La lunga gestazione del nuovo governo consente di fare chiarezza sulle affinità esistenti tra Lega e 5 Stelle che una parte rilevante dell'elettorato progressista ha incautamente sottovalutato. Si tratta di un errore di interpretazione che era già stato commesso con la Lega degli esordi e che, oggi, si è ripetuto con il Movimento 5 Stelle, ritenuto, alla vigilia del voto, una “costola della sinistra”, secondo l'infelice definizione di D'Alema. Capiremo presto quanto la base del Movimento 5 Stelle sia permeata degli stessi valori della base leghista che, da tempo, ha sviluppato una spiccata vocazione sovranista e anti-europea.
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La lunga gestazione del nuovo governo consente di fare chiarezza sulle affinità esistenti tra Lega e 5 Stelle che una parte rilevante dell'elettorato progressista ha incautamente sottovalutato. Si tratta di un errore di interpretazione che era già stato commesso con la Lega degli esordi e che, oggi, si è ripetuto con il Movimento 5 Stelle, ritenuto, alla vigilia del voto, una “costola della sinistra”, secondo l'infelice definizione di D'Alema. La posizione sull'Europa che accomuna le due forze di governo rappresenta un elemento che finirà, prevedibilmente, per generare crescenti frizioni con i partner europei i quali nutrono il fondato timore che Di Maio e Salvini intendano trasformare le prossime elezioni europee in un referendum sulla permanenza del nostro paese nell'eurozona. Ci avviamo, pertanto, ad una sorta di “redde rationem”, ad un insidioso crocevia che obbligherà il cittadino ad una scelta dalle implicazioni irreversibili. La matrice anti-europea di questo esecutivo si nutre di ambiguità e contraddizioni che potrebbero indurre a credere che, mettere in discussione i vincoli di bilancio, non significhi necessariamente voler uscire dall'Europa. Bisognerà stare attenti a questi sofismi che tendono ad occultare le ragioni sottostanti alla pretesa di rimettere in discussione i trattati sottoscritti dall'Italia. Lega e 5 Stelle dovranno essere incalzati su tali questioni al fine di capire se il lepenismo di Salvini costituisce un tratto identitario anche di Di Maio tenuto conto, altresì, che entrambi sono attratti dal fascino di Putin che non rappresenta, notoriamente, un campione di democrazia. Capiremo presto quanto la base del Movimento 5 Stelle sia permeata degli stessi valori della base leghista che, da tempo, ha sviluppato una spiccata vocazione sovranista e anti-europea. In questo senso, il Movimento 5 Stelle é un Giano bifronte che ha saputo raccogliere il malcontento in quelle aree del paese non ancora presidiate dalla Lega. Questa peculiarità dovrebbe indurre Di Maio a qualche riflessione che non può più essere liquidata con il pretesto che il Movimento 5 Stelle sia una forza “post-ideologica” che non crede alla tradizionale distinzione tra destra e sinistra. L'alleanza con la Lega costringerà i 5 Stelle ad assumere una posizione chiara ed inequivocabile sull'Europa che, tra qualche mese, Salvini non mancherà di additare come l'unico colpevole della mancata realizzazione degli obiettivi fissati nel “contratto” di governo. A quel punto, bisognerà capire quali strategie vorrà adottare l'esecutivo per persuadere i partner europei a modificare i trattati. Davanti ad un prevedibile, se non scontato, diniego, cosa farà il nostro governo? Su questo crinale sarà possibile misurare in modo definitivo il grado di contiguità tra Salvini e Di Maio i quali saranno chiamati a decidere se piegarsi alle regole imposte dai trattati o rompere con l'Europa. Chi rischia di pagare dazio in questo percorso sarà, prevedibilmente, Di Maio il quale si vedrà costretto a subire una crescente subalternità alla Lega (di cui si intravedono già i segnali) che finirà per intaccare la sua leadership e, contestualmente, per innescare una lenta emorragia di consensi provenienti da quella sinistra che il 4 marzo ha votato 5 Stelle sentendosi tradita da Matteo Renzi. Ci stiamo avviando, pertanto, ad una vera e propria “chiamata alle armi” (naturalmente, in senso metaforico) che vedrà il nostro paese spaccarsi per l'ennesima volta, come piace a quella parte di elettorato che, per una strana coincidenza, non solo ha sempre detestato l'Europa ma ha sempre guardato con sospetto (e, talora, ostilità) all'unità nazionale. Fedele interprete di questo elettorato è sempre stata la vecchia Lega lombarda di Bossi, il “senatùr”, che Matteo Salvini sta cercando di trasformare in Lega nazionale senza mai rinunciare all'inconfondibile distintivo dei “lumbard”, fieramente esibito anche durante il giuramento davanti al presidente Mattarella. Si tratta di una delle innumerevoli contraddizioni di questo “strano” governo al quale occorre, comunque, augurare di far bene per risollevare le sorti di un paese sfiduciato che, da tempo, ha smesso di credere alla politica avendone tutte le buone ragioni.
(Editoriale apparso su La Provincia, lun 4 Giugno 2018)