Dopo aver preso atto della improvvisa liquefazione del Pdl, il Cavaliere ha dovuto riprendere vigorosamente l'iniziativa per ricompattare le truppe e tentare una sortita da par suo in grado di spiazzare tutti, alleati e avversari. Berlusconi non poteva rassegnarsi all'idea che lo sfaldamento del centro-destra potesse propiziare una larga vittoria del centro-sinistra a cui il Cavaliere imputa storicamente un insidioso collateralismo con la magistratura, vero incubo dell'ex premier.
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In questi giorni fa discutere il Grande Bluff di Berlusconi che, secondo i commentatori più malevoli, rasenterebbe la psichiatria. Sono in tanti a credere che l'improvvisa retromarcia riguardante la propria candidatura sia da imputare alle reazioni della stampa internazionale che ne avrebbe deplorato il ritorno bollandolo come conferma dell'inaffidabilità del nostro Paese. Secondo un'altra versione, il Cavaliere si sarebbe rassegnato a recedere dai suoi propositi nel momento in cui ha dovuto prendere atto, “obtorto collo”, del veto posto da Maroni il quale non si è peritato di dichiarare pubblicamente che ormai Berlusconi risulta indigesto alla base leghista. Si tratta di interpretazioni parziali che non possono spiegare in modo probante questa inedita rappresentazione di Berlusconi, troppo amletico e “indecisionista” perchè possa risultare attendibile. In realtà, dopo aver preso atto della improvvisa liquefazione del Pdl e del desolante bailamme in cui è precipitato il suo schieramento, il Cavaliere ha dovuto riprendere vigorosamente l'iniziativa per ricompattare le truppe e tentare una sortita da par suo in grado di spiazzare tutti, alleati e avversari. Berlusconi non poteva rassegnarsi all'idea che lo sfaldamento del Pdl potesse propiziare una larga vittoria del centro-sinistra a cui il Cavaliere imputa storicamente un insidioso collateralismo con la magistratura, vero incubo dell'ex premier. La sortita di Berlusconi aveva il chiaro obiettivo di richiamare all'ordine il partito al fine di limitare i danni e vanificare l'ipotesi del premio di maggioranza a Bersani. Si tratta di un chiaro disegno che punta alla disarticolazione del quadro politico da cui dovrà necessariamente sortire il Monti-bis, unico, vero obiettivo occulto del Cavaliere. Malgrado la sinistra seguiti a baloccarsi nell'illusione che Mario Monti possa, un giorno, virare verso improbabili approdi keynesiani, in questi mesi il premier ha dimostrato di essere un garante sufficientemente affidabile dell'establishment. Nessun tipo di casta è stata, infatti, lambita dall'operato del governo che, non a caso, gode dei favori di tutti i potentati del paese. Non solo la Confindustria, ma anche il Vaticano e la grande stampa che si suole definire “progressista”, guarda a Monti come l'unico esponente in grado di ridare prestigio al nostro paese garantendo tutti i principali attori del sistema, Berlusconi compreso. Il disegno strategico del Cavaliere, pertanto, resta quello di esercitare in modo determinante il grande potere di interdizione che può derivargli dal rilancio del proprio partito che, seppur ridimensionato, è sempre in grado di neutralizzare lo sbilanciamento a sinistra dell'asse politico. Per realizzare questo obiettivo, a Berlusconi non resta che cavalcare i pruriti anti-europei di quella parte di elettorato che, già incline a vedere nell'euro la causa del proprio impoverimento, vede in Monti un'ulteriore causa di deriva delle proprie condizioni. Va letta in questo modo la recente piroetta del Cavaliere su Monti, dapprima bersaglio delle sue invettive e, subito dopo, possibile candidato di un polo moderato che resta l'unica soluzione per contenere il successo della sinistra che, in quest'ottica, dovrà diventare una vittoria di Pirro. Meglio un Monti-bis che Bersani premier: in questo, il desiderio di Berlusconi coincide con quello delle élites finanziarie del paese, le stesse che avrebbero tributato a Renzi il proprio sostegno e che ora dovranno ripiegare su Casini e Montezemolo, sorta di strana coppia che sintetizza efficacemente l'immagine imperitura di un paese destinato fatalmente a non crescere mai.