Se la Lega riuscirà a radicarsi fuori dal Lombardo-Veneto, potremo assistere ad un'evoluzione in senso “nazionale” del progetto federale. In caso contrario, diverrebbe concreto il pericolo che il federalismo sia inteso come grimaldello per affrancarsi da “Roma ladrona”.
Il risultato delle elezioni regionali ha sortito l’esito paradossale di creare una grave fibrillazione all’interno della maggioranza e di peggiorare lo stato di ipnosi dell’opposizione. Sarebbe stato lecito attendersi un terremoto a sinistra ed invece, in modo inaspettato, abbiamo assistito ad una clamorosa implosione della destra. Lo scontro tra Fini e Berlusconi rappresenta la vera novità che connoterà nei prossimi mesi la politica nazionale. Si tratta di una novità che finirà inevitabilmente per condizionare anche l’opposizione che sarà obbligata a scegliere se interloquire con il Cavaliere sul terreno delle riforme o se, al contrario, fare da sponda alla fronda interna dei finiani. Nel primo caso, il Pd andrebbe prevedibilmente incontro agli strali di Di Pietro, nel secondo caso rischierebbe di inficiare la reale natura del nuovo percorso di Fini esponendolo alla prevedibile accusa di essere diventato il “compagno” Fini (ipotesi cara a Berlusconi e alla stampa di famiglia). Piaccia o meno al Cavaliere, la verità è che Fini e Bossi rappresentano gli unici, veri animali politici della destra italiana. Si tratta di due esponenti di grande caratura politica che, ai tempi della Prima Repubblica, avrebbero convissuto agevolmente con spirito pragmaticamente doroteo. Oggi questo non è possibile perché la contesa tra questi due leaders trascende gli angusti confini della “politique politicienne” essendo caratterizzata da una forte connotazione ideologica e culturale. Bossi e Fini, infatti, rappresentano due visioni del mondo e due concezioni della politica antitetiche e del tutto incompatibili. Per questo motivo, già il giorno dopo lo scontro tra Fini e Berlusconi, è immediatamente assurto al proscenio il Senatur che rappresenta il vero “casus belli” di questo conflitto interno al Pdl. Bossi sa bene che i veri nemici della Lega restano Fini e Casini i quali, a differenza di D’Alema (“la Lega costola della sinistra”), hanno sempre deplorato la crudezza del linguaggio leghista che lusinga, di fatto, gli umori antimeridionali e xenofobi di una parte, non si sa quanto marginale, del proprio elettorato. Se, come sembra, la Lega riuscirà a radicarsi fuori dal Lombardo-Veneto, nei prossimi anni potremo assistere ad una interessante evoluzione in senso “nazionale” del progetto federale. In caso contrario, diverrebbe concreto il pericolo che il federalismo sia inteso solo come astuto grimaldello per potersi affrancare da “Roma ladrona” e dai “terroni”, inguaribili tafani abbarbicati alla greppia dello Stato. Questo, va rammentato, è il lessico originario della Lega che molti opinionisti tendevano inizialmente a liquidare come innocuo poujadismo, cioè, come uno sparuto movimento di bottegai delle valli bergamasche e del varesotto divenuto insofferente verso uno Stato vorace e scalcinato. Evidentemente le cose non stavano così. Oggi la Lega rappresenta la prima forza politica in molte aree del nord perché sa offrire di sé un’immagine di novità, di cambiamento e di rottura. Per questo motivo, la Lega riesce ad erodere in un solo colpo l’elettorato del Pdl e del Pd. La leadership di Berlusconi ha tratto giovamento da questa sensazione di tonicità perché, come gli altri partiti, anche il Pdl sembra essere entrato in quel cono d’ombra della nostra politica in cui tutti gli attori del sistema appaiono irrimediabilmente usurati. La Lega, di contro, si presenta come l’unico elemento dinamico della nostra politica perché vanta una precisa identità che poggia su un scommessa, quella del federalismo, che costituisce l’unica proposta alternativa alle croniche inefficienze del nostro Stato. Fini e Casini hanno capito da tempo che la Lega non scherza. Il guaio è che non lo ha ancora capito la sinistra che, di questo passo, è destinata beffardamente a diventare, lei, la costola della Lega, con buona pace di D’Alema e di una dirigenza di cui, nella storia, non ci sono precedenti per mediocrità e pochezza.