La scelta disperata di far saltare il governo denota la solitudine di un leader che, accecato dal terrore di vedersi umiliato dalla magistratura, ha perso ogni contatto con il paese, con la società civile e con quell'establishment che, dopo averlo fervidamente sostenuto agli esordi, con il tempo ha capito che la vera battaglia del Cavaliere non era quella della modernizzazione del paese ma quella contro le procure. Solo oggi il Cavaliere ha tolto la maschera dando ragione a chi ha sempre sostenuto che la sua "discesa in campo" fosse dettata solo da interessi personali.
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Anche questa volta l'ineffabile Cavaliere è riuscito a spiazzare tutti. Ma stavolta il “coup de théâtre” non nasce dalla sua abituale genialità ma scaturisce dalla disperazione di chi non ha più nulla da perdere. La decisione di ritirare i propri ministri dal governo rappresenta il disvelamento di una verità non più dissimulabile. Le dimissioni, ora congelate, dei parlamentari del Pdl costituiscono la riprova che siamo davanti ad una decisione dissennata che non ha nulla a che fare con il dissenso per la politica fiscale del governo Letta. Se così fosse, avrebbero un senso le dimissioni dei ministri ma dato che il Cavaliere ha anche preteso quelle dei parlamentari, si evince che c'è dell'altro, come tutti sanno. Nelle intenzioni del Cavaliere, il “governo delle larghe intese” costituiva l'espediente per conseguire quella pacificazione utile per tirarsi fuori dall'impasse giudiziario. Così non è stato. Un giorno sapremo se il Pd ha proditoriamente disatteso gli accordi iniziali, come sostenuto dalla stampa di famiglia del Cavaliere, oppure se è semplicemente fallito il tentativo di sterilizzare il Pd attraverso questa “coesistenza coatta” al governo. La scelta disperata di far saltare il governo denota la solitudine spasmodica di un leader che, accecato dal terrore di vedersi umiliato dalla magistratura, ha perso ogni contatto con il paese, con la società civile e con quell'establishment che, dopo averlo fervidamente sostenuto agli esordi, con il tempo ha capito che la vera battaglia del Cavaliere non era quella della modernizzazione del paese ma quella contro le procure. Abbiamo assistito a venti anni di bluff, di inganni, di speranze tradite. La verità emersa nitidamente in queste ultime ore è che a Berlusconi non interessano le sorti del paese. Solo oggi il Cavaliere ha tolto la maschera dando ragione a chi ha sempre sostenuto che la sua "discesa in campo" fosse dettata solo da interessi personali. Grazie a questa ultima follia del Cavaliere, siamo destinati a consegnarci definitivamente alla Merkel, a quella terribile troika (Fondo monetario, Bce e Ue) contro la quale Berlusconi ha cercato surrettiziamente di concentrare la rabbia degli elettori mentre covava il proposito di sferrare un ultimo, estremo, disperato attacco contro i suoi nemici di sempre, cioè i magistrati. Chi ha improvvidamente suggerito al Cavaliere di seguitare in questa folle corsa contro le istituzioni lo ha fatto nella chiara consapevolezza che la fine del regno berlusconiano avrebbe decretato fatalmente la fine di tutti quei turibolanti, ciambellani e minuscoli uomini in livrea che hanno per anni celebrato i fasti di questo sultanato all'italiana al solo fine di assicurarsi una carriera. Sta finendo un'epoca, nello squallore morale dei protagonisti che hanno calcato la scena di questi anni che un giorno definiremo miserabili. Nessuno avrebbe mai immaginato che la fine del Cavaliere sarebbe stata come quella preconizzata da Nanni Moretti nel film "Il Caimano". La realtà, questa volta, ha superato davvero ogni immaginazione. Perfino nella sua, patetica e disperata, uscita di scena, il Cavaliere non smette di stupire.