Il c.d. “coefficiente di Gini”, chiamato anche Indice di Concentrazione, rappresenta la misura utilizzata dagli esperti per descrivere le disuguaglianze di reddito e l'iniqua distribuzione della ricchezza in tutti i paesi. Il coefficiente di Gini ha dimostrato efficacemente che, senza un adeguato sistema di protezione sociale, il nostro paese non è in grado di uscire dalle secche di una crisi che a molti italiani appare senza fine. Per salvare la democrazia dalle insidie del populismo occorre reinventarsi un modello sociale in grado di restituire al cittadino la serenità perduta. Già, la serenità: è proprio questo il vero, grande nemico dei populisti.
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Dopo la recessione del 2008 l'opinione pubblica ha scoperto che in tutte le società occidentali continua ad allargarsi la forbice tra ricchi e poveri. Potrà sembrare strano ma, prima di quella che gli economisti considerano la più grande crisi economica della storia, erano in pochi a dare peso alla continua flessione dei redditi e dei consumi che avveniva in larghi strati della popolazione. Solo da qualche anno, pertanto, è cresciuta la consapevolezza della gravità di un fenomeno che, fino a quel momento, era soltanto oggetto di studio negli ambienti accademici: per svariate ragioni, la politica preferiva volgere lo sguardo altrove. Il c.d. “coefficiente di Gini”, chiamato anche Indice di Concentrazione, rappresenta, da anni, la misura utilizzata dagli esperti per descrivere le disuguaglianze di reddito e l'iniqua distribuzione della ricchezza in tutti i paesi. Nel nostro paese la crisi del 2008 ha fatto da detonatore ad una situazione già esistente nella società italiana. Malgrado fosse diffusa la convinzione che il nostro paese disponesse di un welfare in grado di attutire l'impatto sociale della crisi, la realtà dimostra esattamente il contrario. Infatti, secondo il rapporto del 2014 della “Direzione generale per l'occupazione, gli affari sociali e l'inclusione” della Commissione europea, l'Italia risulta tra i paesi nei quali, a causa della crisi, è stato registrato un aumento del coefficiente di Gini, cioè del tasso di disuguaglianza che, nel nostro caso, sarebbe da imputare alla fragilità delle tutele offerte ai soggetti più colpiti dalla crisi. Dagli anni Novanta in avanti abbiamo assistito ad un progressivo smantellamento dello stato sociale che tutti i governi della Repubblica hanno giustificato come il prezzo da pagare per il nostro ingresso nell'Unione europea. I tagli ai servizi e alla spesa sociale sono diventati una costante che ogni cittadino si è visto costretto ad accettare nella convinzione che dovesse trattarsi di una transizione. Giusto per fare qualche esempio, sarebbe utile ricordare le storture di un sistema sanitario in grado di assicurare in tempi brevi, una Tac o una risonanza magnetica, solo a pagamento. Oppure, pensiamo alle cure odontoiatriche di cui la sanità pubblica copre solo il 5%. Per decenni, le nostre famiglie hanno accettato con pacata rassegnazione i guasti profondi del sistema sanitario così come hanno accettato i costi crescenti dell'università, l'aumento dei balzelli sull'auto e sulla casa, e tutte quelle infinite disparità di cui pullulano le cronache. La società italiana, pertanto, non ha mai fatto fatica ad accettare le disuguaglianze che hanno deformato la nostra democrazia anche perché rientra nell'indole degli italiani credere, fatalisticamente, che gran parte di esse siano ineliminabili. In realtà, non è così e la politica farebbe bene a riflettere sulla necessità di ridare fiducia al cittadino garantendogli quelle tutele in grado di sottrarlo alle facili sirene di un populismo che ha trovato nello smantellamento dello stato sociale il suo formidabile catalizzatore. L'errore più grande commesso durante la costruzione comunitaria consiste nell'aver creduto che il modello sociale europeo fosse diventato insostenibile per costi e dimensioni. L'intero percorso dell'Unione europea è stato caratterizzato dal tentativo di persuadere i cittadini di avere vissuto al di sopra delle proprie possibilità. Il messaggio, greve e martellante, rivolto ai popoli dell'Unione, si è fondato, per anni, sulla necessità di ridimensionare la spesa statale attraverso una politica di tagli, sacrifici e rinunce che avrebbe regalato ai cittadini europei una moneta stabile e forte. Oggi sappiamo che non è così perché quella politica dissennata ha solo aggravato quelle disuguaglianze che, rispetto al passato, i cittadini non sono più disposti ad accettare. Il coefficiente di Gini ha dimostrato efficacemente che, senza un adeguato sistema di protezione sociale, il nostro paese non è in grado di uscire dalle secche di una crisi che a molti italiani appare senza fine. Per salvare la democrazia dalle insidie del populismo occorre reinventarsi un modello sociale in grado di restituire al cittadino la serenità perduta. Già, la serenità: è proprio questo il vero, grande nemico dei populisti.
Editoriale apparso su La Provincia di lunedì 18 novembre 2019