Durante gran parte degli anni settanta, i programmi della Televisione della Svizzera Italiana furono parte integrante della scelta televisiva delle famiglie del nord Italia, specie in Lombardia e Piemonte. Nel corso del 1977, a causa della liberalizzazione dell'etere, si verificarono molte interferenze ai ripetitori che ricevevano il segnale che proveniva da Lugano, disturbandone, e, spesso, impedendone la visione a circa tre milioni di telespettatori del nord Italia. Per tutte quelle persone era la fine di una sorta di epopea. Quella di coloro che “tanto io la vedo sulla Svizzera!”.
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Era il 1977, e sulle note di “Lugano addio”, insieme ad Ivan Graziani migliaia di ragazzi delle regioni del nord Italia rivolgeva un ideale saluto alla ridente città ticinese. Seppur per ragioni diverse da quelle evocate del testo della canzone, quel saluto archiviava una stagione irripetibile: la stagione di “quelli che guardavano la Svizzera”.
Cosa era accaduto di tanto grave da gettare nello sconforto migliaia di giovani con relative famiglie?
Presto detto: da pochi mesi, il segnale televisivo della Tsi, la Televisione Svizzera di lingua italiana che trasmetteva da Lugano, proveniva disturbato e, in alcuni casi, era addirittura scomparso dalla ricezione degli apparecchi televisivi.
Una sentenza della Corte Costituzionale aveva infatti liberalizzato le onde, ammettendo la trasmissione via etere di radio e televisioni libere, seppur in ambito locale. Ciò aveva provocato molte interferenze ai ripetitori che ricevevano il segnale che proveniva da Lugano, disturbandone, e, spesso, impedendone la visione a circa tre milioni di telespettatori del nord Italia.
La decisione della Suprema Corte, mettendo la parola fine alla cosiddetta “guerra delle frequenze”, rappresentò un evento di portata storica per l’asfittico panorama televisivo italiano. Il conseguente assalto alle frequenze avrebbe mostrato le prime crepe di quell’imponente edificio ideologico costituito dal monopolio RAI.
Tuttavia, tutto ciò poco importava alle migliaia di telespettatori del nord Italia adusi a sintonizzarsi sui programmi Tsi.
Per tutte quelle persone era semplicemente la fine di una sorta di epopea. Quella di coloro che “tanto io la vedo sulla Svizzera!”
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Costituita nel 1956 sull’esperienza dell’omonima emittente radiofonica, la Radiotelevisione della Svizzera Italiana cominciò a trasmettere ufficialmente a partire dal 1961. Il primo contatto con gli spettatori italiani d’oltreconfine avvenne in occasione della finale di Coppa dei Campioni del 1963. All’appuntamento conclusivo era arrivata una squadra italiana, il Milan di Rivera ed Altafini, che, a Londra, avrebbe dovuto vedersela con il grande Benfica di Coluna ed Eusebio. La programmazione della partita in orario pomeridiano aveva comportato la rinuncia alla diretta televisiva da parte della Rai, che, accontentandosi della radiocronaca di Niccolò Carosio, solamente in serata trasmise l’evento in differita. La conseguenza fu una sorta di piccolo esodo con protagonisti migliaia di tifosi che si riversarono oltreconfine prendendo d’assalto i locali pubblici da Chiasso fino a Lugano, visto che la Tsi trasmetteva l’evento in diretta da Wembley. Quello, fu il primo di una lunga serie di tradimenti consumati ai danni di una programmazione Rai troppo ingessata e vittima di censure e veti politici incrociati.
