Secondo il rapporto dell’Ocse, “Education at a glance”, nella graduatoria dei 34 paesi più industrializzati del mondo, l’Italia figura all’ultimo posto per numero di laureati. Si ponga mente ad un altro dato: il tasso di disoccupazione di chi ha frequentato l’università, pari al 62%, risulta inferiore di un solo punto (63%) rispetto a chi è diplomato. Si tratta di un responso spietato per i nostri giovani che va letto alla luce di un altro rapporto, quello della Fondazione Migrantes, sugli italiani nel mondo: nel 2014, a fronte di 33.000 ingressi sul suolo italiano, ci sono stati 101 mila italiani che hanno lasciato il paese. (continua)
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Sotto l'incalzare degli eventi legati ai fatti di Parigi, è passato pressocchè inosservato l’ultimo rapporto dell’Ocse, denominato “Education at a glance”, da cui emerge il dato sconsolante di un paese che continua a collezionare primati negativi in tutti i settori dell'economia e della società. A leggere i responsi delle svariate agenzie internazionali, il ritratto che emerge è quello di un paese che guarda al proprio futuro con crescente rassegnazione. Secondo il citato rapporto, nella graduatoria dei 34 paesi più industrializzati del mondo, l’Italia figura all’ultimo posto per numero di laureati e al quart'ultimo posto per investimenti nell’Università rispetto al Pil. Questi dati dimostrano, in modo inequivocabile, che i nostri giovani ritengono del tutto inutile il conseguimento di una laurea. Le statistiche, purtroppo, contribuiscono a legittimare questo triste convincimento. In questo senso, esiste un dato che risulta, a dir poco, sconfortante: il tasso di disoccupazione di chi ha frequentato l’università, pari al 62%, risulta inferiore di un solo punto (63%) rispetto a chi è diplomato. Come dire, dal punto di vista delle opportunità nel mercato del lavoro, non c'è alcuna differenza tra diplomati e laureati. Si ponga mente ad un'altra evidenza empirica che sortisce dall'incrocio dei dati citati con quelli contenuti nell'ultimo rapporto della Fondazione Migrantes sugli italiani nel mondo: per ogni straniero approdato in Italia nel 2014, ci sono 3 nostri connazionali che, nello stesso periodo, hanno lasciato l'Italia. Infatti, nel 2014 abbiamo avuto 33.000 ingressi a fronte di un esodo di 101 mila unità. Non finisce qui. Esaminando i dati degli ultimi dieci anni, viene fuori un responso che suona spietato, non solo per la nostra classe politica, ma per le nostre classi dirigenti: al primo Gennaio 2015 risultano iscritte all'Aire (Anagrafe degli italiani residenti all'estero) 4.636.647 persone: cioè, più 3,3% rispetto al 2014 ma più 49,3% rispetto al 2006 (La Stampa, 7 ottobre 2015). Il declino del nostro paese non va, pertanto, sottovalutato perchè sarebbe riduttivo ritenerlo solo un declino economico. Nelle viscere della nostra società è venuta meno quella levità giocosa che, al cospetto del mondo, ci faceva apparire socievoli e gioviali, con quel tratto di genialità che costituiva la peculiarità più apprezzata della nostra identità collettiva. Oggi non è più così, come si evince dal disincanto dei giovani e dalle frustrazioni degli adulti, accomunati dallo sconforto di dover navigare a vista rinunciando ad ogni sorta di progettualità. La nostra è una società bloccata nella quale ai giovani è negato il diritto di avere un lavoro e agli adulti il diritto di andare in pensione: ma deprivare l'esistenza di un orizzonte significa abolire il diritto di sognare, di disegnare il proprio futuro, di cogliere il senso di ogni divenire, sia pubblico che privato. Per questo motivo, dobbiamo scardinare la tesi della inutilità dello studio e persuadere i nostri ragazzi che occorre studiare perchè da lì passa il progresso di un paese che, non andrebbe mai dimenticato, è la somma di tanti, minuscoli miglioramenti individuali nei quali la cultura e il sapere risultano sempre decisivi e fondamentali.