Al già grande riconosciuto grande scrittore, Gadda, dunque piacevano tanto due uova fritte, in “cirighén, quando sul tardo pomeriggio, degli anni “Trenta” giungeva (raramente) a controllare come era la casa di Longone ed era accolto dal fedele e sorridente custode Rigamonti. Perché ogni volta queste due uova fritte e chiamate “in cirighèn”, secondo il dialetto milanese che Gadda piaceva e qualche volta adoperava? Quel “cirighén” veniva dalla somiglianza dei tondi tuorli, nel burro sfrigolante, alle chieriche che un tempo esibivano le nuche dei giovani parroci.
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«Due belle uova in “cirighén”, fritte bene, quasi croccanti», raccontava l’ometto vispo e gentile, sempre sorridente che si chiamava Luigi Rigamonti, il custode della casa dello scrittore Carlo Emilio Gadda, a Longone al Segrino. Rispondeva sempre così, contento di ritrovare l’”Ingegnere” nei suoi ricordi quando salivo a Longone a incontrarlo perché mi parlasse “del sciur Gadda”, gli facevo ogni volta questa domanda: «Cosa piaceva mangiare allo scrittore quando arrivava a Longone?». Erano gli anni “Settanta” e “el Luisin” faceva da quasi cinquant’anni il custode di quella villa, la “fottuta casa di Longone”, come Gadda la chiamava, anche se ormai era passata di proprietà. Era diventata “Villa Ambra” in onore della compagna del grande giornalista Bruno Roghi che l’aveva acquistata, anni addietro da Gadda, il quale, finalmente, era riuscito a disfarsene. Il prestigio della dimora, costruita dal padre dell’Ingegnere”, era rimasto dunque importante con i Roghi, il padre Bruno, “bella penna” dello sport, direttore de “La Gazzetta ” e di “Tuttosport”, poi il figlio Gianni, inviato de “Il Giorno” e dell’”Europeo” morto in Africa ucciso da un elefante. La villa poi è scaduta di prestigio, scesa a banale condominio.
Ogni tanto si crea una piccola disputa tra cultori gaddiani sulla data in cui Gadda riuscì a disfarsi della villa. Fu sicuramente l’anno 1937. La sicurezza è venuta qualche anno fa quando a La Provincia fu concesso di pubblicare una lettera, appena scovata in un cassetto, che l’”Ingegnere” scrisse, nel 1969 allo scrittore Alberto Vigevani, che d’estate abitava a Eupilio. Gadda racconta che vide per l’ultima volta Longone proprio nel 1937, a casa ormai venduta..
Al già grande riconosciuto grande scrittore, Gadda, dunque piacevano tanto due uova fritte, in “cirighén, quando sul tardo pomeriggio, degli anni “Trenta” giungeva (raramente) a controllare come era la casa di Longone ed era accolto dal fedele e sorridente custode Rigamonti. Perché ogni volta queste due uova fritte e chiamate “in cirighèn”, secondo il dialetto milanese che Gadda piaceva e qualche volta adoperava? Quel “cirighén” veniva dalla somiglianza dei tondi tuorli, nel burro sfrigolante, alle chieriche che un tempo esibivano le nuche dei giovani parroci. Di certo allo scrittore piaceva quella affinità. Ma la scelta delle uova fritte, secondo il custode Luigi, era dovuta alla fame e alla rapidità con la quale il piatto era pronto. Beveva vino rosso che era conservato in cantina.
Pensando a Gadda come fantasioso e appassionato cultore della cucina lombarda, due sole uova fritte sembrano un contrasto enorme con le esibizioni letterario-culinarie che l’Ingegnere” si divertì a infilarle, per esempio, nella sua “Cognizione del dolore”, ambientata letterariamente nell’America latina ma in realtà a Longone, a Erba (El Prado) e d’intorni. Prendiamo per campione la ricetta e le istruzioni per cucinare quei suoi piccioni ripieni che “si mangiano di venticinque giorni”: altro che “due uova fritte e basta: i piccioni “devono essere arrostiti in casseruola con i rosmarini e le patatine novelle, dolci, ma non troppo, e piccolette, ma già un po’ sfatte, inficiate, queste, nel sugo stesso venutone da quegli stessi piccioni, farciti a lo volta, secondo una ricetta andalusa”.