A partire dalla fine degli anni sessanta, le trasmissioni della Tsi cominciarono ad essere ricevute nelle zone del nord Italia, principalmente in Lombardia ed in Piemonte. A partire dal febbraio 1971, la Tsi, che già dal 1967, adottando il sistema Pal, aveva iniziato una sperimentazione del colore, iniziò la produzione propria di programmi televisivi in diretta a colori, utilizzando una nuova struttura di regia mobile dotata di quattro telecamere. Grazie a questa unità, la TSI riuscì a rendersi attiva su diversi importanti fronti produttivi trasmettendo in diretta numerosi avvenimenti, quali i mondiali di hockey di Ginevra, il Gala UNICEF a Losanna, la famosa Coppa Spengler, i mondiali di Bob a St. Moritz, e il concerto pop a Montreux, per citare le manifestazioni più importanti.
Quello del colore, rappresentò all’epoca un tipico esempio di melodramma all’italiana, emblematico del clima sociale e politico che si respirava in quegli anni nella penisola.
Già nel 1964, la commissione tecnica istituita dall’allora Ministro delle Poste e Telecomunicazioni Giovanni Spagnolli si era pronunciata a favore del sistema Pal, a scapito del Secam. Tre anni dopo, la scelta venne poi ribadita da un’ulteriore commissione tecnica. Seguirono continui ripensamenti fino a quando, nei primi anni settanta, si arrivò perfino a parlare di “doppio regime”, prevedendo l’utilizzo di entrambi i sistemi. L’incertezza e la confusione di natura squisitamente tecnica trovava come alleato il moralismo imperante dell’epoca. L’avvento del colore, visto da molti come una perniciosa deriva consumistica, avrebbe infatti minacciato il precario equilibrio dell’economia domestica delle famiglie, spinte a cambiare gli obsoleti apparecchi con quelli di nuova generazione.
Si dovette aspettare il febbraio del 1977 per assistere alle prime trasmissioni a colori in Italia, paese fra gli ultimi in Europa.
Le circa 700.000 famiglie italiane che agli inizi degli anni settanta avevano la possibilità di sintonizzarsi “sulla Svizzera”, come era d’uso dire a quei tempi, con un apparecchio predisposto potevano assistere al 80% della programmazione a colori. E, per di più, senza pagare alcun abbonamento. Nonostante gli esigui mezzi a disposizione, Franco Marazzi e Marco Blaser, rispettivamente Direttore e Vicedirettore dell’emittente ticinese, insieme a poche centinaia di dipendenti riuscivano infatti a confezionare scalette quotidiane agili e dinamiche, che catturavano l’attenzione di un pubblico stanco delle ingessate programmazioni di mamma Rai.
Erano diversi i punti di forza di una tipica scaletta televisiva settimanale della Tsi di inizio anni settanta.
I telegiornali, per iniziare. Tre nell’arco della giornata, di durata mai superiore ai 15 minuti. Offrivano filmati e cronaca privi di eccessivi commenti, dando in poco tempo una panoramica completa sugli avvenimenti salienti della giornata. L’edizione più seguita, quella in onda alle 20,20, molto presto diventò un appuntamento fisso per migliaia di famiglie italiane, che, spesso, potevano vedere filmati o telefoto di avvenimenti accaduti nel nostro paese preclusi agli utenti Rai per le solite proverbiali censure.
Addirittura contorni mitici assunse l’edizione del meteo con la quale si concludeva il telegiornale. Previsioni pressoché infallibili si contrapponevano alle fumose ed imprecise edizioni italiane. Dopo il telegiornale, seguiva un notiziario, Il Regionale, che offriva informazioni e notizie in ambito cantonale.
La programmazione di film e, soprattutto di telefilm, era molto ricca e superava di gran lunga quella della Rai. I lungometraggi, come allora erano chiamati i film, più recenti di quelli della tv italiana, andavano in onda il martedì sera alle 20,40.
I cortometraggi o telefilm, programmati il venerdì e la domenica alle 20,40, ed il giovedì alle 21,30, offrivano il meglio della produzione britannica del tempo.
