La visione del berlusconismo come l'ennesimo “incidente della storia” rappresenta una chiave di lettura distorta e fuorviante che non consente di capire la natura dei grandi cambiamenti che si stanno consumando nel sottosuolo della società italiana. Interpretare gli anni del berlusconismo come una parentesi sciagurata, o semplicemente una patologia del nostro sistema, impedisce di capire perchè l'eclissi del Cavaliere ha prodotto, per gemmazione, l'esplosione di nuovi leader che ne hanno mutuato lo stile, il lessico e la grammatica politica.
---------------------
Negli ultimi vent'anni la democrazia italiana ha vissuto una grande trasformazione da cui è scaturito il dato inedito di una profonda spoliticizzazione della società civile. Fin troppo semplicisticamente, una parte dell'opinione pubblica ha attribuito all'avvento di Berlusconi la causa di questa metamorfosi che ha modificato in modo radicale la politica italiana nel linguaggio, nella simbologia e nella militanza. In realtà, le vere cause di questa trasformazione sono da ricercarsi altrove. La visione del berlusconismo come l'ennesimo “incidente della storia” rappresenta, infatti, una chiave di lettura distorta e fuorviante che non consente di capire la natura dei grandi cambiamenti che, da tempo, si stanno consumando nel sottosuolo della società italiana. Interpretare gli anni del berlusconismo come una parentesi sciagurata, o semplicemente una patologia del nostro sistema, impedisce di capire perchè l'eclissi del Cavaliere ha prodotto, per gemmazione, l'esplosione di nuovi leader che ne hanno mutuato lo stile, il lessico e la grammatica politica. Matteo Renzi, Grillo e Salvini non rappresentano il prodotto della “deriva” populista della politica italiana, come taluni continuano ad equivocare, perchè costituiscono l'espressione di un processo di trasformazione della democrazia rappresentativa che, piaccia o no, appare irreversibile: un approdo definitivo, dunque, non una semplice deriva. La verità da cui occorre partire è che, in modo del tutto inaspettato ed imprevedibile, il sistema capitalistico ha vissuto un cambiamento che ha travolto tutti gli argini posti dalla politica a difesa degli Stati-nazione. La nuova dimensione planetaria del capitalismo sta rivelando la propria, intrinseca, incompatibilità con la democrazia. Il sistema democratico, infatti, si fonda sulla necessità di esercitare la sovranità dello Stato all'interno di un territorio e di un rapporto tra governanti e governati regolato dai principi della rappresentanza. Di contro, il capitalismo finanziario, che si nasconde sotto le mentite spoglie della “globalizzazione”, è un'entità priva di dimensione territoriale e, come tale, priva di un centro: ogni punto del sistema rappresenta, insieme, il centro e la periferia. Occorre, pertanto, ammettere che il capitalismo finanziario è “naturaliter” antidemocratico perché si fonda su un potere inafferrabile, ubiquo e molecolare, di cui si ignorano i luoghi in cui si consumano i processi decisionali che determinano le sorti del cittadino. L'invisibilità di questo potere costituisce la vera causa che ha prodotto la desertificazione della politica e il conseguente trionfo del paradigma populista che costituisce il nuovo rifugio delle masse, sempre più inquiete e terrorizzate. Il capitalismo finanziario costituisce, pertanto, una grave insidia per le società occidentali perchè un cittadino turbato dall'incubo di una povertà incombente, finisce fatalmente per ritenere inutili i rituali di una democrazia. Anche da questa sfiducia nasce l'esplosione dei localismi che costituiscono l'espressione di un sussulto identitario davanti al vuoto terrificante di una globalizzazione che, anziché distribuire ricchezza, rischia di distribuire solo povertà.