La vite, insieme al grano, l’orzo, il miglio, è stata tra le prime piante coltivate dall’uomo mediterraneo. Testimonianze della sua coltivazione si trovano nei testi antichi come la Bibbia, nella civiltà greco-romana il mito di Dioniso, dio del vino, aveva una grande importanza. E’ probabile che all’inizio della storia umana la fermentazione del mosto in vino dovesse apparire qualcosa di misterioso e divino, anche per lo stato di ebbrezza causato da quello strano liquido il cui colore inoltre ricordava quello del sangue. Non è un caso che il vino assunse valori misterici ed è stato utilizzato in molti riti religiosi attinenti al rapporto con il divino, come anche nella religione cristiana.
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La vite, insieme al grano, l’orzo, il miglio, è stata tra le prime piante coltivate dall’uomo mediterraneo. Testimonianze della sua coltivazione si trovano nei testi antichi come la Bibbia, nella civiltà greco-romana il mito di Dioniso, dio del vino, aveva una grande importanza. E’ probabile che all’inizio della storia umana la fermentazione del mosto in vino dovesse apparire qualcosa di misterioso e divino, anche per lo stato di ebbrezza causato da quello strano liquido il cui colore inoltre ricordava quello del sangue. Non è un caso che il vino assunse valori misterici ed è stato utilizzato in molti riti religiosi attinenti al rapporto con il divino, come anche nella religione cristiana. La coltivazione della vite richiedeva una lunga serie d’interventi, ordinati con una successione precisa, che richiedeva esperienza e attenzione. D’inverno bisognava tagliare e potare i tralci, in primavera era necessario zappare la terra attorno alle radici, rinnovare i vigneti, proteggere le viti e i grappoli dai parassiti con solfato di rame e zolfo. Poi tra settembre e ottobre, in tempi diversi a secondo del tipo di vite e del tempo atmosferico, il premio di tutto questo lavoro: la vendemmia, il momento de catà l’uga. Tutta la famiglia contadina era coinvolta: in genere, ma con possibili variazioni, le donne a cogliere i grappoli, i bambini a pigiare l’uva con i piedi, gli uomini a portare l’una alla pigiatura e poi a versare il mosto nei tini. Poi nelle cantine iniziavano le diverse fasi della vinificazione, che terminavano in novembre, come ricorda il proverbio “per San Martin tot el most l’è ven”. In Brianza la tradizione vinicola fu importante per secoli, ma a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, le viti brianzole furono attaccate dalla fillossera portando alla loro forte riduzione, la viticoltura crollò e rimase solo come attività limitata e il vino come prodotto di autoconsumo, il nustranel, secondario rispetto ad altre attività produttive.
Il vino è stato anche protagonista di molti testi letterari, come nelle poesie del latino Catullo (Ragazzo se versi un vino vecchio, /riempine i calici del più amaro, / come vuole Postumia, la nostra regina /ubriaca più di un acino ubriaco. /E l’acqua se ne vada dove le pare /a rovinare il vino, lontano, / fra gli astemi: questo è vino puro…”). All’epoca di Dante il poeta Cecco Angiolieri nel suo Canzoniere più volte esalta il vino: “…e non vorria se non Greco e Vernaccia, / che mi fa maggior noia il vin latino, / che la mia donna, quand’ ella mi caccia. / Deh ben abbi chi prima pose ‘l vino, /che tutto ‘l dì mi fa star in bonaccia…”. Altri grandi poeti hanno celebrato il vino (per dire solo alcuni nomi: Baudelaire, Carducci, Pascoli), ma vorrei fermarmi su un passo del capitolo trentatré dei Promessi sposi di Manzoni. Renzo, dopo la catastrofe della peste, in fuga da Milano, ritorna al suo paese devastato dai Lanzichenecchi e osserva la sua vigna devastata. In realtà non è tanto Renzo che guarda, ma è lo stesso Manzoni che ci descrive, in modo minuzioso e analitico, la vigna che, in modo metaforico, trasmette un messaggio dell’autore. La descrizione si divide in due parti: prima lo stato di abbandono delle vecchie coltivazioni devastate e distrutte (…viti, gelsi, frutti d’ogni sorte, tutto era stato strappato alla peggio…), poi l’affollarsi delle nuove piante spontanee, delle “erbacce, o qualcosa di simile. Era un guazzabuglio di steli, che facevano a soverchiarsi l’uno con l’altro nell’aria, o passarsi avanti, strisciando sul terreno, a rubarsi in somma il posto per ogni verso […] là una zucca selvatica, co’ suoi chicchi vermigli, s’era avviticchiata ai nuovi tralci di una vite; la quale, cercato invano un più saldo sostegno, aveva attaccati a vicenda i suoi viticci a quella; e, mescolando i loro deboli steli e le loro foglie poco diverse; si tiravano giù, pure a vicenda, come accade spesso ai deboli che si prendono l’uno con l’altro per appoggio. Il rovo era per tutto […] pareva che fosse lì per contrastare il passo, anche al padrone”. Questa vigna è probabilmente la metafora di una società che in mancanza di una guida razionale (la mano del contadino), degrada verso forme di disordine e di caos. Attualizzando il messaggio, possiamo pensare al mondo di oggi, in cui sembra prevalere il caos, anche perché nel mondo occidentale, per vari motivi, c’è oggi una classe dirigente che ha perso la capacità di progettare un futuro con razionalità e fantasia. Per cui ciascuno pensa per se stesso e vuole affermarsi sugli altri, e i più deboli soccombono. Ma la vigna di Renzo può esser anche letta come la vittoria sull’uomo della natura che, caotica ma vitale, riprende il suo spazio. Ma è una vittoria che rende impossibile allo stesso Renzo di entrare nella sua vigna. Oggi l’uomo sta degradando l’ambiente naturale, e la natura sta rispondendo con fenomeni violenti. Ma è impensabile il ritorno alla natura, come alcuni vagheggiano. L’uomo è un essere naturale, ma è diventato uomo quando ha cominciato a staccarsi dalle regole naturali (l’uso del fuoco, l’agricoltura …), per cui spetta all’uomo, in modo razionale, di garantire il proprio sviluppo umano, ma rispettando l’ambiente naturale. Si tratta di sviluppare un’economia ecosostenibile.