La proposta del Ministro dell'Economia Tremonti di coinvolgere i dipendenti nella ripartizione degli utili d'impresa, rilancia il vecchio tema della cogestione e dell'azionariato operaio. Stante la peculiarità del nostro sistema delle imprese, servirebbe una svolta culturale per poter realizzare il modello partecipativo proposto dal ministro.
Ha suscitato grande interesse la proposta del ministro Tremonti di coinvolgere i dipendenti nella distribuzione degli utili di impresa sul modello della Auchan, nota catena francese nel settore della grande distribuzione. Il modello francese prevede la trasformazione del 74% dei propri dipendenti in Italia (pari a circa 11.000 unità) in veri e propri azionisti della società. La proposta avanzata dal nostro Ministro dell’Economia è stata fatta propria anche dal direttore generale di Confindustria, Gianpaolo Galli, nonché dal Ministro del Welfare, Sacconi, secondo i quali la stessa riforma dei contratti, già sottoscritta dai sindacati nel gennaio scorso, può agevolare il varo del modello partecipativo. Tale riforma, infatti, contempla l’ipotesi che il criterio della produttività possa essere il criterio-guida della contrattazione decentrata che integrerà il contratto nazionale di categoria. In questo modo, la compartecipazione dei lavoratori agli utili potrà risultare complementare. La crisi economica potrebbe rappresentare un’occasione storica per realizzare un modello organizzativo che, va detto, non rappresenta una novità assoluta nel nostro ordinamento. Il nostro diritto societario contempla, infatti, la possibilità che una s.p.a. possa emettere “azioni a favore dei prestatori di lavoro” (trattasi di una speciale categoria di azioni diversa da quelle ordinarie) o che, in occasione della delibera di aumento del capitale sociale, una parte delle azioni ordinarie di nuova emissione possa essere offerta ai dipendenti della società. Rammentiamo che la stessa Costituzione, nell’art. 46 stabilisce che “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”. Tutte queste norme erano finalizzate ad introdurre nel nostro sistema forme di azionariato operaio che non sono mai realmente decollate. I motivi del fallimento di queste norme sono molteplici e converrà riflettervi per evitare che, ignorandoli, possano prodursi dibattiti tanto prestigiosi quanto polverulenti. Il modello partecipativo proposto da Tremonti potrà realizzarsi soltanto se la partecipazione dei dipendenti agli utili dell’impresa si coniugherà alla partecipazione dei medesimi nel Consiglio di Amministrazione. Infatti, il salario cesserà di essere una “variabile indipendente” e, poiché sarà subordinato alla produzione di utili da parte dell’azienda, le strategie aziendali dovranno essere sottoposte giocoforza al controllo sindacale. Questo è il modello tedesco della “cogestione” che ha consentito alla Volkswagen di superare la crisi attraverso il coinvolgimento dei lavoratori nel cda. Ciò ha reso possibile rabbonire i sindacati inducendoli ad accettare significative riduzioni stipendiali. Pertanto, le questioni poste dal Ministro Tremonti preannunciano un dibattito parlamentare (rammentiamo che, su tale materia, al Senato sono in discussione diversi progetti di legge) che postula la necessità di una svolta culturale nei rapporti tra le parti sociali. Naturalmente non si può prescindere dalle peculiarità del nostro sistema produttivo il cui architrave è costituito dalla galassia di piccole imprese che rappresentano, da sempre, la ricchezza del nostro paese. Il fallimento del vecchio impianto normativo disegnato dal legislatore, pur lacunoso, è da ascrivere anche a questa componente: per ovvie ragioni, le piccole e medie imprese sono strutturalmente impermeabili a questo modello partecipativo. Restano le grandi società, quotate e non. Da queste ci si aspetta quella svolta culturale che si diceva perché, in caso contrario, l’ambito applicativo della proposta avanzata da Tremonti si ridurrebbe alle sole società a partecipazione pubblica, municipalizzate comprese. Come dire, la montagna che ha partorito il topolino. Magari un topolino già visto, afflitto da logiche consociative e clientelari dove al posto dei vecchi partiti ci saranno i sindacati dei lavoratori.