A 60 anni dal decreto con cui il Sant'Uffizio pronunciò la scomunica del Partito Comunista è giusto fare qualche riflessione per cercare di capire lo "strano connubio" che continua a legare la Chiesa italiana con le classi dirigenti del paese. Gli anatemi contro il materialismo ateo dei comunisti italiani e gli incomprensibili silenzi sul presente.
Il primo luglio del 1949 il Sant’Uffizio emanò il decreto con cui la Chiesa di Roma infliggeva la scomunica a chiunque avesse aderito al Partito Comunista o lo avesse appoggiato anche solo “leggendo libri, riviste, giornali che difendono la dottrina e l’azione comunista”. Fu un duro colpo per la sinistra italiana, da poco reduce dalla sconfitta elettorale del 1948 che sancì l’inizio dell’epoca degasperiana. La decisione di Pio XII costituiva il naturale continuum di una posizione di aperta ostilità della Chiesa cattolica nei confronti dell’ideologia marxista, definita “materialistica e anticristiana”. Finiva in questo modo ogni possibilità di dialogo tra la sinistra italiana ed il mondo cattolico che avevano proficuamente collaborato durante la Resistenza antifascista gettando le basi della odierna Costituzione repubblicana. L’ostracismo cattolico verso l’intera sinistra italiana, politica e sindacale, maturava in un contesto internazionale che stava lentamente scivolando verso la drammatica contrapposizione tra i due blocchi. Oggi, a posteriori, abbiamo motivo di ritenerlo un tragico errore, seppur imposto dalla logica della Guerra Fredda. Da quella scomunica, infatti, trasse ulteriore alimento il pregiudizio nei confronti dell’intera cultura laica di cui ancora oggi permangono pesanti sedimenti che talora riaffiorano prepotentemente. La scomunica di Pio XII piacque all’establishment economico del nostro paese perché rappresentava la definitiva delegittimazione di quella parte politica che insidiava la sacralità del diritto di proprietà. La Chiesa osteggiava il marxismo non solo per la sua vocazione totalitaria ma soprattutto per la spiccata connotazione antireligiosa. Alla borghesia italiana, tuttavia, importava poco l’ateismo dei comunisti che, di contro, venivano temuti per le pressanti rivendicazioni sociali e gli ardori egualitari. La borghesia italiana iniziò a tacciare di comunismo chiunque si dichiarasse di sinistra e ancora oggi esistono nella nostra società dei segmenti molto sensibili a questa goffa identificazione. La scomunica di Pio XII ha rallentato l’evoluzione in senso democratico della sinistra italiana tanto quanto il filosovietismo di Togliatti perchè, in modo circolare, l’una inseguiva e giustificava l’altro. L’interclassismo della Democrazia Cristiana si fondava sulla capacità del ceto dirigente di utilizzare l’ispirazione confessionale del partito per raccogliere il consenso dei ceti popolari nonché sulla garanzia di diga anticomunista utile a conseguire il consenso della borghesia produttiva. Per chi ha vissuto al Sud è stato più facile constatare questo strano connubio tra classi dirigenti e Chiesa cattolica: il ricco imprenditore si professava cattolico e democristiano malgrado la sua vita privata fosse notoriamente ispirata a valori non proprio cattolici. Da giovani risultava incomprensibile il silenzio del parroco per questa figura di uomo politico di cui era noto l’alto grado di corruttela morale: si poteva avere l’amante conclamata, esercitare il più bieco clientelismo e ciò malgrado dirsi cattolici. Sono passati sessant’anni dal decreto del Sant’Uffizio e in Italia c’è sempre qualche furbastro che vorrebbe portare indietro l’orologio della storia. Col tempo il crollo del comunismo si è rivelato una iattura più per gli anticomunisti che per i comunisti. La sinistra italiana ha accettato le contaminazioni culturali con il mondo cattolico e nessuno può plausibilmente sostenere che chi vota per la sinistra sia un “apostata della fede cattolica”, come recitava il decreto. Ci chiediamo, tuttavia, come mai persista questo “strano connubio” tra Chiesa cattolica e classi dirigenti. E come mai il Vaticano, sempre così tempestivo nel cogliere in fallo la sinistra, dimostri oggi questa improvvisa afasia nei confronti delle vicende del Cavaliere. Ci sono cose che, quando si è giovani, risultano incomprensibili ma che, da adulti, si ha il diritto di capire: se possibile, senza l’accusa di essere comunisti.