Mai come in questa fase epocale l’uomo è chiamato a riflettere sulla sua insoddisfazione. L’umanità si trova oggi in una fase antropologica di "ricominciamento", in cui si stanno ridefinendo addirittura i lineamenti della stessa identità umana. Il pensiero di San Francesco come risposta al quesito "si può essere felici mentre finisce un mondo"?
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Mai come in questa fase epocale l’uomo è chiamato a riflettere sul fatto, non certo raro, della sua insoddisfazione. L’umanità si trova oggi in una fase antropologica di ricominciamento, in cui si stanno ridefinendo addirittura i lineamenti della stessa identità umana.
Mai come in questi ultimi anni abbiamo avuto in Occidente, e in particolare in Italia, la triste sensazione di un mondo e di una intera cultura che si vanno sbriciolando, corrompendo, riducendo a nulla.
C’è qualcosa di apocalittico nei nostri giorni, di ultimativo.
Ora, è possibile, nonostante tutto, accedere ad una dimensione di “apocalittica allegria”? Tutti noi, in realtà, desideriamo di vivere un livello nuovo di integrazione interiore, e quindi di felicità, anche perché essere gioiosi, felici, è la condizione naturale del nostro essere. Ma è possibile essere felici mentre “finisce un mondo”?
San Francesco d’Assisi, un ”gigante” della santità”, che continua ad affascinare moltissime persone di ogni età e di ogni religione, risponde a questa domanda.
Da uno dei suoi Fiorettiviene una risposta tanto paradossale quanto concreta, raccontata dall’anonimo autore del tardo Trecento, che ha raccolto in quest’opera alcuni episodi della vita del santo di Assisi.
Nel racconto, ambientato in Umbria, durante un rigido inverno, san Francesco spiega al suo compagno frate Leone che cosa sia la perfetta letizia, non con un sermone, ma partendo dalla condizione disagiata di due viandanti sotto il gelo, come se quella fatica del fisico lo richiamasse ad altri pensieri.
Ecco il racconto:
«Avvenne un tempo che, san Francesco d’Assisi e frate Leone andando da Perugia a Santa Maria degli Angeli, il santo frate spiegasse al suo compagno di viaggio cosa fosse la “perfetta letizia”.
Era una giornata d’inverno e faceva molto freddo e c’era pure un forte vento tanto che procedevano camminando l’uno innanzi all’altro e, mentre frate Leone stava avanti, frate Francesco chiamandolo diceva: frate Leone, se avvenisse, a Dio piacendo, che i frati minori dovunque si rechino dessero grande esempio di santità e di laboriosità, annota e scrivi che questa non è perfetta letizia.
Andando più avanti San Francesco chiamandolo per la seconda volta gli diceva: O frate Leone, anche se un frate minore dia la vista ai ciechi, faccia raddrizzare gli storpi, scacci i demoni, dia l’udito ai sordi, fa camminare i paralitici, dia la parola ai muti, e addirittura fa resuscitare i morti di quattro giorni; scrivi che non è in queste cose che sta la perfetta letizia.
E ancora andando per un poco san Francesco grida chiamandolo: O frate Leone, se un frate minore parlasse tutte le lingue e conoscesse tutte le scritture e le scienze, e sapesse prevedere e rivelare non solo il futuro ma anche i segreti più intimi degli uomini; annota che non è qui la perfetta letizia.
E andando ancora più avanti san Francesco chiamando forte diceva: O frate Leone pecorella di Dio, anche se il frate minore parlasse la lingua degli angeli, conoscesse tutti i misteri delle stelle, tutte le virtù delle erbe, che gli fossero rivelati tutti i tesori della terra, e tutte le virtù degli uccelli, dei pesci, delle pietre, delle acque; scrivi, non è qui la perfetta letizia.
