Prima dell’avvento dell’Ue, esisteva già una corruzione dilagante, una classe politica avvezza al malaffare, un’economia criminale che svolgeva una preziosa attività di supplenza facendo da polmone all’economia legale. Per tacere delle innumerevoli consorterie, delle infinite camarille che si autodefiniscono associazioni, che hanno contribuito ad instillare nel cittadino quella atonia morale che costituisce l'inconfondibile tratto identitario di una certa idea di “italianità”. Resta, dunque, questo il problema più grave, non l'Europa.
---------------------
Uno dei luoghi comuni più diffusi nell’opinione pubblica si fonda sull’assunto secondo cui la cessione di sovranità degli Stati aderenti all’Ue avrebbe determinato l'indebolimento delle istituzioni statali che non sarebbero mai state fragili come come in questo momento storico. Basta ripercorrere la nostra storia per verificare che non è così. La nostra Costituzione ha disegnato l'assetto di uno Stato Regionale che resta un "unicum" nel panorama degli ordinamenti statuali. Si tratta di una sorta di “centralismo temperato” che non é assimilabile né al federalismo tedesco né al centralismo francese. Questa singolare impalcatura ha retto fino a quando il sistema dei partiti ha potuto garantire una forte stabilità che derivava esclusivamente da motivazioni esogene, cioè, esterne al sistema. Ci riferiamo alla situazione internazionale e alla conseguente impossibilità del Pci di accedere alla guida del paese a causa della sua vocazione filosovietica: un “bipartitismo imperfetto”, come venne definito, in grado di conferire una sostanziale stabilità malgrado le ricorrenti fibrillazioni dei governi. In questo quadro, la Democrazia Cristiana ha costituito l'architrave del sistema: un vero e proprio partito-Stato la cui deflagrazione ha poi determinato la metamorfosi delle correnti interne in più compagini concorrenti o antagoniste. Durante il ventennio berlusconiano abbiamo assistito ad un fenomeno del tutto inedito nel panorama della politica italiana: cioè, lo “svuotamento” dei partiti e la personalizzazione della competizione politica. Con un po’ di onestà intellettuale, dovremmo chiederci se, in passato, lo Stato sia stato davvero più forte di oggi. Nell'ottica di una democrazia rappresentativa, dire che uno Stato è “forte” significa che il cittadino si identifica nelle istituzioni, che pre-esiste una delega della società civile da cui si origina una sintonia, un vero rapporto simpatetico tra Stato e cittadini. Piaccia o no, la verità é che, nel nostro paese, non é mai esistito nulla di tutto questo. La stabilità garantita dal vecchio sistema dei partiti (la tanto vituperata “partitocrazia”) è servita, in verità, ad occultare il deficit cronico di rappresentatività dello Stato centrale, lo iato profondo che è sempre esistito tra cittadini e istituzioni. La distanza tra “paese reale” e “paese legale” costituisce, infatti, una costante che non è mai stata colmata. Fingiamo di dimenticare che, anche prima dell’avvento dell’Ue, esisteva già una corruzione dilagante, una classe politica avvezza al malaffare, un’economia criminale che ha sempre svolto una preziosa attività di supplenza facendo da polmone all’economia legale. Per tacere delle innumerevoli consorterie, delle infinite camarille che si autodefiniscono associazioni, che hanno contribuito ad instillare nel cittadino quella atonia morale che costituisce l'inconfondibile tratto identitario di una certa idea di “italianità”. La verità è che, grazie all'Europa, ci siamo accorti che i Comuni non contano nulla, che le Province sono inutili e che le Regioni sono comitati d'affari del tutto irresponsabili. Tuttavia, non ci siamo ancora accorti che, grazie all'Europa, è emersa in modo dirompente la mancanza di un vero Stato che è da imputare esclusivamente alla nostra incapacità di sentirci una nazione. E', dunque, questo il problema più grave, non l'Europa.