Il 4 novembre 1918 rappresenta una delle pagine più drammatiche della nostra storia. La riflessione di un docente di Storia e Letteratura Italiana per capire l'importanza di un evento che non merita l'oblio delle giovani generazioni.
Il 4 novembre 1918 è una data che non si può dimenticare, è la vittoria del nostro esercito e la fine della I guerra mondiale. Un evento che fa parte della nostra memoria nazionale, una pagina epica e drammatica che dobbiamo ricordare, come dobbiamo rendere onore agli italiani che morirono (circa 600.000) nelle trincee e a quanti soffrirono nel “fronte interno” in quei terribili anni. Ma non dobbiamo dimenticare che la guerra fu un’immane massacro che ebbe gravissime conseguenze, molti storici ormai sostengono che forse non ci sarebbero stati fascismo e nazismo senza quella guerra che ha avvelenato i primi decenni del Novecento.
L’Europa della belle epoque fu avviata alla grande guerra da una classe dirigente che aveva delegittimato la pace ed esaltato la forza militare come strumento di risoluzione delle vertenze internazionali e dei contrasti economici tra le potenze europee. Il sentimento nazionale si era trasformato in un esasperato nazionalismo (pangermanesimo tedesco, sciovinismo francese, panslavismo ecc. ), forze estreme di destra denigravano le società democratiche. Quando il 28 giugno 1914 l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono austro-ungarico, viene ucciso con la moglie a Sarajevo da uno studente serbo nazionalista, tutte le tensioni esplodono, scatta il meccanismo delle reciproche alleanze e inizia la guerra. I dirigenti politici pensano ad una breve conflitto, non capiscono che porteranno i propri popoli ad un massacro che durerà cinque anni. I comandi militari progettano una guerra tradizionale ottocentesca, ma al mito dell’attacco rapido e vincente, subentra la tragedia della guerra di trincea, per anni i soldati vivranno in condizioni orribili in pochi metri di terra, sottoposti ad allucinanti bombardamenti ed a ripetuti attacchi suicidi per conquistare pochi metri subito persi.
All’inizio della guerra l’Italia si dichiara neutrale, il paese si spacca tra una maggioranza contraria alla guerra nel paese ed in Parlamento (liberali giolittiani, cattolici, socialisti) e una minoranza interventista (nazionalisti, irredentisti democratici, rivoluzionari). Il primo ministro Salandra, con l’appoggio del Re, firma segretamente il Patto di Londra con cui si impegna ad entrare in guerra contro l’Austria, a questo punto la minoranza interventista, con violente manifestazioni di piazza, appoggiate dalla stampa interventista e dal “vate” D’Annunzio, intimorisce il Parlamento che dà pieni poteri a Salandra, il 24 maggio 1914 l’Italia entra in guerra. In questa azione di forza già ci sono i germi che porteranno alla violenza fascista del dopoguerra ed alla fine dello Stato liberale.
La guerra non si combatte solo sul fronte militare (le undici battaglie sull’Isonzo, la resistenza sull’altopiano di Asiago all’offensiva austriaca), ma anche sul “fronte interno”, dove la popolazione civile è sottoposta a dure condizioni di vita e di lavoro per sorreggere lo sforzo bellico, i generi di prima necessità vengono razionati, si fa la fame, gli uomini vengono chiamati alle armi, le donne inserite nel lavoro.
Anche Erba, guidata dal Sindaco Angelo Bassi, deve affrontare questo duro periodo. Già nel febbraio 1915 arriva in paese la Trentaseiesima Batteria del 3° Reggimento Artiglieria di Montagna, il suo comandante morirà colpito da un granata nel 1916 in Trentino. All’inizio delle guerra si costituisce il Comitato di Preparazione a Assistenza civile che si occupa dell’assistenza alle famiglie e di quanto sia necessario per la popolazione e per sostenere lo sforzo bellico. Il sindaco deve darsi da fare per frenare il rialzo dei prezzi, mentre iniziano le speculazioni, diverse case sono requisite per ospitare i militari Nel luglio del 1915 si inaugura a Erba l’Ospedale della Croce Rossa, rimarrà aperto fino al novembre 1916 ospitando oltre 300 soldati feriti o mutilati. Il 1917 è l’anno più difficile, in tutta Italia ci sono movimenti di protesta contro la guerra e per la carenza di cibo. Viene emanato l’obbligo per i fornai di produrre un unico tipo di pane pieno di crusca, è difficile trovare zucchero, scarseggia anche il carbone. Anche a Erba nel 1917 ci sono proteste e incidenti, soprattutto da parte delle donne, il Sindaco Bassi decide che sia il Comune a distribuire lo zucchero, alla famiglie erbesi viene distribuita una tessera alimentare. Due soldati di stanza ad Erba si tolgono la vita, nel paese cresce il disagio, che diventa angoscia quando arrivano notizie dei compaesani morti in battaglia (alla fine della guerra il Comune di Erba-Incino conta settantadue deceduti), alcuni in particolare provocano commozione per la notorietà personale o famigliare (come ad esempio la morte del medico di Erba Elia Longoni). Anche il figlio del Sindaco, Fermo Bassi, viene ferito, dopo una lunga degenza tornerà ad Erba con l’amputazione di un piede (chi volesse conoscere meglio le vicende erbesi nel periodo bellico può leggere il seguente saggio: E. GALLI. La prima metà del Novecento: lo sviluppo di Etba tra guerre, socialismo e fascismo in “Ch’ogni erba si conosca per lo seme. Contributi per una storia di Erba, Erba, 2007).
Nella notte tra il 23 e il 24 ottobre 1917 crolla il fronte a Caporetto, un disastro (mezzo milione di uomini perduti fra caduti, dispersi, feriti o prigionieri), che darà adito a innumerevoli polemiche, ma che probabilmente è il frutto insieme dell’incapacità dei comandi e della stanchezza delle truppe.
Ma a questo punto la guerra cambia, in gioco c’è la salvezza della Nazione, si crea un forte coinvolgimento popolare, nelle trincee soldati provenienti da tutta l’Italia resistono eroicamente sul Piave, al generale Cadorna subentra nel comando Diaz che adotta metodi di comando che tengono in considerazione il benessere e la motivazione dei soldati. Nel giugno del 1918 gli austriaci tentano un’ultima disperata offensiva sperando di sfondare e di arrivare a Milano. Ma l’esercito italiano non cede e il 24 ottobre l’armata del Grappa lancia l’offensiva, l’esercito austriaco resiste. Ma tra il 28 e il 29 arrivano le notizie che ormai la guerra è persa e che l’Impero va sfaldandosi, l’esercito austriaco si dissolve e la sera del 29 i soldati italiani raggiungono Vittorio Veneto, il 3 novembre Trento e Trieste sono occupate e viene firmato l’armistizio, il 4 novembre la guerra è finita. Quando a Erba arrivano le notizie della vittoria le campane suonano per tutte le contrade, la gente si riversa nelle strada festeggiando la fine delle guerra.
Ma la guerra ha seminato violenza e odio che dopo pochi anni daranno amari frutti: le dittature fasciste e naziste e una seconda e ancor più catastrofica guerra mondiale.
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