Ricorre in questo mese il 125esimo anniversario di uno dei più vergognosi massacri di nativi indiani, quello avvenuto il 29 dicembre 1890, nelle prossimità del torrente Wounded Knee, nel Sud Dakota, quando, le Giacche Blu guidate dal colonnello James Forsyth sterminarono circa 300 indiani Minneconjou, per lo più donne e bambini. In questo racconto che mescola nomi di fantasia a personaggi ed avvenimenti reali, i ricordi di una anziana donna Sioux, fra le poche superstiti della strage.
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In questo racconto che mescola nomi di fantasia a personaggi ed avvenimenti reali, i ricordi di una anziana donna Sioux, fra le poche superstiti della strage, ci permettono di rivivere il periodo delle “guerre indiane”, triste capitolo della storia americana in cui un’espansione incontrollata verso i territori dell’ovest estirpa di fatto la cultura dei nativi pellerossa, relegandone l’esistenza negli angusti spazi delle riserve. Una strana danza, ed alcuni personaggi noti e meno noti, ci accompagnano in un ideale percorso della memoria.
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Wakanda aveva appena fatto in tempo a scorgere l’enorme striscione che si dipanava da un capo all’altro del presbiterio, prima che un sonno improvviso e profondo vincesse le sue residue resistenze. “Pace in terra agli uomini di buona volontà”. Queste erano le parole incise, che non potevano essere comprese dalla squaw. Era il 29 dicembre 1890, il mese della “Luna della Brina sotto la Tenda” secondo il calendario Sioux-Lakota. Illuminati dalle candele, gli addobbi natalizi pavesavano ancora la piccola chiesa della comunità di Pine Ridge, nella riserva indiana del Sud Dakota.
L’anziana donna indiana aveva passato diverse ore ammassata su un carro bestiame insieme ad altri cinquanta feriti nel gelo dell’inverno del Midwest. Ora si trovava finalmente al riparo, all’interno della chiesa episcopale. I pochi bambini rimasti illesi dalla furia dei cannoni Hotchkiss correvano sulla paglia che ricopriva il pavimento in cerca di qualcosa con cui sfamarsi, dopo quasi un giorno di digiuno.
Wakanda, insieme ad altre quarantasei fra donne e bambini Minneconjou, clan degli indiani Lakota, una delle tre nazioni Sioux insieme ai Dakota ed ai Nakota accomunati da usi, linguaggio e religione, era riuscita a salvarsi dalla carneficina del giorno prima. Su di lei aveva avuto effetto la profezia dello sciamano Wovoka, della tribù dei Paiute, secondo cui le pallottole dei bianchi non avrebbero potuto colpire i fratelli indiani che ballavano la ghost dance, la danza degli spettri che li rendeva invulnerabili.
Due anni prima, nel gennaio del 1889, durante una eclissi totale di sole, Wovoka era entrato in uno stato di trance. Al risveglio, aveva raccontato di un viaggio ultraterreno nel quale gli era apparso il “Grande Spirito” Manitou, che gli aveva mostrato una terra ricca di vegetazione e selvaggina, prospettando una nuova era di prosperità per il suo popolo. Il “Grande Spirito” lo aveva esortato a portare il nuovo verbo fra i Sioux, insegnando loro la ghost dance, rituale simbolico di concordia e pace, che avrebbe reso immortale tutti i nativi disposti a ballarla.
Il nuovo rito, creando un sincretismo fra le tradizioni indiane e quelle introdotte dai missionari cristiani, si stava diffondendo come un vero e proprio contagio spirituale nelle riserve. La danza cementava un nuovo sentimento di solidarietà e speranza, iniettando nelle tribù la consapevolezza della sacralità della loro esistenza e dell’importanza del rapporto con gli dei e gli antenati. Disposti in cerchio, con al centro lo sciamano con in mano una piuma d’aquila e la testa fasciata da una benda bianca, i pellerossa saltavano e cantavano dal tramonto a notte inoltrata, toccando, a volte, vette di estasi e perdita di coscienza.