All’epoca, gli inglesi erano all’avanguardia in tema di spy story, con serie come “Il Santo”, “Il Barone”, “Organizzazione UNCLE”, “Dipartimento S” ed il suo spin-off “Jason King” e “L’Uomo con la valigia”, solo per ricordarne alcune. Notevoli anche le produzioni spy-fi, con cortometraggi come “Il Prigioniero” o “Agente Speciale”, quelle che in patria venivano etichettate come “english surrealism”. Infine le serie sci-fi, fra tutte “UFO”.
Spesso, le riprese dei telefilm venivano realizzate presso gli studi Pinewood, i famosi teatri di posa londinesi dove venivano girate le scene dei film di James Bond.
Numerose anche le produzioni d’oltreoceano, come le innumerevoli serie western, e telefilm di nicchia come “Il Fuggitivo” e “The Crisis”.
Una produzione che riscosse notevole successo fu “Medical Center. Ai tempi non si parlava d’altro che di Chad Everett, l’affascinante attore protagonista del telefilm. Alcuni anni dopo il dottor Kildare, un altro medico faceva breccia nei cuori femminili. Prodotta dall’americana CBS, “Medical Center” fu una delle serie più longeve girate in corsia. Seguendo le eroiche gesta del dottor Joe Gannon nel centro universitario medico di Los Angeles, si aprirono per la prima volte le porte di corridoi d’ospedale e sale operatorie; imparammo a familiarizzare con luci lampeggianti che davano l’allarme in caso di arresti cardiaci, ed assistere ad incredibili manovre di rianimazione in sala operatoria.
La maggior parte di questi telefilm furono trasmessi in anticipo rispetto alla programmazione Rai, dove poteva capitare di vederli a distanza di anni, e, spesso, in seconda serata.
Anche la programmazione degli spettacoli di intrattenimento si caratterizzava per una certa creatività, con prodotti semplici ma piacevoli. La Televisione della Svizzera italiana fu spesso occasione di rilancio per molti personaggi dello spettacolo nostrano caduti in disgrazia, o esiliati per vari motivi dalla Rai.
Fu il caso di Mike Bongiorno, conduttore del quiz “Personaggi in Fiera”. Oppure di Corrado, che, affiancato dalla celebrità ticinese Mascia Cantoni, conduceva in quei tempi la seguitissima rubrica per gli immigrati italiani “Un’ora per voi”, con la regia di Sergio Genni, un interessante programma settimanale trasmesso nel pomeriggio e frutto di un accordo di collaborazione con la Rai. Anche Enzo Tortora con “L’Altalena”, e Mina, con “Il Calderone”, si resero protagonisti di popolari giochi a quiz trasmessi dall’emittente elvetica.
La televisione ticinese fu anche occasione di proficui tirocini professionali per personaggi destinati a lasciare un segno, come il futuro fondatore di Telebiella, Peppo Scacchi, il cofondatore di Telecupole Piemonte, Raoul Molinarie e di Tele A, Alfredo Abbaneo, tutti dipendenti alla Tsi. Anche Gerry Scotti ed Enzo collaborarono ad alcuni programmi della televisione svizzera italiana.
Altra caratteristica di Tsi era il basso costo della pubblicità, seppur in presenza di una regolamentazione molto rigida. Vigeva infatti il limite massimo di venti minuti giornalieri, diviso in quattro fasce d’ascolto, con esclusione della domenica e dei giorni festivi. Esisteva inoltre il divieto di pubblicizzare prodotti alcolici e sigarette. Decisamente altri tempi.
E, poi, tanto altro: dal programma di cartoni animati “Scacciapensieri”, in onda il sabato alle 20,00 dopo le estrazioni del lotto, ai varietà musicali internazionali come l’”Andy William show”; dai concerti sinfonici contenuti nel programma “I Piaceri della musica”, alla rubrica musicale per i giovani “Diapason”.
