Piaccia o no, questo governo non ha alternative. Nel mondo anglosassone si usa l' acronimo, "t.i.n.a." ("there is not alternative", non ci sono alternative) per rappresentare i momenti di sclerosi del quadro politico. Attualmente la posizione più comoda resta quella di Silvio Berlusconi che può vantare la presenza di un garante al governo (Salvini) e di un garante all'opposizione (Renzi): mai come ora, il suo impero ha potuto godere di tanta invulnerabilità. Per queste ragioni, il Cavaliere assiste serafico alla lenta consunzione di Forza Italia. A sinistra, invece, Renzi attende la prossima disfatta elettorale per dimostrare che la crisi del Pd non é imputabile al Giglio Magico.
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Il dibattito sulla prescrizione e sul decreto-sicurezza ha reso evidenti le gravi divisioni esistenti nel governo su temi che si annunciano difficilmente componibili. In questa fase stanno emergendo tutte le contraddizioni di un esecutivo la cui precarietà é connaturata a quel “contratto di governo” che rappresenta la singolare sommatoria di programmi per molti aspetti incompatibili. A parte l'avversione per l'Europa e per la moneta unica, che rappresenta il cemento che unisce i due elettorati rendendoli intercambiabili, su molti argomenti Lega e 5 Stelle propongono ricette inconciliabili, e talora perfino antitetiche. Il lessico pentastellato annovera parole come trasparenza, legalità, conflitto di interesse, ambientalismo, che per la Lega non hanno mai rappresentato una priorità. Malgrado Salvini e Di Maio siano soliti proclamare che questo è il governo scelto dagli italiani, entrambi dovrebbero riconoscere che, in realtà, si tratta solo di un governo “preterintenzionale" partorito da un risultato elettorale che rispecchia la rabbia di un paese, stremato dalla crisi, che ha voluto infliggere alla politica una dura lezione. In realtà, pare che quella lezione non sia assolutamente servita visto che, dopo sette mesi dalle elezioni, non si intravede lo straccio di una possibile alternativa. Questa é la verità, piaccia o no. Nel linguaggio anglosassone, si suole fare ricorso ad un acronimo, "t.i.n.a." ("there is not alternative", non ci sono alternative) per rappresentare i momenti di sclerosi del quadro politico che, come sappiamo, sul piano storico non costituisce una novità per il nostro paese. In questo momento, la posizione più comoda resta quella di Silvio Berlusconi che può vantare la presenza di un garante al governo (Salvini) e di un garante all'opposizione (Renzi): mai come ora, il suo impero ha potuto godere di tanta invulnerabilità. Per queste ragioni, malgrado le legittime ansie di tanti peones di periferia, il Cavaliere assiste serafico alla lenta consunzione di Forza Italia. Di contro, il Partito democratico continua a versare in pieno stato confusionale. La rimozione della sconfitta del 4 marzo rivela il pervicace rifiuto del gruppo dirigente di fare autocritica. Per Matteo Renzi il prossimo Congresso si annuncia come una drammatica resa dei conti che potrebbe anche concludersi con l'uscita dell'intero Giglio Magico che non ha mai dato l'impressione di condividere la storia e la cultura di un partito troppo diverso dai connotati del renzismo. La sensazione é che Renzi voglia attendere la prossima disfatta elettorale per dimostrare che la crisi del Pd non é imputabile alla sua esperienza di governo. La verità é che, ancora oggi, il Pd rinuncia a chiedersi perchè, nelle regioni più ricche del paese, continua a piacere Matteo Salvini e, nelle regioni più povere, il preferito resta tuttora Di Maio. Questi interrogativi andrebbero affrontati rinunciando a trattare spocchiosamente gli avversari come barbari ignominiosi o interpretando l'attuale momento storico come l'ennesima malattia senile di un capitalismo malato di populismo. Questa lettura, tanto proterva quanto fuorviante, elude le vere questioni sulle quali il prossimo Congresso dovrebbe aprire una grande riflessione evitando di ridurre il confronto alle solite contrapposizioni personalistiche che tutti si attendono. La verità fondamentale da cui sarebbe utile partire é quella di una sinistra che non ha saputo difendere lo stato sociale dalle insidie della globalizzazione. In modo del tutto inaspettato, la competizione globale ha creato nell'intero Occidente una povertà di massa a cui gli Stati non hanno saputo opporre alcuna misura. Di contro, abbiamo assistito allo smantellamento dell'intero sistema di protezione sociale preesistente, in linea con le improvvide restrizioni imposte da un'Europa che, anziché arginare la recessione e fare da diga alla globalizzazione, ha colpevolmente ignorato il crescente impoverimento del cittadino. Questa è la grande, duplice, colpa della sinistra: non aver saputo difendere i diritti sociali e non aver mai saputo opporre resistenza all'austerità di Bruxelles. Partire da queste verità, sarebbe già una buona cosa.
Editoriale apparso su La Provincia del 12.11.2018