Il 6 giugno 1928, a Berlino, il tedesco Max Scmelling incontra e sconfigge il pugile italiano, prediletto del Duce, Michele Bonaglia. Sul piano simbolico è la vittoria della democrazia sulla dittatura, anche se, cinque anni dopo, l'ascesa di Hitler avrebbe spazzato via quella che la storia conosce come gloriosa "Repubblica di Weimar". Sull’onda dell'esempio americano, in campo artistico la boxe diventa, anche in Europa, la perfetta allegoria con cui le avanguardie intendono ritrarre la rottura con la tradizione.
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L’esplosione culturale seguita alla nascita, nel 1919, della Repubblica di Weimar, permette a Berlino di divenire il cuore pulsante di tensioni artistiche e cultrurali, in un caleidoscopo di movimenti e scuole che si intrecceranno per circa tre lustri. Le avanguardie artistiche, abbracciando il jazz ed i film del cinema muto, cercano nell’America una costante fonte di ispirazione, ed anche la modernità sublimata dai campioni dello sport americano non passa inosservata agli artisti tedeschi. La boxe, diviene allora l’allegoria pefetta per descrivere plasticamente l’ansia di rompere con la tradizione dell’idealismo sentimentale, che permea ancora gran parte della cultura e della società tedesca dell’epoca.
Il movimento dell’Espressionismo, esasperando la rappresentazione del lato emotivo e deforme della realtà - dalle riviste ” La Tempesta” e “Rivoluzione” al teatro di Karl Sternheim e Bertolt Brecht, dal cinema di Robert Weine e Fritz Lang alla pittura di Gerge Grosz, dall’architettura di Emil Fahrenkamp alla musica di Arnold Schonberg - comincia a far vacillare le architravi delle idealità borghesi: famiglia, religione e potenza militare.
In particolare, il movimento artistico “Neue Sachlichkeit, la “Nuova Oggettività”, che prende il nome dalla mostra tenutasi a Mannheim nel 1925, accentua ulteriormente la critica ad una società rimasta prigioniera dei prestigi nobiliari e della ricchezza economica delle élite. Le caricature socio-politiche su tela di Otto Dix, sono il paradigma perfetto della disillusione e del cinismo dei movimenti dell’avanguardia artistica tedesca di quegli anni.
In tale clima di aperta dissacrazione della tradizione, il pugile, che, nell’immaginario collettivo rappresenta il reietto in perenne ricerca di affermazione, ben si presta a rappresentare la rottura con le convenzioni borghesi, diventando la nuova icona a cui fa riferimento gran parte dell’”intellighentia”. Nascono numerosi circoli artistici nei quali viene promossa la “noble art”, e, personaggi come Heinrich Mann, Alfred Doblin e George Grosz, intrattengono rapporti di amicizia con i più famosi pugili tedeschi. In particolare, la giovane promettente stella Max Schmeling, nato a Klein Luckov, il 28 settembre 1905, e futuro campione del mondo dei pesi massimi, diviene una costante fonte di ispirazione per quadri e sculture, e, la palestra presso cui si allena diventa un vero e proprio luogo alla moda.
Il richiamo al modernismo americano, e l’eco delle epiche sfide che si tenevano sui ring delle metropoli d’oltreoceano, sono fonte di stimolo per lo spirito emulatorio tedesco. Nel suo dramma“Nella giungla della città”, Brecht utizza la metafora pugilistica per descrivere il conflitto fra un ricco mercante ed un umile impiegato di una biblioteca, “reo” di avere opinioni sui libri.
Mentre Leni Riefenstahl e Marlene Dietrich si allenano al punching-ball, nella ossessiva ricerca di uno stile di vita simile a quello americano, Max Schmelling cerca di replicare sul suolo natio, le gesta del campione statunitense Jack Dempsey. Il campione teutonico, prima di trovare la definitiva consacrazione oltreoceano, deve però tener fede ad un impegno che la federazione pugilistica del suo paese ha preso con i gerarchi italiani; incontrare a Berlino il “favorito” di Mussolini, il pugile Michele Bonaglia.
Roma e l’Italia, negli stessi anni, stanno assistendo all’agonia dello stato liberale. Vittorio Emanuele III ha consegnato, di fatto, il potere a Mussolini dopo la marcia su Roma, ed a partire dal 1925, il fascismo mostra il suo vero volto, consolidandosi come sistema autoritario.