E andando più avanti dopo un po’ san Francesco chiamava il su compagno di viaggio: O frate Leone, anche se i frati minori sapessero predicare talmente bene da convertire tutti i non credenti alla fede di Cristo; scrivi non è questa la perfetta letizia.E così andando per diversi chilometri quando, con grande ammirazione frate Leone domandò: Padre ti prego per l’amor di Dio, dimmi dov’è la perfetta letizia. E san Francesco rispose: quando saremo arrivati a Santa Maria degli Angeli e saremo bagnati per la pioggia, infreddoliti per la neve, sporchi per il fango e affamati per il lungo viaggio busseremo alla porta del convento. E il frate portinaio chiederà: chi siete voi? E noi risponderemo: siamo due dei vostri frati. E Lui non riconoscendoci, dirà che siamo due impostori, gente che ruba l’elemosina ai poveri, non ci aprirà lasciandoci fuori al freddo della neve, alla pioggia e alla fame mentre si fa notte. Allora se noi a tanta ingiustizia e crudeltà sopporteremo con pazienza ed umiltà senza parlar male del nostro confratello, anzi penseremo che egli ci conosca ma che il Signore vuole tutto questo per metterci alla prova, allora frate Leone scrivi che questa è perfetta letizia. E se noi perché afflitti, continueremo a bussare e il frate portinaio adirato uscirà e ci tratterà come dei gaglioffi importuni, vili e ladri, ci spingerà e ci sgriderà dicendoci: andate via, fatevi ospitare da altri perché qui non mangerete né vi faremo dormire. Se a tutto questo noi sopporteremo con pazienza, allegria e buon umore, allora caro frate Leone scrivi che questa è perfetta letizia.E se noi costretti dalla fame, dal freddo e dalla notte, continuassimo a bussare piangendo e pregando per l'amore del nostro Dio il frate portinaio perché ci faccia entrare. E questi furioso per cotanta molesta insistenza si riprometterebbe di darci una sonora lezione, anzi uscendo con un grosso e nodoso bastone ci piglierebbe dal cappuccio e dopo averci fatto rotolare in mezzo alla neve, ci bastonerebbe facendoci sentire uno ad uno i singoli nodi. Se noi subiremo con pazienza ed allegria pensando alle pene del Cristo benedetto e che solo per suo amore bisogna sopportare, caro frate Leone, annota che sta in questo la perfetta letizia. Ascolta infine la conclusione, frate Leone: fra tutte le grazie dello Spirito Santo e doni che Dio concede ai suoi fedeli, c'è quella di superarsi proprio per l'amore di Dio per subire ingiustizie, disagi e dolori ma non possiamo vantarci e glorificarci per avere sopportato codeste miserie e privazioni perché questi meriti vengono da Dio. Infatti le sacre scritture dicono: cosa hai tu che non sia stato concesso da Dio? E se tu hai ricevuto una grazia da Dio perché te ne vanti come se fosse opera tua? Non ci possiamo gloriare nella nostra croce fatta di sofferenze e privazioni. Sul Vangelo sta scritto: Io non mi voglio gloriare se non nella croce di nostro Signore Gesù Cristo».
Per Francesco quindi lo stato di “perfetta letizia” non è un’acquisizione frutto dello sforzo umano, ma è un dono di Dio, una grazia. Condizione necessaria però è l’apertura del Cuore: l’uomo, nella libertà, si deve aprire a questo dono.
Ecco, dall’ udienza generale di Benedetto XVI su San Francesco d’Assisi del 27 Gennaio 2010,un estratto eloquente su Francesco e il segreto della felicità:
“Cari amici, Francesco è stato un grande santo e un uomo gioioso. La sua semplicità, la sua umiltà, la sua fede, il suo amore per Cristo, la sua bontà verso ogni uomo e ogni donna l’hanno reso lieto in ogni situazione. Infatti, tra la santità e la gioia sussiste un intimo e indissolubile rapporto. Uno scrittore francese ha detto che al mondo vi è una sola tristezza: quella di non essere santi, cioè di non essere vicini a Dio. Guardando alla testimonianza di san Francesco, comprendiamo che è questo il segreto della vera felicità: diventare santi, vicini a Dio!”
Ma cosa significa in realtà aprire il proprio cuore e diventare santi, vicini a Dio?
La risposta in una semplice storiella, di un anonimo, molto significativa:
“C’erano una volta, in un terreno coltivato, due piccole piante che erano molto amiche e che avevano in comune lo stesso sogno: diventare sante. Tuttavia, della santità avevano due concezioni molto diverse,quasi opposte. La prima, che era la piantina di un mandorlo, sapendo che i santi stanno in paradiso, era convinta che la santità consistesse nel tendere verso l’alto, staccandosi da terra.
La seconda, che era la piantina di una quercia, avendo letto la vita dei santi, era convinta, invece, che la santità consistesse nel tendere verso l’alto, ma stando con i piedi per terra e dando il massimo di sé in questo mondo.
Col passare del tempo la piantina del mandorlo, pur potendo, non riusciva a portare frutti perché era poco attenta al terreno che avvolgeva le sue radici e, per via della sua convinzione, cercava di spingerle sempre più verso l’alto a tal punto che un giorno seccò e fu tagliata dal padrone del terreno.
L’altra piantina, invece, spingendo le sue radici sempre più in profondità, crebbe e divenne una grande e maestosa quercia e, pur non potendo produrre frutti commestibili per il suo padrone, era molto apprezzata per la sua frescura ed era diventata ormai casa e riparo per molti animali di quella zona”.
La morale dunque è che qualunque siano le nostre capacità e i nostri frutti , l’importante, nel cammino di santità e della vita, è dare il massimo di se stessi nel tendere verso l’alto, ma tenendo ben saldi i piedi per terra.
Il significato della radicazione è duplice: il cristiano è chiamato ad essere ben radicato sia nel tessuto sociale (la via spirituale non deve diventare una fuga dal mondo), sia nel proprio sé(non deve diventare una fuga dal proprio sé, poiché solo “guarendo” possiamo incominciare a fare un po’ meno male a noi stessi e a chi ci circonda; il livello psicologico-spirituale della nostra trasformazione deve dunque precedere e anzi fondare quello morale-volontaristico).