I programmi d’impegno avevano una precisa collocazione nel palinsesto diventando spesso appuntamenti imprescindibili. Come nel caso delle interviste a personaggi della cultura, in onda nella rubrica del giovedì sera “Incontri”, oppure per la serie di documentari dedicata a personaggi storici contenuta nei programma “Ritratti”, in onda il venerdì sera in prima serata.
Un discorso a parte merita Giochi senza Frontiere, il famoso programma di intrattenimento a giochi. Ideato dai collaboratori del presidente francese Charles de Gaulle, che, insieme al premier tedesco Adenauer, cercava una modalità che permettesse ai giovani francesi e tedeschi di incontrarsi in un torneo di giochi allo scopo di rafforzare l'amicizia fra i due paesi dopo i tragici avvenimenti della seconda guerra mondiale, Giochi senza frontiere segnò un’epopea nell’immaginario collettivo di molti giovani. Prendendo a modello il programma “Intervilles”, sorta di “Campanile Sera” in onda su Tf1, la prima rete statale francese, l’idea venne proposta anche ad altri paesi europei facenti parte del MEC, con l’eccezione rappresentata dal Regno Unito e dalla Svizzera. Questi due paesi, insieme a Francia, Germania, Italia, Belgio e Paesi Bassi, si sfidarono in appassionate e divertenti sfide itineranti a tema ed in costume che si tenevano nelle piazze più famose d’Europa, arbitrate dagli arbitri svizzeri Gennaro Olivieri e Guido Pancaldi. La trasmissione ebbe ai tempi un successo clamoroso, e l’appuntamento estivo del mercoledì sera su Tsi, presentato da Mascia Cantoni ed Ezio Guidi, e rigorosamente a colori, divenne un evento imperdibile, tanto più che il secondo canale della Rai lo trasmetteva solo in differita ed il giorno successivo.
Infine, le produzione di avvenimenti sportivi, altro fiore all’occhiello di Tsi in quegli anni. In quest’ambito, non c’era competizione: “la Svizzera” surclassava la Rai, regalando autentiche chicche agli appassionati.
Come la finale di Coppa d’Inghilterra, per esempio. Trasmessa nel pomeriggio del sabato di maggio designato dal calendario, la telecronaca diretta veniva trasmessa in tutta la sua sacralità dallo stadio imperiale di Wembley completa di tutto il rituale, compreso il percorso con il quale il capitano della squadra vincitrice saliva i famosi trentanove gradini per raggiungere il palco reale, dove riceveva la coppa dalle mani della Regina Elisabetta.
Altro appuntamento imperdibile per gli appassionati di calcio erano le grandi sfide di coppa del mercoledì. Non era raro assistere agli incontri delle squadre italiane che, specie nel centro nord, spesso non venivano trasmessi dalla Rai, complice le famose esclusioni di zona. Per alcuni anni, poi, le semifinali di Coppa dei Campioni vennero programmate nello stesso giorno, ma con orari differenti, per permettere la visione in diretta di entrambe le contese.
E, non solo calcio: Wimbledon, i grandi incontri di pugilato, i mondiali di sci, di basket, di pallavolo, e tanti altri avvenimenti spesso snobbati dalla programmazione della Rai. E, tutti rigorosamente a colori.
In conclusione, le trasmissioni della Tsi rappresentarono in quegli anni un ottimo bacino alternativo alla programmazione Rai, e, con gli attuali palinsesti televisivi quasi edificati su misura, chi ha vissuto quell’epoca può coglierne compiutamente l’effettiva portata.
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Era il 1977. A diventare improvvisamente grigio, ad essere disturbato e oscurato, non fu solo un segnale televisivo. Anche l’orizzonte degli eventi si oscurò, e, nonostante l’avvento del colore nei programmi televisivi italiani, il panorama tutt’intorno si fece più buio. Anni grigi, appunto, anni di piombo.
Il tempo di “quelli che guardavano la Svizzera” si era irrimediabilmente concluso. E, insieme a quella irripetibile stagione, molti salutavano un’altra stagione perduta: quella della giovinezza.