In quel periodo, Il modernismo italiano è rappresentato in larga parte dal Futurismo. Questo movimento d’avanguardia, auspicando un profondo rinnovamento per tutte le arti , cerca di proporre un nuovo senso del vivere. L’aggressività simboleggia una nuova etica ispirata al nascente capitalismo, alle metropoli d’oltreoceano, ai nuovi metodi di produzione fordiani ed alla velocità, come espressione di rapido cambiamento. In tale contesto, il salto mortale, lo schiaffo, il pugno, si elevano a simbolici e provocatori atti di rottura con le convenzioni del passato. Nella foga di rovesciare l’accademismo, proprio il linguaggio della boxe viene evocato come metafora dei nuovi tempi. E se, Mussolini descrive il pugno come “mezzo di espressione squisitamente fascista”, e Savinio dipinge il famoso dipinto“Le boxeur”, l’incipit del “Manifesto dell’Adompetonismo”, pubblicato da Ardingo Soffici nella rivista fiorentina “Lacerba”, fondata da Giovanni Papini, afferma che “l’arte è uno sport del genere della boxe”, considerandola uno sfogo di eccedente energia muscolare.
Il fascismo, appropriandosi della “noble art”, riconosce il campione di pugilato perfettamente funzionale alla sua propaganda, collocandolo nel più vasto fenomeno del divismo, utilizzato dal regime per consolidare il consenso. Mussolini ha bisogno di eroi; occorre nutrire il nascente ed ancor debole sentimento di orgoglio patrio, iniettando nell’immaginario collettivo della nazione robuste dosi di coraggio, forza e carattere.
Primo Carnera, il gigante buono del Friuli, alto più di due metri per centoventicinque chili di peso e con scarpe taglia cinquantadue, sarà l’eletto del regime per rappresentare nel mondo la “pura razza italiana”. Avrà successo e diventerà campione del mondo dei pesi massimi sul suolo americano; nel 1935, prima dell’incontro con Joe Louis, il Washington Post lo raffigurerà come il simbolo delle 250.000 truppe italiane in procinto di invadere l’Etiopia.
Prima dell’epopea del gigante fiulano, però, un altro pugile era stato scelto dal regime nascente per raffigurare il perfetto rappresentante della nobile arta italica; è il piemontese Michele Bonaglia. Nato a Druento , in provincia di Torino, il 5 ottobre 1905, di soli sette giorni più giovane di Max Schmelling, chiamato “spaccapietre” per la potenza dei suoi pugni, Bonaglia diviene campione italiano dei mediomassimi a Roma, nel 1926, diventando il pugile favorito del Duce. Dopo due felici difese del titolo, i gerarchi fascisti ritengono di poter lanciare il guanto di sfida alla Repubblica di Weimar. Il 6 gennaio 1928, viene programmato un match, da tenersi a Berlino, nel quale il pugile italiano dovrà affrontare Max Schmelling, in una simbolica disputa fra dittatura e democrazia.
I quotidiani pongono grande risalto all’ennesima provocazione lanciata dal fascismo, ed il pugile , una volta di più, è la metafora collocata nell’avamposto delle aspirazioni di un gruppo sociale, questa volta, addirittura, di una intera nazione.
Michele Bonaglia, in una gelida serata dell’ inverno berlinese, andrà incontro ad una severa lezione. L’incontro con Schmelling durerà, infatti, solo un minuto e quarantacinque secondi, allorchè uno spaventoso gancio del tedesco, soprannominato “l’ulano nero”, si abbatterà sulla mascella del pugile piemontese mandandolo al tappeto. Il giorno dopo, i quotidiani tedeschi esalteranno la vittoria della democrazia sulla dittatura, ironia beffarda ed inconsapevole, come gli eventi della storia avrebbero tristemente dimostrato, da li a pochi anni.
Max Schmelling proseguirà la sua grande carriera, diventando nel 1930 campione mondiale dei pesi massimi a New York, dopo aver sconfitto Jack Sharkey. Si stabilìrà per lungo tempo negli Stati Uniti, e sposerà una attrice del cinema holliwoodiano, Anny Ondra. Rientato in Germania dopo la morte della moglie, avvenuta nel 1987, vivrà una serena vecchiaia a Wenzerdof, e, per pochi mesi, non riuscirà festeggiare il centenario, scomparendo il 2 febbraio 2005.
Michele Bonaglia, dopo la sfortunata esperienza di Berlino, combatterà per alcuni anni sul suolo italiano, riuscendo a mantenere il possesso del titolo nazionale dei mediomassimi. In un entusiasmante incontro disputato a Milano, il 10 febbraio 1929, sconfiggerà Clayes Etienne, riuscendo a conquistare il titolo europeo nella stessa categoria. Si ritirerà definitivamente nel 1934. A differenza del collega tedesco, la vita gli riserverà una tragica fine; il 2 marzo del 1944, nella piazza del municipio di Druento, sarà abbattuto da un colpo di moschetto. Il giorno dopo, i quotidiani liquideranno la notizia in poche righe, e Michele “spaccapietre”Bonaglia, risulterà l’ennesima vittima dell’odio politico che avvelenava il clima, in quel triste periodo della storia italiana.
Storie di uomini, che intrecciano i loro destini sul ring.
La boxe, non a caso definita arte nobile; modello di espressione drammatica, nella quale il corpo esprime un linguaggio che, all’interno di un quadrato, declina una strategia che richiede forza, coraggio, intelligenza. Si può chiedere di più ad uno sport?