Gli uomini bianchi non capivano: turbati e spaventati al tempo stesso, non comprendevano questo rituale a loro troppo estraneo e misterioso. Fraintendevano le intenzioni degli indiani, interpretando la danza come minaccia e segnale di rivolta.
Ptaysanwee, Takchawee, Weeko e le altre donne Minneconjou, intorpidite dal freddo, seguivano intanto con sguardo assente le corse dei bambini all’interno della piccola chiesa. Nelle loro orecchie rimbombavano ancora i colpi esplosi dalle carabine e dai cannoni delle giacche blu. Solo poche ore prima, nell’accampamento di Wounded Knee, il settimo cavalleria guidato dal colonnello George A. Forsyth, comandante dell’ex reggimento di Custer, non aveva certo fatto economia di polvere da sparo.
Il governo di Washington aveva dato ordine di catturare tutti gli indiani fomentatori di disordini che praticavano la danza degli spettri, iniziando da Tatanka Yotanka, “Toro Seduto”, diventato il più importante sacerdote del culto di Wovoka. Il governo credeva in tal modo di poter definitivamente mettere la parola fine all’annosa “questione indiana”.
La successiva uccisione di “Toro Seduto”, avvenuta il 15 dicembre a Pine Ridge per mano del poliziotto indiano “Tomahawk Rosso”, aveva indotto molti dei suoi guerrieri Sioux Hunkpapa a raggiungere l’accampamento dei Minneconjou, dove, officiata dallo sciamano “Uccello Giallo”, era risaputo praticarsi la danza degli spettri. Informato dell’assassinio di “Toro Seduto”, il capotribù “Piede Grosso”, benché ammalato, decise di portare la sua gente a Pine Ridge, per ottenere la protezione di “Nuvola Rossa”, la cui autorità era unanimemente riconosciuta da tutte le tribù indiane.
Wakanda aveva visto numerose volte nell’accampamento Minneconjou il grande capo degli Oglala, gruppo Sioux molto amico del suo clan. Si ricordava ancora di quando, in una tormenta di neve, “Piede Grosso” partì a cavallo insieme al capo Cheyenne “Naso Aquilino” per raggiungere “Nuvola Rossa” e “Toro Seduto” a Cherry Creek, nel Kansas. In quell’occasione, il trambusto fra la sua gente fu indescrivibile. Per la prima volta infatti i capi indiani avevano deciso di non rispettare la tradizione che impediva di iniziare un conflitto nei mesi invernali.
Quel 2 gennaio del 1865, dopo una riunione durata una intera giornata, i capi delle due grandi nazioni indiane del nord-ovest, i Sioux ed i Cheyenne, giurarono di dare una lezione ai “visi pallidi” dopo l’infamia di Sand Creek.
A Sand Creek, il 29 novembre 1864, più di centocinquanta indiani Cheyenne, per lo più donne e bambini, assaliti a tradimento, erano stati trucidati dalle giacche blu guidate dal colonnello e pastore metodista John Chivington.
Per molti mesi, Wakanda e suo figlio, “Toro Alto”, patirono le intemperie e la fame, così come le altre donne ed i bambini dell’accampamento. Il suo uomo, “Alce che Scalpita”, come tutti i guerrieri Minneconjou, furono impegnati in una rivolta che si rilevò lunga e sanguinosa. In mancanza di cacciagione e di carne di bisonte, ci si dovette accontentare di bacche, radici, grano bollito e carne di cane.
Fu quello il periodo più cruento delle cosiddette “guerre indiane”. Combattimenti quasi ininterrotti videro protagonisti i pellerossa guidati da “Nuvola Rossa”, “Coda Macchiata” e “Cavallo Pazzo”, in un territorio sconfinato che andava dal Missouri sino alla regione montagnosa del Wyoming. Molte tribù che avevano concluso trattati di pace con i bianchi, disotterrarono l’ascia di guerra per seguire Nuvola Rossa.
I Crow, i Blackfoot e gli Arapahos si unirono ai Sioux ed ai Cheyenne, e le immense pianure del nord-ovest furono teatro di continui sanguinosi scontri.
