Negli ultimi tempi Di Maio sembra aver capito che é arrivato il momento di distinguersi dalla Lega il cui crescente radicalismo rischia di avvelenare il paese conducendolo ad una visione antagonista dominata dalla paura e dal rancore. Se Luigi Di Maio intende recuperare il terreno perduto, dovrà marcare questa differenza identitaria creandosi una sponda in grado di conferirgli quella libertà di manovra di cui dispone largamente il suo alleato il quale, in un futuro prossimo, non esiterà a dargli il benservito per riabbracciare i suoi antichi sodali. Piaccia o no, per i 5 Stelle quella sponda si chiama Partito democratico.
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Le crescenti divisioni tra Lega e 5 Stelle non hanno finora minato la stabilità dell'esecutivo che, come dimostrano i sondaggi, seguita a galleggiare con il viatico di una opposizione eterea e impalpabile che non é in grado di disegnare lo straccio di un'alternativa appena plausibile. La vera novità delle ultime settimane é rappresentata dalla svolta che Di Maio ha voluto imprimere ai rapporti con la Lega la cui ascesa nei sondaggi nasce dal ruolo debordante che Matteo Salvini ha saputo ritagliarsi anche grazie alla sostanziale debolezza di un premier che, fin dagli esordi, ha abdicato alle sue prerogative. Tra le molteplici anomalie del contratto di governo, infatti, la più singolare resta quella dell’incarico ad un “premier di garanzia” che non ha precedenti nella storia del paese. Giuseppe Conte ha finora esercitato timidamente i suoi compiti istituzionali nel timore di non urtare la suscettibilità di Salvini e Di Maio i quali, come ha scritto Massimo Bordignon, hanno disegnato una sorta di “Repubblica vice-presidenziale” che rappresenta un vero e proprio ircocervo istituzionale. Il cauto comportamento del premier ha contribuito non poco ad abbassare il prestigio del nostro paese il quale, in tutti i consessi internazionali, continua ad annoverare la presenza di un uomo elegante e garbato a cui, in barba alla Costituzione, é stato chiesto non già di “dirigere la politica generale del governo” (come recita il dettato costituzionale), ma di essere un semplice “garante”. A parte il conseguente, inevitabile deficit di rappresentatività, i fatti stanno dimostrando che Conte non é in grado di dipanare il groviglio di contraddizioni che, con il passare del tempo, stanno esplodendo su tutti i temi dell'agenda politica. La cosa più curiosa e, insieme, più sconcertante di queste settimane, consiste nel fatto che la crescente conflittualità tra Lega e 5 Stelle ha finito per occupare interamente il dibattito pubblico all'interno del quale si suole parlare di tutto tranne che di Europa. Siamo davanti ad una campagna elettorale dai tratti surreali nella quale, oltre alla rimozione del tema centrale, i due partiti di governo usano rivaleggiare come se fossero all'opposizione. Tuttavia, malgrado la continua riottosità dei due leader, nessuno é disposto a credere che questo governo sia davvero destinato a cadere. Potrà sembrare paradossale ma, con un atteggiamento che rasenta la schizofrenia, nelle piazze Lega e 5 Stelle continuano a dividersi su tutto per poi riconciliarsi seraficamente in sede di governo. C’è una logica in tutto questo. Salvini e Di Maio, infatti, sanno fin troppo bene che gli enzimi della politica consistono nella capacità del potere di alimentare il consenso che, a sua volta, alimenta il potere. Beffardamente, questa é l'unica forma di “economia circolare” che i 5 Stelle sono riusciti finora a realizzare con un alleato, di gran lunga più vecchio e più scafato, con il quale hanno ormai capito che risulta velleitario realizzare un vero cambiamento. Come i fatti dimostrano, la Lega resta un partito conservatore che vanta la capacità di apparire nazionale e popolare mentre, in realtà, la sua scorza resta saldamente localista e “poujadista”. Negli ultimi tempi Di Maio sembra aver capito che é arrivato il momento di distinguersi dalla Lega il cui crescente radicalismo rischia di avvelenare il paese conducendolo ad una visione antagonista dominata dalla paura e dal rancore. Se Luigi Di Maio intende recuperare il terreno perduto, dovrà marcare questa differenza identitaria creandosi una sponda in grado di conferirgli quella libertà di manovra di cui dispone largamente il suo alleato il quale, in un futuro prossimo, non esiterà a dargli il benservito per riabbracciare i suoi antichi sodali. Piaccia o no, per i 5 Stelle quella sponda si chiama Partito democratico.