Il significato della cena tenutasi a casa di Bruno Vespa con Berlusconi e sua figlia Marina, il banchiere Geronzi, il Governatore di Bankitalia Draghi, il cardinale Bertone, Pier Ferdinando Casini e Gianni Letta.
Come sappiamo, in occasione del suo cinquantesimo anniversario di professione, Bruno Vespa ha organizzato una cena ristretta alla quale hanno partecipato Silvio Berlusconi e la figlia Marina, il banchiere Geronzi, il Governatore di Bankitalia Draghi, Pier Ferdinando Casini, Gianni Letta e il cardinale Bertone. Vien da pensare alla celebre battuta di Andreotti che, già qualche anno, ebbe a definire “Porta a porta” il “terzo ramo del parlamento”. Il primo significato che taluni analisti hanno voluto attribuire a quella cena è il tentativo di Berlusconi di svincolarsi dalla morsa di Fini. Ma non è esattamente così, come cercheremo di argomentare. La cosa più inattesa di questa cena resta, in ogni caso, la partecipazione del cardinale Bertone. Da questa presenza si può arguire la grave preoccupazione della Chiesa italiana per le vicende politiche in corso nel nostro paese, tanto grave da giustificare un gesto così plateale. Cosa può preoccupare principalmente il Vaticano in questo momento? Le note vicende degli ultimi mesi hanno indebolito gravemente l’immagine internazionale della Chiesa italiana che ha bisogno di riaccreditarsi attraverso il sostegno ad un governo che ne rilanci ruolo e prestigio. Il pontificato di Ratzinger rappresenta uno dei momenti storici di massima debolezza della nostra Chiesa, per questo motivo le risulta di vitale importanza riappropriarsi di un ruolo di iniziativa e di peso nella scena politica italiana. In quest’ottica, il rilancio di Casini potrebbe essere lo strumento per avviare questa operazione di auto-riabilitazione. A differenza del Cavaliere, Casini è in grado di ricucire i rapporti con Fini facendo, altresì, da ponte con alcuni settori del Partito Democratico. Quale sarebbe il governo che potrebbe essere gradito ai commensali di quella cena? Poiché, allo stato, risulta velleitario immaginare un esecutivo senza Berlusconi, l’unica alternativa allo “status quo” è costituita da un governo presieduto dal Cavaliere ma largamente rinnovato nella compagine ministeriale con Casini ministro dell’Interno, Fini ministro degli Esteri e qualche transfuga del Partito democratico, area ex Margherita. Da questo possibile scenario ne discende la chiara consapevolezza, da parte dell’entourage del premier, che il vero ostacolo per il Cavaliere non è Fini ma Tremonti. Infatti, malgrado la stampa seguiti a rappresentare Fini come il grande oppositore del premier, l’unico, vero grande problema per Berlusconi resta il Ministro dell’Economia. Occorre prendere atto che la leadership di Tremonti si è consolidata grazie al potere di interdizione della Lega la cui crescita elettorale si è tradotta, come’era prevedibile, in uno strapotere negoziale che risulta sempre più indigesto al premier e alla componente “sudista” del Pdl. Anche per la Lega, pertanto, si pongono nuovi interrogativi dalla cui soluzione possono schiudersi nuovi scenari. Si tratta di una partita delicata nella quale la Lega dovrà decidere se restare un partito regionale o se, di contro, aspirare ad una reale dimensione nazionale, con tutto ciò che ne consegue sul piano del linguaggio e dell’universo simbolico. Insomma, sta per aprirsi una fase nuova della politica italiana in cui, tuttavia, Berlusconi continua a rappresentare il perno fondamentale ed imprescindibile del sistema. La cena a casa Vespa depone a favore di una svolta all’insegna della discontinuità che determinerebbe l’estromissione della Lega dai grandi giochi. Su un altro versante, ci sarebbe un orso ibernato che si chiama sinistra la quale, per rientrare nell’agone politico, potrebbe virtualmente interloquire con la Lega sul tema delle riforme che l’altra parte ha sempre finto di caldeggiare al solo fine di tener quieti i “lumbard”. Per la sinistra, D’Alema rappresenta la conservazione, come si desume dall’attenzione per Casini e dal favore per un governo di “larghe intese” (ci risiamo con i miasmi consociativi!). La verità è che il federalismo rappresenta il “thema decidendum” che consentirà di capire chi sono i veri innovatori, chi sono i veri federalisti e chi, invece, in modo gattopardesco, vuole cambiare tutto per non cambiare nulla.