Intanto, all’interno della chiesa, i bambini, sfiniti, si erano addormentati ai piedi delle donne. Gli unici quattro guerrieri sopravvissuti al massacro erano ancora seduti sulla paglia, con lo sguardo perso nel vuoto. Tutti i loro amici, fratelli e parenti, giacevano nella neve, vicino al torrente Wounded Knee.
In quel momento, Wasumaza cercò di alzarsi, ma le forze gli vennero a mancare. Il giorno prima, lui era uno dei guerrieri più vicini a “Coyote Nero” quando si scatenò l’inferno.
Dall’altra parte del presbiterio, Wakanda, dopo aver riaperto gli occhi, osservava Wasumaza. Nello sguardo del guerriero riconosceva quella stessa rassegnazione che aveva visto tanti anni prima negli occhi del suo uomo, “Alce che Scalpita”. Pensava a quella lontana primavera del 1869, quando, dopo il periodo della “grande rivolta”, tutto l’accampamento fu costretto a trasferirsi nel Sud Dakota, divenuto uno dei pochi territori rimasto a disposizione dei nativi a seguito del trattato di pace stipulato dall’Amministrazione di Washington con Nuvola Rossa.
Wakanda, “Alce che Scalpita” e tutti i Minneconjou si mossero in una lunga marcia di avvicinamento al territorio loro destinato. Attraversarono il fiume Washita dove, pochi mesi prima, una intera tribù Cheyenne era stata distrutta dalla furia del settimo cavalleria guidato dal tenente colonnello George A. Custer.
Custer, usando la sua abituale tattica, aveva attaccato di sorpresa alle prime luci dell’alba con l’intero accampamento immerso nel sonno. A nulla era valso il gesto coraggioso del capo Cheyenne Pentola Nera, che aveva sventolato una bandiera a stelle e strisce come segno di amicizia. La furia cieca del settimo cavalleggeri uccise lui, e spazzò via uomini donne e bambini, inermi e disarmati.
Il Sud Dakota era una terra lontana, e la marcia per raggiungerla fu lunga e faticosa. Una volta arrivati alla confluenza dei fiumi Rock e Missouri, l’agenzia governativa destinò l’accampamento Minneconjou sulla riva del fiume Cheyenne. D’altro canto, Wakanda ed i Minneconjou, così come tutte le altre tribù delle tre nazioni Sioux, nutrivano cieca fiducia ed enorme rispetto per tutte le decisioni che venivano prese da Nuvola Rossa. Il grande capo degli Oglala Lakota si era recato numerose volte a Washington per rappresentare gli interessi dei suoi fratelli pellerossa contro una politica governativa che stava cercando di sradicare la cultura indiana.
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Iniziato circa sessant’anni prima, quello che verrà poi considerato come un vero e proprio genocidio ai danni dei nativi pellerossa, subì una brusca accelerazione il 1 febbraio 1876, quando il ministro degli Interni degli Stati Uniti dichiarò guerra alle tribù ostili refrattarie a trasferirsi nelle riserve.
Successivamente, nel 1879, una odiosa legge obbligò tutti i bambini indiani a frequentare le cosiddette “boarding school”, scuole bianche gestite dai gesuiti. Nelle intenzioni del governo, i piccoli pellerossa, allontanati con la forza dalle loro famiglie, dovevano essere spogliati della loro identità nativa ed avviati ad una progressiva civilizzazione. Quella delle scuole bianche fu solo una delle tante tattiche adottate dal governo di Washington per risolvere la “questione indiana”, all’interno di una più ampia strategia volta ad estirpare la cultura dei nativi dai territori americani.
Fin dal lontano 1929, la scoperta dei giacimenti minerari d’oro, argento e rame nei territori dell’ovest, indusse il governo americano ad emanare l’ Indian Removal Act, prima legge dichiaratamente avversa alle popolazioni native. Vi era prevista la deportazione forzosa degli indiani dai loro territori oltre un confine chiamato barriera permanente, che, dal Lago Superiore, attraversava lo Iowa ed il Wisconsin seguendo i fiumi Arkansas e Mississippi per giungere fino al Red River, al confine dell’Oklahoma.
