbe la prima, clamorosa scissione da parte di prestigiosi esponenti della cultura. Italo Calvino, ad esempio.
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Sessanta anni fa, nel 1956, accaddero eventi che segnarono profondamente lo sviluppo della storia mondiale e del nostro paese. Nel febbraio Kruscev, il segretario del Partito comunista sovietico, al XX Congresso in un rapporto segreto, ma che presto divenne pubblico, denunciò i crimini di Stalin, si aprì una crisi nel blocco sovietico. In giugno in Polonia scoppiarono scioperi e agitazioni antisovietiche che a fatica vennero contenute dalla dirigenza comunista grazie anche ad un dialogo riaperto con la Chiesa cattolica. Ma i fatti più gravi avvengono in Ungheria, già in estate si susseguono agitazioni studentesche e operaie, in ottobre le manifestazioni antisovietiche si radicalizzano, a Budapest viene abbattuta la statua di Stalin, l’esercito inviato per sedare la rivolta si unisce ai manifestanti. Per controllare la situazione viene richiamato alla guida del governo Imre Nagy, ex primo ministro comunista che era stato espulso dal Partito nel 1955 per aver proposto delle riforme che liberalizzassero la vita economica e politica. Nagy annuncia riforme radicali e l’uscita del paese dal blocco comunista. A questo punto i dirigenti filosovietici chiedono a Mosca un intervento militare, il 24 ottobre i carri armati sovietici entrano a Budapest scatenando una rivolta popolare, vengono issate le bandiere nazionali bucate al centro, eliminando la falce e il martello sovietici. Il 29 ottobre le truppe russe abbandonano Budapest, la rivoluzione sembra aver vinto. Ma il nuovo segretario del Partito comunista ungherese, Janos Kadar richiede di nuovo l’intervento sovietico, il 3 novembre l’Armata rossa assedia Budapest, Nagy legge l’ultimo suo comunicato radio: “Nelle prime ore del mattino truppe sovietiche hanno attaccato la capitale per rovesciare il governo legittimo e democratico d’Ungheria. Il governo è al suo posto. Ne informo il popolo ungherese e il mondo intero”. Ma il mondo occidentale è impegnato nella grave crisi per il controllo del Canale di Suez, l’Ungheria è sola, la resistenza ungherese viene sanguinosamente stroncata, decine di migliaia vengono uccisi negli scontri con l’esercito russo o eliminati dopo la cattura. Nagy si rifugia nell’ambasciata jugoslava, ma poi viene consegnato ai sovietici. Verrà processato nel 1958, così si difende: “ Ho cercato in due riprese di salvare l’onore della parola socialismo nella pianura del Danubio, nel ‘53e nel ’56. In questo processo devo sacrificare la mia vita per le mie idee. Sono sicuro che la storia condannerà i miei assassini. Una cosa sola mi ripugnerebbe, essere riabilitato da coloro che mi hanno assassinato”. Il 15 giugno viene condannato a morte e il giorno successivo alle sei del mattino viene impiccato.
La vicenda ungherese ha significative ripercussioni sulla sinistra italiana, in particolate nel Partito comunista che perde l’occasione storica per un mutamento che avrebbe cambiato la storia del Partito e dell’Italia. Togliatti, il segretario del partito, fa propria la improbabile versione sovietica che denuncia un complotto capitalistico sventato dal popolo ungherese aiutato dalle forze sovietiche. Il Partito socialista condanna invece l’invasione sovietica, la rottura tra i due partiti è insanabile, si rompe l’alleanza nata nel dopoguerra, si apre la strada per un riavvicinamento del PSI alla Democrazia Cristiana che porterà all’esperienza del centrosinistra, ma non con gli esiti sperati. Nel Partito comunista si manifestano voci dissenzienti dalla linea del Partito, il sindacato CGIL guidato da Giuseppe Di Vittorio il 27 ottobre prende pubblicamente le difese degli insorti, il 29 ottobre 101 intellettuali aderenti al PCI rivolgono un appello al partito perché faccia proprie le ragioni dei movimenti popolari polacchi e ungheresi. Ma il Partito tacita le voci di opposizione, molti si adeguano, ma alcuni lasciano il Partito, tra questi un dirigente politico come Giovanni Giolitti e lo scrittore Italo Calvino che iniziò un suo percorso letterario e culturale originale. Mi piace qui ricordare le righe conclusive del libro Le città invisibili: “ L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”