Si continua a parlare di Seconda Repubblica ma in realtà il nostro sistema politico continua a conservare tutti i vizi della cosiddetta Prima Repubblica. Siamo passati dal "bipartitismo imperfetto", originatosi a seguito della conventio ad exclundendum esistente nei confronti del Pci, ad una inedita forma di "bipolarismo imperfetto".
A quasi vent’anni da Tangentopoli e dalla stagione referendaria di Mario Segni, il nostro sistema politico è approdato ad una inedita forma di “bipolarismo imperfetto”. In passato l’imperfezione del sistema era da imputarsi alla “conventio ad excludendum” esistente nei confronti del Pci il quale pagava con l’esclusione dall’area di governo la propria collocazione internazionale. Col tempo abbiamo assistito ad una progressiva semplificazione del quadro politico che ha certamente giovato alla sua stabilità, come dimostra la durata media dei governi dell’ultimo decennio. Va detto, tuttavia, che tale semplificazione non ha intaccato le dinamiche e le procedure sottostanti che, in verità, sono rimaste le medesime. Il risultato è sotto l’occhio di tutti: compagini ministeriali di basso profilo, scarsa capacità di incidere sui problemi strutturali del paese, costante rissosità tra governo e opposizione. Al di là delle apparenze, col tempo abbiamo assistito ad una crescente omologazione dei due schieramenti talora interrotta dai plateali “coups de theatre” di Lega (oggi) e di Rifondazione Comunista (ieri), due forze politiche accomunate dalla taumaturgica capacità di stare al governo senza con ciò intaccare la propria vocazione di partiti anti-sistema. In questa crescente somiglianza di linguaggio e di universo simbolico, destra e sinistra denotano in questa fase politica un’impotenza disarmante. Nessuna delle due riesce, infatti, ad approfittare delle gravi difficoltà in cui versa l’avversario e nessuna delle due ha un’idea sparata di come il paese possa uscire dalle secche di una crisi di cui non si intravede ancora la fine. Bisogna tuttavia ammettere che le difficoltà di entrambi gli schieramenti non nascono a caso: come diceva Gianbattista Vico, “la natura delle cose sta sempre nel loro nascimento”. Infatti la debolezza del Pd e del Pdl sta nella loro fragilità “costituzionale”. Entrambi sono corpi concepiti da una sorta di “fecondazione assistita” che ha tentato la fusione di identità troppo distanti per storia, cultura e tradizione. La sensazione è che stiamo assistendo agli ultimi fiati della Prima Repubblica di cui ne avevamo anzitempo celebrato le esequie ignorando colpevolmente la falange di superstiti rimasta sul campo. Mentre Berlusconi annaspa tra scandali infiniti che superano ogni immaginazione (forse per questo Ghedini li ritiene inverosimili), il PD è impegnato a designare il nuovo segretario con modalità quasi kafkiane. Vediamole. Gli iscritti al partito dovranno votare i candidati alla Segreteria nei congressi di circolo e provinciali e, poi, alla Convenzione nazionale (cioè, il Congresso). Successivamente il Congresso dovrà selezionare i primi tre concorrenti alla carica di segretario che dovranno sottoporsi al vaglio delle primarie. Qui, si badi bene, i votanti saranno altri soggetti: militanti, simpatizzanti e, perché no, anche curiosi e infiltrati. Ma il regolamento che disciplina questa folle procedura prevede altro. Chiunque vorrà scendere in campo per la Segreteria dovrà dichiararlo entro il 31 Luglio, dovrà ottenere la firma del 10% dei componenti dell’assemblea nazionale uscente oppure l’assenso scritto di 2000 iscritti, distribuiti in almeno cinque regioni e in tre circoscrizioni europee. Questo è il Partito Democratico, alternativa al Cavaliere: roba da non credersi. La nomenclatura storica del partito ha già deciso di dare il benservito a Franceschini. Il dualismo con Bersani, pertanto, è solo una finzione. Già, fiction, come ha insegnato il Cavaliere. Ci viene in mente Manlio Scopigno, allenatore del Cagliari di Gigi Riva. Quando gli chiesero chi avrebbe fatto giocare a Città del Messico, tra Mazzola e Rivera, il grande Scopigno esclamò: Bulgarelli! Ecco un esempio di come si risolvono i dualismi, sia quelli veri (Veltroni-D’Alema) che quelli finti (Bersani-Franceschini). Per una volta, la sinistra abbia il coraggio di cambiare davvero.