Le cause dell'attuale crisi del capitalismo non sono da ricercare soltanto all'interno del sistema economico. Si tratta, infatti, di cause che affondano le radici nel sistema di valori del mondo occidentale. Resta memorabile la frase di Isaac Newton il quale, dopo aver perso 20.000 dollari in Borsa, ebbe ad esclamare: "Posso calcolare il movimento dei corpi celesti ma non la follia degli uomini".
La dimensione della crisi economica che ha colpito l’Occidente industrializzato impone una riflessione che non può essere appannaggio dei soli economisti i quali, dopo le scellerate profezie degli ultimi anni, dovrebbero per una volta avere il buon gusto di tacere. Illustri soloni dal nome roboante ci hanno ammannito per anni la favola liberista della globalizzazione che avrebbe reso felici tutti i popoli del pianeta. La nozione di libertà dei popoli è stata così resa avulsa dal principio di autodeterminazione per essere ridotta al solo dogma del libero mercato. La libertà che piace agli apologeti della globalizzazione si identifica, infatti, con la sola libertà economica di circolazione di merci e capitali. La grande utopia coltivata da costoro non è quello di un mondo più libero ma quello di un mercato globale capace di dispiegare un potenziale terrificante di profitto al punto che perfino la guerra può essere utile per abbattere confini e barriere tra popoli. Svanisce per sempre l’utopia della fratellanza tra genti, etnie e religioni e si impone la logica universale del mercato che omologa costumi e consumi. L’attuale crisi ha una natura meta-economica perché tocca in profondità l’intero sistema di valori del mondo occidentale che da secoli ha posto il denaro al centro del proprio universo culturale. Il capitalismo ha conosciuto nei secoli questa distorsione che ancora oggi risulta inemendabile. Con l’ampliarsi degli scambi e dei mercati, nel tempo il capitalismo ha assistito ad una metamorfosi culturale del denaro: non più strumento di acquisizione di beni di consumo, ma vero e proprio fine. Da questo nasce il progressivo affermarsi del primato dell’economia sulla politica al punto che, come scrive Karl Polanyi, entrambe “si sono rese autonome e si fanno una guerra incessante”. Il diritto degli Stati ha finito via via per essere permeato dei principi dell’economia che obbligano il legislatore ad adottare un approccio deterministico secondo cui la bontà dalla norma giuridica va commisurata al solo criterio di efficienza. Non esistono altre considerazioni etiche da anteporre a quello dell’arido risultato contabile in nome del quale vengono azzerati bisogni, esigenze, necessità reali del cittadino, chiamato ineluttabilmente ad immolarsi davanti all’idolo dell’Economia. Risulta emblematica l’opinione dell’economista Gary Becker secondo il quale, data l’efficacia della pena di morte come deterrente, risulta doveroso per lo Stato introdurla tenuto conto altresì degli oneri derivanti dal mantenimento in vita del detenuto. Nel suo ultimo libro Guido Rossi cita questa frase di Becker come paradigmatica di questo capitalismo bifronte che utilizza i sistemi democratici solo per imporre il feticcio del libero mercato. Il primato dell’economia sulla politica si può arguire anche dal fatto che la figura centrale dei governi degli stati occidentali è diventata il ministro dell’Economia che detta l’agenda del governo adottando come esclusivo criterio quello della comparazione costi-benefici. Non è certamente questo il capitalismo che merita protezione e sostegno da parte degli Stati, anche in questo particolare momento di crisi. Serve una vera rivoluzione culturale che sia in grado di restituire al capitale l’antica dignità. Il capitale dovrà essere protetto nel caso di impiego nel processo produttivo; di contro, dovrà essere discriminato quando si trasforma in rendita parassitaria e strumento di rapaci speculazioni finanziarie. In realtà, il moderno capitalismo finanziario si fonda sull’assioma che il denaro può produrre denaro, talora in modo più imponente del lavoro, benchè in modo più irrazionale ed incontrollato. La crisi attuale dimostra, infatti, che la borsa è spesso sinonimo di azzardo e follia, come disse Isaac Newton il quale, dopo aver perso 20.000 dollari in borsa, ebbe ad esclamare: “Posso calcolare il movimento dei corpi celesti ma non la follia degli uomini”.