Per riflettere sulla necessità di rivedere molte immagini di santità, e quindi di vita spirituale, che ancora dominano nella cultura cattolica, sono significativi alcuni pensieri che Georges Bernanos (scrittorefrancese, 1888-1948) fa esprimere ad un ateo nel suo famoso scritto I grandi cimiteri sotto la luna del 1938: “Voi non vi interessate ai miscredenti, però i miscredenti si interessano enormemente a voi (..) Vi consideriamo interessanti. Poi risulta che non lo siete, e questo inganno ci fa soffrire. (..) Quando uscite dal confessionale siete in stato di grazia. Lo stato di grazia… Bene, e poi? Non sembra un gran che. Ci chiediamo cos’è quel che fate con la grazia di Dio. Non dovrebbe forse risplendere in voi? Dove diavolo mettete la vostra allegria? (..) Non basta rispondere che Dio si è messo nelle vostre mani (…) Per noi, che possiamo solo sperare da voi la partecipazione a un dono che secondo quanto dite è ineffabile, l’importante non è sapere se Dio si è messo nelle vostre mani, ma quel che fate con Lui”.
Per rafforzare le proprie radici e compiere questo cammino,l’uomo di oggi, più che mai, ha bisogno soprattutto di una nuova vita interiore, di spazi di silenzio e di pace, per acquisire un baricentro spirituale.
La vita spirituale è da intendersi in senso lato, laico e transconfessionale, come esperienza della propria interiorità, come cammino di rinascita nello Spirito, attraverso cui viene purificata la propria identità intrisa di elementi egoici. Tramite un processo di purificazione e liberazione dalle componenti egoiche, il credente dovrebbe mostrare, nella concretezza della vita quotidiana, che cosa diventi un medico o un politico che viva veramente il proprio processo di transfigurazione, che cosa significhi essere maschio o femmina, padre, madre, insegnante o giudice, italiano, europeo, con un baricentro spirituale, con un cuore pacificato.
Il credente dovrebbe annunciare e testimoniare, con la propria parola e la propria esistenza concreta, che il proprio travaglio interiore, riflesso di una crisi collettiva ed epocale, porta con sé straordinarie possibilità di crescita ed evoluzione: la nascita, il natale dell’uomo nuovo, di un uomo riconciliato con il proprio principio, con Dio.
La radicalità cristiana dentro il mondo (essere nel mondo senza essere del mondo) deve manifestare con chiarezza che tutto può ricominciare a fiorire da un cuore reintegrato, riunificato, sanato.
Tutta la storia chiede di ricominciare dal nostro cuore pacificato. Tutte le nostre esistenze, le nostre identificazioni, i nostri mestieri chiedono di essere ridisegnati a partire da un centro più profondo del nostro piccolo io unificato (centro di gravità permanente), da un cuore meno diviso e lacerato.
Dobbiamo mostrare che è possibile essere una casalinga o un operaio, un insegnante, un medico o un avvocato, non alienati; essere persone che, con consapevolezza (dal latino cum "con" e sapere "aver sapore", quindi "distinguere operativamente"; il termine evoca nella sua etimologia oltre che l’integrazione di parti differenti del soggetto umano - parti razionali e parti affettive - il riferimento ad un cum, ad un insieme, ad una relazione e ad una socialità, senza la quale la conoscenza profonda a cui la consapevolezza rinvia non può avvenire) ed entusiasmo (en “avere dentro”, Theos “di Dio”, iasmos “soffio”, cioè “avere dentro il soffio divino”),curano le proprie relazioni, pongono al centro della loro vita gli affetti e l’attenzione al prossimo , sanno inventare modi nuovi di stare insieme, di creare insieme un mondo diverso, più umano, più bello, più lieto.
Questo attende da noi il mondo.
Questa è la sfida con cui si apre il nuovo millennio, come ci ricorda la canzone di Angelo Branduardi dal titolo “La Predica Della Perfetta Letizia”(L'infinitamente Piccolo-2000):
“Era il tempo dell’Inverno ormai
E Francesco Perugina lasciò
Con Leone camminava
Ed un vento freddo li gelava.
E Francesco nel silenzio
Alle spalle di Leone chiamò:
“Può essere santa la tua vita,
sappi che non è letizia,
puoi sanare i ciechi e caciare i demoni
dare vita ai morti e parole ai muti,
puoi sapere il corso delle stelle,
sappi che non è letizia.
Quando a Santa Maria si arriverà
E la porta non si aprirà,
tormentati dalla fame,
nella pioggia a bagnarci staremo,
sopportare il male senza mormorare,
con pazienza e gioia saper sopportare.
Aver vinto su te stesso
Sappi, questa è letizia”.
…by Elisabetta Melli