Di Gadda e della sua grande perizia culinaria, baciata da vigorosa genialità, ci rallegra con passione Aldo Buzzi, scrittore comasco, purtroppo dimenticato dai comaschi, nel suo delizioso libro “L’uovo alla kok”, tutto disinvoltamente volteggiante su epicuree melodie gastronomiche. Ecco quindi Buzzi continuare a raccontare Gadda e la ricetta andalusa per il ripieno dei piccioni occorrono. “l’origano, la salvia il basilico, il timo, il rosmarino, il mentastro, e pimiento, zibibbo, lardo di scrofa, cervelli di pollo, zenzero, pepe rosso chiodi di garofano, ed altre patate ancora di dentro quasicché non bastassero quelle altre messe a contorno, cioè di fuori del deretano del piccione; che erano quasi diventate una seconda polpa anche loro, tanto vi erano incorporate, nel deretano, come se l’uccello, una volta arrostito, avesse acquistato dei visceri più confacenti alla sua nuova posizione di pollo arrosto, ma più piccolo e grasso, del pollo, perché era invece un piccione”. Ad eccezione forse per il “richiamo andaluso”, gli aromi prescritti da Gadda per i suoi “piccioni ripieni” si trovavano in ricorrenti usanze e fantasie culinarie sui fornelli delle cucine contadine dell’Alta Brianza dell’ottocento-novecento che anch’io, figlio del popolo contadino, ebbi a gustare quando ero fanciullo. Ecco quindi uno dei tanti riferimenti che ancor oggi si possono scoprire percorrendo un itinerario gaddiano, un po’ di fantasia, ma soprattutto reale che si dipana partendo da Erba, salendo lentamente fino a Longone, girovagando un po’ nel paese, spingendosi in giro al lago del Segrino, il “See Grün” di Gadda. e arrivando fino a Canzo, dove , nella piazza vicino al bel teatro Sociale, si alza un monumento ai caduti che lo scrittore raccontò con grande, spiritoso sarcasmo in uno delle sue opere minori.
Il primo incontro gaddiano è alla stazione ferroviaria di Erba dove si alzava prepotente un obelisco piramidale di marmo di Candoglia (ora ridotto a un quasi invisibile cippo) che celebra il primo treno giunto qui da Milano il 31 dicembre 1879. Lo scrittore colloca spiritosissime canzonature di questo monumentino e dell’ambiente intorno nel poco conosciuto libretto “Racconti dispersi” (Garzanti) dove scorrono, sempre tra ironia e scherni quelle che lui chiama le “otto generazioni di felicità” di cui gode la “Breanza”. Una di queste è “piffete puffete”, il treno che “dipartendo da Milano” ”puoi pensare che se ne venghi, come dicono gli Spagnoli «uno poco liviano, però livianito, livianito». “Viene cacagio, cacagio, quanto e più Biagio, a suo dolce bell’agio!”, Scrivendo Gadda deve aver sorriso ironico pensando che sul monumento è elencato anche il nome di suo zio, Senatore Giuseppe Gadda “come il principe di fare quel treno” con il quale giungi “felicemente in Breanza”.
A Erba che non aveva ancora elevata a “el Prado” Gadda dedicò appunti pieni di gaiezza come quelli dedicati all’idraulico Mario Perego, che saliva a Longone a cercare di sistemare lo claudicante impianto della casa. Io che son vecchio, mi ricordo di aver conosciuto “el trumbée” Mario Perego, il cui nome era inciso sul sifone con catenella di tutti i water di Erba e dintorni. Aveva bottega nel mio cortile a Erba Alta.
Giunto col treno, Gadda talvolta andava dal Cesare Frigerio a noleggiare vettura con autista per salire alla “fottuta casa”. Ascoltai più volte, molti anni fa il trasportatore Frigerio parlarmi di quel signore, asciutto e taciturno”, per la verità assai taccagno: «Chiedeva sempre sconti, però già sapevo che era un grande scrittore».
Longone non ama Gadda ma Erba, una via gliela dovrebbe dedicare. Erba però è distratta e non si è ancora accorta che il più grande scrittore italiano del 900 ha più volte onorato con la sua ineguagliabile prosa belle realtà erbesi. Il professor Mario Porro, filosofo e grande cultore gaddiano sostiene che c’è molto “el Prado” ovvero Erba anche nella “Cognizione del dolore”.
I rapporti più importanti con la “Cognizione ” sono però proprio a Longone al Segrino dove c’è la casa, dove si possono ancora scoprire luoghi come l’ingresso delle vecchia osteria del “Cuor Contento” che nella “Cognizione” diventa l’osteria de “l’Alegre Corason” . Si ritrova ancora il lavatoio descritto nel libro, così come, al limitare settentrionale del paese, c’è la chiesetta di Santa Maria che è quella che nella sua opera Gadda chiama “Nostra Señora de lo milagros”.
Nel cimitero di Longone vi sono le tombe del genitori di Gadda e del fratello Enrico, aviatore, morto nel 1916 in combattimento durante la prima guerra mondiale.
Per gentile concessione dell'autore che ringraziamo. Pubblicato su La Provincia di lunedì 6 luglio 2020