A causa dell'acuirsi delle disuguaglianze sociali, la crisi della democrazia liberale rappresenta una costante che le classi dirigenti continuano colpevolmente a sottovalutare contribuendo ad alimentare, con la loro ignavia, quel vento populista che utilizza la rabbia sociale per allontanare il cittadino dalla fiducia nella democrazia. il trionfo del mercato ha creato l'illusione di una ricchezza a portata di tutti che ha finito per occultare le contraddizioni di un sistema all'interno del quale l'establishment ha sapientemente inoculato nel cittadino la convinzione che le disuguaglianze sociali fossero un fenomeno naturale e, quindi, ineliminabile, di un capitalismo in grado di regalare felicità a chiunque ne avesse accettato le regole.
----------------------
La pandemia rischia di rendere drammatiche le conseguenze di una recessione che, in Occidente, aveva già iniziato a mostrare i primi segnali prima della circolazione del virus. Siamo davanti ad un passaggio delicato della storia perché, per la prima volta dopo la Seconda guerra mondiale, in tutti i paesi occidentali è in corso una crisi sistemica che mette a repentaglio non solo la tenuta del sistema economico ma anche delle istituzioni democratiche. A causa dell'acuirsi delle disuguaglianze sociali, la crisi della democrazia liberale rappresenta una costante che le classi dirigenti di tutti paesi occidentali continuano colpevolmente a sottovalutare contribuendo ad alimentare, con la loro ignavia, quel vento populista che utilizza la rabbia sociale per allontanare il cittadino dalla fiducia nella democrazia. L'ondata di xenofobia e di razzismo che ha investito l'Occidente rappresenta il sintomo di un clima culturale che ci mette davanti ad un grande fallimento che evoca un vecchio monito di Bobbio: “la democrazia, prima di essere un sistema politico, è un modo di essere”. Inutile nasconderlo, la crisi della democrazia rappresentativa deriva da una crisi profonda della coscienza democratica del cittadino che induce al sospetto che, in alcuni settori della società civile, un vero percorso di identificazione nei valori democratici non sia mai neppure iniziato. L'errore più macroscopico della cultura occidentale è stato quello di credere che la democrazia economica avrebbe condotto “naturaliter” ad una piena affermazione dei valori della democrazia liberale. Questa totale, meglio, totalizzante, identificazione della democrazia con il mercato, ha finito per derubricare i diritti sociali come residuo di un vetero-sindacalismo ormai marginale e privo di rappresentanza. In questo senso, il trionfo del mercato ha creato l'illusione di una ricchezza a portata di tutti che ha finito per occultare le contraddizioni e le devianze di un sistema all'interno del quale l'establishment ha sapientemente inoculato nel cittadino la convinzione che le disuguaglianze sociali fossero un fenomeno naturale e, quindi, ineliminabile, di un capitalismo in grado di regalare felicità a chiunque ne avesse accettato le regole. Nulla di più fallace, nulla di più menzognero. In verità, per vivere e respirare, la democrazia ha vitale bisogno di un corpo sociale la cui quotidianità non sia costellata di privazioni perché l'istinto di sopravvivenza costringe, giocoforza, il cittadino ad essere individualista. Per queste ragioni, il grande nemico di una democrazia resta la povertà e, ancor più spesso, la paura di tornare poveri. Questo stato d’animo rappresenta l'humus di tutte le culture antidemocratiche che abbiamo conosciuto nella storia. Il denominatore comune dei totalitarismi del Novecento è, infatti, quello di essersi affermati all’interno di società caratterizzate da profondi squilibri sociali che hanno determinato nel cittadino la convinzione che la democrazia non sarebbe stata in grado di affrancarlo dalla povertà. Quello che oggi definiamo populismo altro non è che la riedizione di un clima già visto, di una storia che, ancora una volta, suole riproporsi sotto mentite spoglie. D'altro canto, è anche vero che il diavolo non si presenta con le campane. A questo proposito, sarebbe utile ricordare che, all'atto della loro investitura, tutti i grandi autocrati del passato hanno sempre celebrato la propria grandezza senza mai fare cenno alla grandezza delle loro successive ignominie. Quando Stalin salì al potere, forse annunciò i gulag? E quando il presidente Hindenburg gli diede in mano il governo, forse Hitler annunciò la Shoah? Potremmo fare innumerevoli esempi per dimostrare il “candore” con cui le democrazie liberali hanno il vezzo di trascurare la potenza eversiva delle disuguaglianze sociali. Come in passato, anche oggi le classi dominanti sono portate a credere che i soggetti che soccombono siano solo un fenomeno marginale (Bauman avrebbe detto “vittime collaterali”), il costo, triste ma inevitabile, di una società libera. In realtà, sarebbe utile capire in tempo che, storicamente, l'abilità delle forze populiste è sempre stata quella di utilizzare gli strumenti della democrazia per affossarla. In proposito, non dovremmo mai dimenticare il celebre monito di Rousseau: “Eliminate opulenza e miseria: dalla prima nascono i tiranni, dalla seconda i fautori della tirannide”.
Editoriale pubblicato su La Provincia di lunedì 15 giugno 2020