Negli anni seguenti, il costante flusso migratorio che portò la popolazione degli Stati Uniti dai sette milioni del 1810, ai trentadue del 1860, convinse il Governo federale a promulgare la Homestead Act. Questa legge, emanata nel 1862, assegnava agli indiani sessantacinque ettari di terreno anche oltre i territori delle tredici colonie originarie a sole due condizioni: il possessore doveva naturalizzarsi americano, e aveva l’obbligo di far fruttare la terra; dopodichè, passati cinque anni, ne diventava proprietario. Fu l’inizio di un esodo senza precedenti. Molte famiglie di coloni si trasferirono verso l’ovest, accompagnati da minatori, cercatori d’oro, giocatori e da ogni risma di avventurieri. I territori dei nativi ne risultarono sconvolti.
Le compagnie di trasporti si organizzarono rapidamente per agevolare l’attraversata. L’Overland Mail fu una di queste. Disponeva di duecentocinquanta diligenze che riuscivano a coprire un territorio di cinquemila chilometri fino al Montana, l’Idaho, il Nevada e l’Oregon.
L’Homestead Act decretò anche un altro fondamentale provvedimento, ovvero la costruzione della Ferrovia del Pacifico, opera gigantesca con la quale si intendeva coprire circa millesettecento chilometri di territorio con tronchi ferroviari. Migliaia di “paddies” irlandesi, “coolies” cinesi, soprattutto, ma anche italiani e tedeschi, furono impegnati per anni in quella mastodontica opera, che per i pellerossa determinò un duplice danno. Oltre a deturpare i territori delle immense praterie, vennero infatti modificate le abituali piste battute dalle mandrie di bisonti determinandone una strage indiscriminata; in tal modo, se venne garantito cibo sufficiente per le migliaia di operai impegnati nei cantieri dell’ovest, nello stesso tempo venne scientemente sottratta agli indiani la loro principale fonte di sostentamento alimentare. Dal 1872 al 1874 furono abbattuti circa tre milioni di esemplari, e, di questi, solo centocinquantamila dagli indiani.
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A Pine Ridge le luci del mattino avevano prepotentemente fatto irruzione nella chiesa. Wakanda, l’unica donna anziana ad essersi salvata dall’eccidio, si stava incamminando verso il grande portone di legno. La tormenta di neve era finalmente terminata e ora il sole troneggiava nel cielo azzurro.
I soldati si apprestavano a montare a cavallo per lasciare il villaggio. Vedendo quegli uomini protesi al galoppo, Wakanda ripiombò nell’incubo che aveva vissuto poche ore prima.
Rivide i soldati perquisire i tapee, e lo stregone “Uccello Giallo” iniziare a danzare la ghost dance. Vide “Coyote Nero” protestare perchè le Giacche Blu gli avevano sequestrato il winchester nuovo. Sentì il primo colpo di fucile e poi…poi il fragore assordante, che durò un’infinità. Vide “Piede Grosso” colpito a morte, e le donne fuggire con i bambini urlando. Sentì i tuoni dei grandi cannoni Hotchkiss abbattere tutti i tapee facendo terra bruciata di tutto l’accampamento. Dopodichè, si ricordò del silenzio. Un silenzio irreale. Ed i corpi. Distesi sulla neve, decine e decine di corpi privi di vita.
Quei terribili ricordi le permisero però di accomiatarsi con un ultimo sorriso da suo figlio, e dall’uomo che aveva conosciuto da bambina, e con il quale aveva vissuto per più di cinquant’anni. Per un attimo, che fu interminabile, li vide. “Alce che Scalpita” e “Toro Alto”. In piedi, lo sguardo fiero, davanti al loro tapee. In quell’attimo provò tutto l’amore possibile, e lo mise al sicuro nel suo grande cuore.
A passi lenti, Wakanda fece ritorno all’interno della chiesa. Una luce intensa stava illuminando il presbiterio. Lo sguardo dell’anziana donna si volse ancora verso l’enorme striscione su cui era impressa quella scritta dal significato misterioso per lei, povera squaw analfabeta: “Pace in terra agli uomini di buona volontà”.