Il ballottaggio tra Bersani e Renzi rappresenta il bivio davanti al quale si trova oggi il Pd: una mutazione genetica in grado di farne una sorta di "catch all party" ("partito pigliatutto"), cioè un partito all'americana dal programma eclettico e con un forte leader carismatico, oppure un partito classico, nel solco della tradizione, con uno solido radicamento sociale, un leader attento a preservarne i tratti identitari e alieno da tentazioni populiste.
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Breve riflessione a margine dell'imminente ballottaggio che ci sarà domenica 2 dicembre tra Bersani e Renzi. La stampa di sinistra ha celebrato l'imponente partecipazione alle primarie come una sorta di resurrezione della politica e come preludio alla sicura vittoria del centro-sinistra alle elezioni della prossima primavera. In realtà, è stata sottovalutata la presenza al voto delle primarie di un cospicuo numero di elettori di destra che, nel caso di soccombenza di Renzi, quasi certamente non voterebbero mai per un Pd guidato da Bersani. E' questo il bivio davanti al quale si trova oggi il Pd: una mutazione genetica in grado di farne una sorta di "catch all party" ("partito pigliatutto"), cioè un partito all'americana dal programma eclettico e con un forte leader carismatico, oppure un partito classico, nel solco della tradizione, con uno solido radicamento sociale, un leader attento a preservarne i tratti identitari e alieno da tentazioni populiste. Poichè è questo il vero "thema decidendum", Renzi ha interesse a trasformare le primarie in un duello personale con Bersani chiamando al voto anche gli elettori di destra come se fosse irrilevante la circostanza che trattasi pur sempre di primarie della sinistra. Sembra incredibile ma è così: gli elettori di destra avranno il potere di scegliere il candidato premier della sinistra. Negli ultimi mesi questa operazione è stata resa possibile anche grazie al marasma che regna a destra imputabile alla perdurante incertezza del Cavaliere che non ha ancora deciso se candidarsi o meno (aspetterà l'esito delle primarie del Pd?). A tutt'oggi, quindi, a causa di questa inedita versione amletica del Cavaliere, la destra italiana non sa ancora se potrà celebrare le sue primarie. Se ci fossero, assisteremmo al dato paradossale di tanti elettori di destra che, dopo aver partecipato alle primarie del Pd, parteciperanno anche a quelle del Pdl. In ogni caso, come già rilevato in altra occasione, si chiama “recessione” il vero, grande problema sul quale, al di là dei facili slogan, nessun leader delle primarie ha dimostrato di saper formulare delle proposte credibili. La sinistra non può restare silente davanti all'impotenza degli Stati nazionali nel governare la recessione e. soprattutto, davanti all'insipienza di un'Europa che non ha voluto opporre misure allo strapotere del capitalismo finanziario che privilegia la rendita e favorisce la speculazione. Se ha ancora un senso dirsi di sinistra, bene, la lotta al "capitalismo delle locuste", di quel capitalismo iniquo, parassitario e sprezzante delle regole, costituisce il vero discrimine tra chi si spaccia di sinistra e chi lo è veramente.